Il una sorta di “a-b-c” del buon comunicatore: Incontro, Ascolto e Parola

Venticinquesimo di fondazione del Coordinamento (COPERCOM)

Vatican Media

Questa mattina il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, i partecipanti all’Incontro promosso dal Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione (COPERCOM) in occasione del 25° anniversario di fondazione.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai partecipanti all’Udienza:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi do il benvenuto e ringrazio il Presidente del Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione per le sue cortesi parole. Sono contento di condividere questo momento di festa – rimandato di due anni per la pandemia – per il venticinquesimo di fondazione del Coordinamento, insieme a tutte le associazioni che attualmente ne fanno parte. È una ricorrenza che invita a rendere grazie per la felice intuizione di costituire, con il sostegno della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana, un’organizzazione che mettesse in rete varie associazioni nazionali che operano nel campo della comunicazione. Allo stesso tempo, è una buona opportunità per riflettere sulla missione richiesta oggi a un organismo come il vostro: infatti, i processi comunicativi cambiano continuamente e velocemente, e questo richiede un “di più” di progettualità e visione. Per questo, colgo questa occasione per riflettere con voi su alcuni obiettivi.


Il primo è, per così dire, istituzionale: il coordinamento. È un obiettivo nobile quello di mettere insieme più realtà per raggiungere un fine ben preciso. Coordinare è un verbo a voi familiare. Ma per chi? Per cosa? Sono gli interrogativi che aiutano a definire meglio l’impegno quotidiano per una buona comunicazione. Coordinare non è un’attività semplice, richiede pazienza, visione, unità d’intenti e, soprattutto, la valorizzazione delle singole identità associative, che vanno poste a servizio dell’insieme. Occorre far fruttificare i talenti e le competenze a beneficio di tutti, a servizio della Chiesa in Italia. Vi incoraggio a ripartire da qui, e a guardare al futuro con fiducia, pronti anche a imboccare strade diverse e innovative. Il cammino compiuto in questi venticinque anni vi offre già un buon bagaglio di esperienza per poter ulteriormente migliorare il lavoro di coordinamento.

Un secondo obiettivo è il cambiamento. Più volte abbiamo osservato che «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza» (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2019). Pertanto, non bisogna temere di lasciarsi interpellare dalle sfide e dalle opportunità che il tempo presente propone. In questo dovreste essere esperti: esperti di cambiamento! Infatti, occupandovi di comunicazione, sapete benissimo come le innovazioni tecnologiche stiano accelerando i processi e i passaggi generazionali. Il cambiamento, per essere  affrontato e gestito in maniera fruttuosa, richiede una buona capacità educativa e formativa. Vi invito a guardare, in modo particolare, alle nuove generazioni e a individuare i percorsi più adatti per stabilire con esse contatti significativi. E state attenti, perché cambiare non significa assecondare le mode del momento, ma convertire il proprio modo di essere e di pensare, a partire dall’atteggiamento di  stupore di fronte a ciò che non muta eppure è sempre nuovo! Stupore che è l’antidoto contro l’abitudine ripetitiva e l’autoreferenzialità. Lo stupore ti porta avanti, ti fa cambiare, ti fa camminare. L’abitudine è ripetitiva, e l’autoreferenzialità ti fa guardare a te stesso, così, allo specchio, per guardare te.

Il terzo obiettivo è un trittico: incontro, ascolto e parola. È una sorta di “a-b-c” del buon comunicatore, perché è la dinamica che sta a fondamento di ogni buona comunicazione. Anzitutto, l’incontro con l’altro: significa aprire il proprio cuore, senza finzioni, a chi si ha davanti. L’incontro è il presupposto della conoscenza. Se non c’è l’incontro, non c’è comunicazione. Ma perché ci sia incontro ci vuole la sincerità. Fare finta di incontrarsi è non incontrarsi, e questo è brutto. Poi viene l’ascolto. Molto spesso ci accostiamo agli altri con le nostre convinzioni, fatte di idee preconfezionate, e rischiamo di rimanere impermeabili alla realtà di chi abbiamo di fronte. Invece, si tratta di imparare a fare silenzio, prima di tutto dentro di sé, e a rispettare l’altro: rispettarlo non formalmente, ma effettivamente, ascoltandolo, perché ogni persona è un mistero. L’ascolto è l’ingrediente indispensabile perché ci sia un dialogo vero. Solo dopo l’ascolto, arriva la parola. Scrive San Giovanni: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1 Gv 1,3). La parola, uscita dal silenzio e dall’ascolto, può diventare annuncio, e allora la comunicazione apre alla comunione. Incontrare, ascoltare e poi parlare. Il vostro lavoro sia sempre guidato da queste azioni, ponendo sempre l’attenzione ai sostantivi, cioè alle persone, più che agli aggettivi che distraggono. Noi siamo in una cultura che è caduta nell’aggettivismo, tutto  si aggettiva, e quando si aggettiva si perde la sostanzialità della cosa. Questa stessa dinamica può imprimere anche una svolta per le diverse conflittualità che sembrano voler fagocitare questo tempo.

E infine un ultimo elemento: il percorso sinodale, del quale tutti voi avete sentito parlare. La Chiesa, anche in Italia, sta compiendo un cammino, un processo inserito in quello avviato lo scorso anno a livello universale, e che proseguirà fino al 2024. Al di là della scansione temporale, camminare in modo sinodale significa vivere appieno l’ecclesialità. Proprio come ha insegnato il Concilio Vaticano II, che sessant’anni fa stava muovendo i primi passi. Vi esorto, pertanto, a portare il vostro specifico contributo a questo cammino della Chiesa in Italia. Come associazioni nazionali siete luoghi in cui ogni giorno concetti e teorie si misurano con la fatica e la speranza delle donne e degli uomini. Questa fraternità di vita può aprire una finestra importante in un tempo di grandi conflittualità. Possiate essere, nel vostro impegno quotidiano, testimoni e tessitori di comunione.

Vi affido a San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e dei comunicatori, e al Beato Carlo Acutis, che ci mostra quanto sia importante essere creativi, essere geniali nel mondo della comunicazione digitale, non ripetitivi. Vi benedico e prego per voi. E voi, per favore, pregate per me. Grazie!