Il Papa tra i rifugiati: duro rimprovero all’Europa

Il Papa è tornato tra i rifugiati di Lesbo: “Dopo 5 anni poco è cambiato. Respingere i poveri significa respingere la pace”

Rifugiati
Il Papa a Mytilene (C) Vatican Media

Era probabilmente la tappa più attesa del viaggio di Papa Francesco in Grecia, dove è giunto ieri. Questa mattina il Santo Padre è infatti tornato a Lesbo, a cinque anni di distanza dalla visita del 16 aprile 2016. Un momento di vicinanza concreta ai tanti rifugiati che si trovano nel Reception and Identification Centre di Mytilene. E di nuovo parole chiare e dure di fronte alla “crisi umanitaria” davanti alla quale il mondo latita: “Quando i poveri vengono respinti si respinge la pace” ha detto il Pontefice. Parole dure rivolte soprattutto ad alcune nazioni europee: “In Europa c’è chi persiste nel trattare il problema come un affare che non lo riguarda”.

Francesco è stato accolto dalla Presidente della Repubblica Katerina Sakellaropoulou, e dall’Ordinario della Diocesi, mons. Josif Printezis. Il Papa è entrato dal cancello orientale del campo in auto. Ha raggiunto il luogo dell’incontro con i rifugiati a cui hanno partecipato circa 200 persone.

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Una cerimonia semplice: il canto d’inizio, il saluto del Vescovo, le testimonianze di uno dei rifugiati e di un volontario prima del discorso del Papa. Toccanti le parole di Christian Tango Mukalya, 30 anni, proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo. È giunto a Lesbo il 28 novembre 2020. Padre di tre bambini piccoli, due sono con lui, l’altro è rimasto con la madre e non ne ha più notizie.

La testimonianza di un rifugiato

“Come rifugiato, Lei lo sa meglio di me, io sono un pellegrino, richiedente asilo alla ricerca di un rifugio sicuro, di pace, della sussistenza della mia famiglia e dell’educazione dei miei due figli, in seguito alla persecuzione e alla minaccia di morte nel mio Paese d’origine. Santità, abbiamo avuto delle difficoltà per arrivare qui: sono enormi. Non posso descrivere tutto in queste righe. Ma grazie a Dio le abbiamo superate. Preghiamo che queste difficoltà mie e di tutti i miei fratelli rifugiati siano superate, per avere, come ho detto prima, un luogo sicuro in Europa per il futuro delle nostre famiglie e soprattutto per i nostri figli che hanno bisogno di una buona istruzione”.

Ed ecco il discorso del S. Padre:

Vi sono vicino

Cari fratelli e sorelle, grazie per le vostre parole. Le sono grato, Signora Presidente, per la sua presenza e le sue parole. Sorelle, fratelli, sono nuovamente qui per incontrarvi. Sono qui per dirvi che vi sono vicino e dirlo col cuore. Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime.

Rifugiati
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Il Patriarca Ecumenico e caro Fratello Bartolomeo, cinque anni fa su quest’isola, disse una cosa che mi colpì: «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli.

Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo».

Rifugiati, crisi umanitaria mondiale

Sì, è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti. La pandemia ci ha colpiti globalmente, ci ha fatti sentire tutti sulla stessa barca, ci ha fatto provare che cosa significa avere le stesse paure. Abbiamo capito che le grandi questioni vanno affrontate insieme, perché al mondo d’oggi le soluzioni frammentate sono inadeguate.

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Ma mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa, pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi nella lotta ai cambiamenti climatici, tutto sembra latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni. Eppure, ci sono in gioco persone, vite umane! C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose.

Infatti, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, «la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace».

Basta con lo scaricabarile delle responsabilità

È un’illusione pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro. La storia, ripeto, lo insegna, ma non lo abbiamo ancora imparato. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!

Sorelle, fratelli, i vostri volti, i vostri occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le vostre storie e di non dimenticare i vostri drammi. Ha scritto Elie Wiesel, testimone della più grande tragedia del secolo passato: «È perché ricordo la nostra comune origine che mi avvicino agli uomini miei fratelli. È perché mi rifiuto di dimenticare che il loro futuro è importante quanto il mio».

Contrastare gli egoismi personali e nazionali

In questa domenica, prego Dio di ridestarci dalla dimenticanza per chi soffre, di scuoterci dall’individualismo che esclude, di svegliare i cuori sordi ai bisogni del prossimo. E prego anche l’uomo, ogni uomo: superiamo la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini! Contrastiamo alla radice il pensiero dominante, quello che ruota attorno al proprio io, ai propri egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa.

Poco è cambiato per i rifugiati

Cinque anni sono passati dalla visita compiuta qui con i cari Fratelli Bartolomeo e Ieronymos. Dopo tutto questo tempo constatiamo che sulla questione migratoria poco è cambiato. Certo, molti si sono impegnati nell’accoglienza e nell’integrazione, e vorrei ringraziare i tanti volontari e quanti a ogni livello – istituzionale, sociale, caritativo, politico – si sono sobbarcati grandi fatiche, prendendosi cura delle persone e della questione migratoria. Riconosco l’impegno nel finanziare e costruire degne strutture di accoglienza e ringrazio di cuore la popolazione locale per il tanto bene fatto e i molti sacrifici provati. Vorrei ringraziare anche le autorità locali che sono impegnate nel ricevere, nel custodire e portare avanti questa gente che viene da noi. Grazie! Grazie di quello che fate.

Il rimprovero all’Europa

Ma dobbiamo amaramente ammettere che questo Paese, come altri, è ancora alle strette e che in Europa c’è chi persiste nel trattare il problema come un affare che non lo riguarda. Questo è tragico. Ricordo le sue [rivolto al Presidente] ultime parole: “che l’Europa faccia lo stesso”. E quante condizioni indegne dell’uomo! Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte! Eppure, il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto!

Non si risolvono i problemi alzando muri

È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati. Certo, si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza. È invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona. Disse ancora Elie Wiesel: «Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti».

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In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. Piuttosto che parteggiare sulle idee, può essere d’aiuto partire dalla realtà: fermarsi, dilatare lo sguardo, immergerlo nei problemi della maggioranza dell’umanità, di tante popolazioni vittime di emergenze umanitarie che non hanno creato ma soltanto subito, spesso dopo lunghe storie di sfruttamento ancora in corso.

Rimuovere le cause

È facile trascinare l’opinione pubblica istillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio? Perché non si parla di questo? Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica!


Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro, per superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione, per accogliere in modo fraterno e responsabile le culture e le tradizioni altrui.

Vergogniamoci davanti ai bambini

Rifugiati
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Soprattutto, se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro. Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: “Quale mondo volete darci?” Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte.

Fermiamo il naufragio di civiltà

Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà! Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo. La sua Parola è echeggiata, portando l’annuncio di Dio, che è «Padre e guida di tutti gli uomini». Egli ci ama come figli e ci vuole fratelli. E invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani.

Un cuore che vede

La fede chiede invece compassione e misericordia. Non dimentichiamo che questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza. La Fede esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. E il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù. Sì, perché il programma cristiano, ha scritto Papa Benedetto, «è un cuore che vede».

Il grazie ai greci per l’accoglienza dei rifugiati

E non vorrei finire questo messaggio senza ringraziare il popolo greco per l’accoglienza. Tante volte questa accoglienza diventa un problema, perché non si trovano vie di uscita per la gente, per andare altrove. Grazie, fratelli e sorelle greci, per questa generosità.

Ora preghiamo la Madonna, perché ci apra gli occhi alle sofferenze dei fratelli. Ella si mise in fretta in viaggio verso la cugina Elisabetta che era incinta. Quante madri incinte hanno trovato in fretta e in viaggio la morte mentre portavano in grembo la vita! La Madre di Dio ci aiuti ad avere uno sguardo materno, che vede negli uomini dei figli di Dio, delle sorelle e dei fratelli da accogliere, proteggere, promuovere e integrare. E amare teneramente. La Tuttasanta ci insegni a mettere la realtà dell’uomo prima delle idee e delle ideologie, e a muovere passi svelti incontro a chi soffre.

Nelle case dei rifugiati

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Al termine alcuni bambini hanno fatto un dono al Santo Padre che si è intrattenuto a lungo con alcuni rifugiati ed ha anche visitato le loro abitazioni quindi il Papa è tornato in aereo ad Atene per pranzare alla Nunziatura.