Dialogo, educazione, lavoro per costruire una pace duratura

Presentato in una conferenza stampa il Messaggio del Papa per il 1° gennaio

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(C) Vatican Media

Un “patto sociale” quale via per una “pace duratura”, da realizzare attraverso “tre elementi imprescindibili”: dialogo tra generazioni, educazione e lavoro. È il cuore del Messaggio del S. Padre per la 55^ Giornata mondiale della Pace che è stato presentato nel corso di una conferenza stampa dal cardinale Peter K.A.Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; da suor Alessandra Smerilli, segretario dello stesso Dicastero; da padre Fabio Baggio, sotto-segretario della Sezione Migranti e Rifugiati; e da Aboubakar Soumahoro, presidente di Lega Braccianti e portavoce di Invisibili in Movimento.

Crisi morale e mancanza di volontà politica

Il porporato ghanese ha introdotto il Messaggio del Papa sottolineandone il “retroterra” biblico, con riferimenti alla storia di Israele e in particolare all’esilio. Riferimenti che si riflettono nel mondo attuale nella crisi morale ed etica e nella mancanza di volontà politica per abbracciare e impegnarsi in misure necessarie di fronte a crisi climatiche, pandemie e disuguaglianze economiche potenzialmente letali.

Ma anche in una mentalità che guarda solo al profitto a breve termine e offusca ogni prospettiva di vantaggi duraturi. Situazioni che alimentano le migrazioni e le crisi dei rifugiati, che innescano un clima di sfiducia, ostilità e insicurezza. Turkson ha anche messo in relazione il contenuto di questo Messaggio con gli insegnamenti di Papa Francesco sulla cultura del dialogo, sulla dignità umana, sulla costruzione della pace.

I giovani

È toccato poi agli altri relatori esaminare i “tre elementi imprescindibili” indicati dal Papa. Suor Alessandra Smerilli ha sottolineato che “dimentichiamo il dolore di chi subisce le guerre e la mancanza di pace di questo mondo”. Che è anche la guerra “che da molto tempo gli umani hanno ingaggiato con la natura, con la nostra casa comune, e con le altre specie viventi. I giovani, che sono i primi protagonisti di questo messaggio, sanno ormai molto bene di trovarsi dentro questo conflitto tra noi e la terra. Non lo hanno chiesto, non lo vorrebbero, ma sanno di star lottando per salvare il pianeta”. “Il Papa è con loro – ha aggiunto – Il ‘grido della terra e il grido dei poveri sono lo stesso grido’”.

Lavoro per tutti

C’è poi la questione centrale del lavoro, “espressione della nostra identità e dignità, della nostra vocazione sociale e relazionale”. A questo proposito suor Smerilli ha annunciato “un Progetto dal titolo “Lavoro per tutti”: sarà una grande operazione di ascolto di tutti coloro che nei diversi luoghi stanno cercando soluzioni creative ai problemi del lavoro. Ascolto, discernimento e messa in comune, creare le condizioni perché qualcosa di nuovo accada. Perché si costruisca la pace attraverso condizioni di lavoro dignitose per tutti”.

Comunicazione tra generazioni

Padre Baggio ha evidenziato come il Messaggio “si discosta leggermente dalla tradizionale contrapposizione tra pace e guerra. Esso, infatti, insiste sull’idea di pace intesa come la meta di un cammino” che San Paolo VI definiva “sviluppo umano integrale”. In questo senso il primo strumento per costruire una pace duratura “è la comunicazione sincera, feconda e generativa tra le vecchie e le nuove generazioni. La saggezza di chi ha più esperienza deve servire a moderare i facili entusiasmi di chi ne ha meno, così come la temerarietà dei più giovani deve servire di sprone a chi tende a fermarsi sul “si è sempre fatto così”.

La centralità dell’educazione

Il secondo “è l’educazione, intesa come insegnamento che genera cultura e assicura libertà e responsabilità. In questa ottica, il messaggio insiste particolarmente sull’educazione verso una cultura della “cura”, intesa come cura della casa comune e della famiglia comune”. E riferendosi al contesto migratorio, padre Baggio ha ricordato come questo sia “sempre più popolato da lavoratori impiegati nel settore della cura, esempi silenziosi ed umili di dedizione e sacrificio”.

Povertà dilagante

Infine, Aboubakar Soumahoro ha ricordato la crescente povertà, aggravata dalla pandemia: “persone che non riescono a soddisfare i propri bisogni vitali e di quelli delle proprie famiglie a causa delle crescenti disuguaglianze materiali”. Per questo ha auspicato una “rivoluzione spirituale capace di calarsi nelle dinamiche della vita reale anche per ricostruire il senso di appartenenza alla stessa comunità umana”, insieme a “un agire sociale e politico di respiro popolare e non populista. Una politica capace di ridare speranza e non di esasperare le sofferenze unendo e federando persone diverse ma accomunate da bisogni e sogni comuni”.


Aboubakar ha sottolineato come “i luoghi di lavoro siano ormai un bollettino di guerra” mentre “l’impatto sui salari causa un impoverimento costante che colpisce soprattutto donne e giovani”.

La corsa agli armamenti

Rispondendo a una domanda sull’aumento degli investimenti in armamenti, rispetto a quelli sull’educazione, Turkson ha affermato che la lista potrebbe estendersi alla necessità di investire non solo “in educazione, ma anche in alimentazione, nella difesa della dignità della persona… Eisenhower faceva il confronto di quanti km di strada o quante scuole si potevano realizzare con il costo di una sola bomba atomica. Il nostro augurio è che si inizi a investire in ciò che consideriamo necessario per bene dell’uomo”.

Turkson ha sottolineato che la mancanza di fiducia tra Stati genera incertezza e la corsa alle armi. “Non so se quest’anno avremo il Forum di Davos – ha detto – ma il tema è proprio lo sviluppo della fiducia. Se avremo fiducia, caleranno le spese per gli armamenti”. Padre Baggio ha aggiunto che il Dicastero, insieme alla Commissione vaticana Covid 19, sta preparando “una riflessione sull’aumento dei conflitti e dei flussi di sfollati nei mesi di pandemia. Va cambiata la logica degli investimenti, gli sfollati a causa dei conflitti produrranno nuove crisi umanitarie”. Infine, Aboubakar ha sottolineato che “è sempre più carente nelle relazioni, anche tra Stati, la dialettica costruttiva” che dovrebbe sostituire la “diplomazia della guerra”.