Filippine, celebrati i 500 anni di evangelizzazione

Il Papa ringrazia le donne “contrabbandiere” di fede

La processione iniziale della S. Messa celebrata dal Papa ©️Vatican Media

Papa Francesco ha celebrato nella basilica di San Pietro la S. Messa per i 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, nella quarta domenica di Quaresima, la domenica “laetare”, della gioia. Una celebrazione iniziata con una processione in cui sono stati portati all’altare la croce di Magellano e la statuetta del “Santo Niño”, il Bambino Gesù. Con il S. Padre hanno concelebrato il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, prefetto di Propaganda Fide, il vicario di S. Santità per la diocesi di Roma, cardinale Angelo De Donatis, e otto sacerdoti della comunità filippina, presente nella basilica e salutata così dal Papa: “È bella e attraente una Chiesa che ama il mondo senza giudicarlo e che per il mondo dona sé stessa”.

Ecco il testo dell’omelia pronunciata dal Papa diffusa dalla Sala Stampa vaticana:

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Qui c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. E il fondamento della nostra gioia non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita. “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Soffermiamoci un momento su questi due aspetti: “ha tanto amato” e “ha dato”.

Dio ha tanto amato

Prima di tutto, Dio ha tanto amato. Queste parole, che Gesù rivolge a Nicodemo – un anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro – ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio. Egli da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio suo. In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita. Chiunque crede in Lui, dice il Vangelo, non va perduto.

In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, sei amato. Sempre amato. Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita.

Dio è un Padre innamorato

Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore. E veniamo alla seconda parola: Dio “ha dato” il suo Figlio. Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da sé stesso. L’amore sempre si offre, si dona, si spende. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono.

Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da sé stesso: perché “ha tanto amato”. Il suo amore è così grande che non può fare a meno di donarsi a noi. Quando il popolo in cammino nel deserto fu attaccato dai serpenti velenosi, Dio fece fare a Mosè il serpente di bronzo; in Gesù, però, innalzato sulla croce, Lui stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, si è fatto peccato per salvarci dal peccato. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato. Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita.

È bello incontrare persone che si amano, che si vogliono bene e condividono la vita; di loro si può dire come di Dio: si amano così tanto da dare la loro vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare. Questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Da qui prende senso l’invito che la Chiesa rivolge in questa domenica: «Rallegrati […]. Esultate e gioite, vi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione».

Il ricordo dell’Iraq

Ripenso a ciò che abbiamo vissuto una settimana fa in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia; grazie a Dio, alla sua misericordia. A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, nelle illusioni che svaniscono, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine. Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.

“Contrabbandiere” di fede

Cari fratelli e sorelle, sono passati cinquecento anni da quando per la prima volta l’annuncio cristiano è arrivato nelle Filippine. Avete ricevuto la gioia del Vangelo: che Dio ci ha amato a tal punto da dare il suo Figlio per noi. E questa gioia si vede nel vostro popolo, si vede nei vostri occhi, nei vostri volti, nei vostri canti e nelle vostre preghiere. La gioia con cui portate la vostra fede in altre terre. Tante volte ho detto che qui a Roma le donne filippine sono “contrabbandiere” di fede! Perché dove vanno a lavorare, lavorano, ma seminano la fede. Questa è – permettetemi la parola – una malattia generazionale [genetica], ma una beata malattia! Conservatela! Portate la fede, quell’annuncio che voi avete ricevuto 500 anni fa, e che portate adesso. Voglio dirvi grazie per la gioia che portate nel mondo intero e nelle comunità cristiane.

Testimonianza nelle famiglie romane

Penso a tante esperienze belle nelle famiglie romane – ma è così in tutto il mondo –, dove la vostra presenza discreta e laboriosa ha saputo farsi anche testimonianza di fede. Con lo stile di Maria e di Giuseppe: Dio ama portare la gioia della fede con il servizio umile e nascosto, coraggioso e perseverante. E in questa ricorrenza così importante per il santo popolo di Dio nelle Filippine, voglio anche esortarvi a non smettere l’opera di evangelizzazione – che non è proselitismo. Quell’annuncio cristiano che avete ricevuto è sempre da portare agli altri; il vangelo della vicinanza di Dio chiede di esprimersi nell’amore verso i fratelli; il desiderio di Dio che nessuno vada perduto domanda alla Chiesa di prendersi cura di chi è ferito e vive ai margini. Se Dio ama così tanto da donarci sé stesso, anche la Chiesa ha questa missione: non è inviata a giudicare, ma ad accogliere; non a imporre ma a seminare; non a condannare ma a portare Cristo che è la salvezza.

Impegno missionario

So che questo è il programma pastorale della vostra Chiesa: l’impegno missionario che coinvolge tutti e arriva a tutti. Non scoraggiatevi mai nel camminare su questa strada. Non abbiate paura di annunciare il Vangelo, di servire e di amare. E con la vostra gioia potrete fare in modo che si dica anche della Chiesa: “ha tanto amato il mondo!”. È bella e attraente una Chiesa che ama il mondo senza giudicarlo e che per il mondo dona sé stessa. Che sia così, nelle Filippine e in ogni parte della terra.


Al termine della celebrazione il cardinale Tagle ha ringraziato il Santo Padre:

Santo Padre, noi, migranti filippini a Roma, vogliamo esprimerLe la nostra gratitudine per averci guidato in questa celebrazione eucaristica di ringraziamento per l’arrivo della fede Cristiana nelle Filippine, cinquecento anni fa. Le portiamo qui l’amore filiale dei Filippini delle 7641 isole del nostro paese. Ci sono più di dieci milioni di migranti filippini che vivono in quasi cento paesi nel mondo. Sono uniti a noi questa mattina. Facciamo tesoro della Sua premura per noi e per tutti i migranti presenti a Roma, costantemente manifestata dal Suo Vicario per la Diocesi di Roma, Sua Eminenza il Cardinale Angelo de Donatis, il Direttore dell’Ufficio Diocesano Migrantes, Monsignor Pierpaolo Felicolo, e il Cappellano del Centro Filippino, P. Ricky Gente.

La gratitudine per la fede

L’arrivo della fede cristiana nella nostra terra è un dono di Dio. Il fatto che la fede cristiana sia stata ricevuta dalla maggioranza della nostra popolazione, che le ha dato una connotazione filippina, è un dono di Dio. Ora le Filippine hanno il terzo numero più alto di Cattolici nel mondo. Questo è veramente un dono di Dio. Attribuiamo la fede duratura del popolo filippino solo all’amore, alla misericordia e alla fedeltà di Dio, non ai nostri meriti. Dal 1521 al 2021, abbiamo ricevuto doni su doni. Ringraziamo Dio per i portatori di questi doni nel corso degli ultimi 500 anni: i missionari pionieri, le congregazioni religiose, il clero, le nonne e i nonni, le madri e i padri, gli insegnanti, i catechisti, le parrocchie, le scuole, gli ospedali, gli orfanotrofi, gli agricoltori, i braccianti, gli artisti e i poveri la cui ricchezza è Gesù.

Per grazia di Dio, i Cristiani filippini hanno continuato a ricevere la fede, una fonte di speranza di fronte alla povertà, alla disuguaglianza economica, agli sconvolgimenti politici, ai tifoni, alle eruzioni vulcaniche, ai terremoti e persino all’attuale pandemia. Mentre confessiamo i nostri fallimenti nel vivere la fede sempre in modo coerente, riconosciamo anche il grande contributo della fede Cristiana nel plasmare la cultura filippina e la nazione filippina. Il dono deve continuare ad essere un dono. Deve essere condiviso. Se viene tenuto per sé, cessa di essere dono.

Per il misterioso disegno di Dio, il dono della fede che ci è stato dato viene ora condiviso da milioni di migranti filippini cristiani in diverse parti del mondo. Abbiamo lasciato le nostre famiglie, non per abbandonarle, ma per prenderci cura di loro e del loro futuro. Per amore loro, sopportiamo il dolore della separazione. Quando arrivano i momenti di solitudine, noi migranti filippini troviamo la forza in Gesù che viaggia con noi, Gesù che si è fatto un bambino (Santo Niño) e si è fatto conoscere come il Nazareno (Gesù Nazareno), ha portato la Croce per noi. Siamo certi dell’abbraccio della nostra Madre Maria e della protezione dei santi.

La parrocchia, seconda casa

Quando ci mancano le nostre famiglie, ci rivolgiamo alla parrocchia, la nostra seconda casa. Quando non c’è nessuno con cui parlare, apriamo il nostro cuore a Gesù nel Santissimo Sacramento e meditiamo sulla sua parola. Ci prendiamo cura dei bambini a noi affidati come se fossero i nostri figli e degli anziani come se fossero i nostri genitori. Cantiamo, sorridiamo, ridiamo, piangiamo e mangiamo. Preghiamo affinché attraverso i nostri migranti filippini, il nome di Gesù, la bellezza della Chiesa e la giustizia, la misericordia e la gioia di Dio, possano raggiungere i confini della terra. Qui a Roma, quando ci mancano i nostri nonni, sappiamo di avere un Lolo Kiko. Molte grazie, Santo Padre