Il 19 ottobre 1984 fu un giorno drammatico nella storia della Polonia: tre uomini dei servizi segreti comunisti rapirono don Jerzy Popieluszko, il cappellano del sindacato Solidarnosc. Dal giorno del rapimento tutta la nazione fu in ansia per la sua vita. Anche Giovanni Paolo II era molto preoccupato. Il card. Dziwisz, allora segretario del Papa così ricorda quei giorni di attesa: “Ci tenevamo al corrente sull’evolversi degli eventi. Ricordo che il Santo Padre stava seduto davanti al televisore, ad ascoltare i comunicati, con un’enorme preoccupazione e tristezza sul volto, avvilito. Seguiva con precisione quello che accadeva allora in Polonia”.
Bisogna dire che Giovanni Paolo II e don Popieluszko non si sono mai incontrati. Ma il Papa conosceva l’attività del cappellano degli operai di Varsavia e conosceva le sue omelie pronunciate durante le Messe per la Patria. Gli inviò i suoi saluti, e anche un rosario.
La notizia con la conferma della morte di don Jerzy arrivò 11 giorni dopo il rapimento, quando nelle acque della Vistola venne ritrovato il suo cadavere. Il giorno del 30 ottobre 1984 fu per Giovanni Paolo II un normale giorno di lavoro. Il Papa invitò a cena il direttore de L’Osservatore Romano, il prof. Mario Agnes con il suo vice, Gianfranco Svidercoschi. Mentre il Papa dava il benvenuto ai suoi ospiti, il suo segretario, mons. Stanislao Dziwisz, gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Era una brutta notizia: la conferma della morte di don Jerzy Popieluszko. Il viso del Papa si fece serio: invece di invitare i suoi ospiti nella sala da pranzo, li invitò nella cappella, dove si mise a pregare. Come ricorda Svidercoschi, la preghiera di Giovanni Paolo II fu così intensa, si direbbe così “palpabile”, che lui stesso smise di pregare. “Bastava la preghiera del Papa”, mi confidò.
Padre Jerzy era stato preso di mira dai servizi segreti quando cominciò a celebrare la Messa per gli operai delle grandi acciaierie “Huta Warszawa” della capitale polacca che avevano cominciato uno sciopero: divenne per loro una guida e un punto di riferimento. Con la dichiarazione dello “stato di guerra” e l’introduzione della legge marziale da parte del generale Jaruzelski, cominciarono le persecuzioni e gli arresti degli attivisti del sindacato Solidarność e della società civile. E proprio durante lo stato di guerra padre Popiełuszko organizzò nella parrocchia di S. Stanislao le celebrazioni eucaristiche chiamate “Messe per la Patria”, che attiravano moltissime persone provenienti non soltanto da Varsavia, ma da tutta la Polonia. Il “cappellano di Solidarność”, da un lato, smascherava tutta la falsità e l’ipocrisia del sistema comunista, dall’altro indicava ai cristiani come affrontare il totalitarismo: “Vinci il male con il bene”. Per il regime totalitario comunista un sacerdote così doveva essere distrutto, anche fisicamente. Allora il rapimento e l’assassinio di padre Jerzy furono ben premeditati e organizzati.
Cinque giorni dopo la scomparsa di don Jerzy, il 24 ottobre, durante l’udienza generale il Pontefice disse ai pellegrini polacchi queste gravi parole: «Lunedì scorso la Curia metropolitana di Varsavia ha pubblicato un comunicato nel quale si informa che il 19 ottobre don Jerzy Popiełuszko, sacerdote dell’arcidiocesi di Varsavia, mentre tornava da Bydgoszcz, dove aveva svolto un servizio pastorale, è stato fermato sulla strada vicino a Torun. Il sacerdote non ha fatto finora ritorno in parrocchia e non si hanno notizie sulla sua sorte. (…) Profondamente turbato da questo avvenimento, esprimo la mia solidarietà con i pastori e con il popolo di Dio della Chiesa di Varsavia. Condivido la giusta inquietudine di tutta la società riguardo a questa azione disumana che è un atto di prepotenza nei confronti di un sacerdote e costituisce una violazione della dignità e degli inalienabili diritti della persona umana».
Per la solennità di Tutti i Santi, il 1° novembre, dunque due giorni dopo la scoperta del martirio del cappellano di Solidarność, Giovanni Paolo II lo ricordò durante l’Angelus: “Una particolare, accorata preghiera vi esorto a rivolgere al Signore per tutti i morti a causa della violenza (…) Anche questi ultimi giorni sono stati funestati da alcune notizie luttuose: (…) penso al sacerdote polacco Jerzy Popieluszko, la cui tragica fine ha commosso il mondo (…) Iddio grande e misericordioso dia pace alle loro anime immortali, e conceda ai vivi di comprendere che, non con la violenza ma con l’amore, si costruisce un futuro degno dell’uomo”.
Invece in un’udienza del mercoledì, aggiunse: “Questa morte è anche una testimonianza. Prego per don Jerzy Popieluszko, prego ancora di più per il bene che verrà da questa morte, proprio come la Resurrezione dalla Croce”.
Nel 1989 la Polonia riconquistò la libertà e cominciarono i cambiamenti democratici. In queste nuove condizioni socio-politiche, Giovanni Paolo II ricordava ai suoi connazionali il messaggio di don Jerzy. “Parli la testimonianza di questo sacerdote, che non è prescritta, che è importante non solo ieri, ma anche oggi. Forse oggi ancora di più” affermò il Papa all’udienza generale del 31 ottobre 1990. Da allora, faceva riferimento alla testimonianza di don Jerzy per mostrare ai polacchi come dovrebbero relazionarsi con i cambiamenti in atto in Europa. Don Popieluszko, con la sua vita e insegnamento, insegnava come un cristiano dovrebbe affrontare il totalitarismo comunista. Ma purtroppo nell’Europa, apparentemente democratica, esistevano ed esistono ancora le nuove forme di totalitarismo. Nell’atto di affidamento alla Vergine di Fatima pronunciato il 13 maggio 1991 Giovanni Paolo II pronunciò gravi parole: “Esiste il pericolo di sostituire il marxismo con un’altra forma di ateismo, che adulando la libertà tende a distruggere le radici dell’umana e cristiana morale”. E riferendosi ai Paesi dell’ex blocco comunista aggiungeva: “Hanno bisogno di Te le Nazioni che di recente hanno riacquistato spazi di libertà ed ora sono impegnate a costruire il loro avvenire. Ha bisogno di Te l’Europa che dall’Est all’Ovest non può ritrovare la sua vera identità senza riscoprire le comuni radici cristiane”.
Giovanni Paolo II si riferiva al cappellano di Solidarnosc poche settimane dopo, durante il suo viaggio in Patria. A quel tempo, c’è chi postulava il “ritorno” della Polonia in Europa, invece il Papa sottolineava che i polacchi non devono tornare in Europa perché vi sono già. E lo fece a Wloclawek, non lontano dal luogo dove fu ripescato il corpo di don Popieluszko dalle acque della Vistola. “Non dobbiamo entrarci – disse – perché l’abbiamo creata e l’abbiamo creata con più difficoltà di coloro a cui è attribuita o che rivendicano un brevetto per l’europeità, l’esclusività. (…) Come vescovo di Roma, desidero protestare contro tale qualificazione dell’Europa, dell’Europa occidentale. Questo offende il grande mondo della cultura, la cultura cristiana, da cui abbiamo attinto e che abbiamo co-creato, co-creato anche a costo della nostra sofferenza. (…) La cultura europea è stata creata dai martiri dei primi tre secoli, è stata creata anche dai martiri dell’Est Europa negli ultimi decenni, anche nel nostro paese. Sì, l’ha creata don Jerzy. Egli è il patrono della nostra presenza in Europa a prezzo del sacrificio della vita, come Cristo. Così come Cristo, come Cristo ha diritto di cittadinanza nel mondo, ha diritto di cittadinanza in Europa, perché ha dato la vita per tutti noi” (7 giugno 1991). In questo modo Giovanni Paolo II fece capire che don Popieluszko, martire del comunismo, è anche il patrono della presenza della Polonia in Europa, nell’Europa che rispetti le sue radici cristiane.