La storia di due catechisti aiutati da Acs

La fondazione pontificia nel 2020 ha sostenuto 18.389 catechisti in tutto il mondo

catechisti
Santos nel Centro di Formazione Emmaus

La figura del catechista è tornata in primo piano all’interno della Chiesa con la decisione di Papa Francesco di istituire un ministero specifico. Una figura che in realtà è sempre stata fondamentale per l’evangelizzazione, soprattutto in situazioni di difficoltà per le persecuzioni, più o meno evidenti e violente, o per le situazioni di povertà. Per questo Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ha sempre sostenuto le attività dei catechisti.

Un sostegno pratico

Una nota della fondazione pontificia spiega, numeri alla mano, quale sia stato il contributo offerto grazie a tanti benefattori. ACS nel solo 2020 ha infatti finanziato progetti per sostenere l’attività di 18.389 catechisti e laici impegnati nella pastorale, in particolare: 9.644 in Asia, 5.660 in Africa, 2.111 in America Latina, 524 nell’Europa centrale e orientale, 450 nel Medio Oriente. La fondazione, nello stesso 2020, ha inoltre finanziato 20 progetti per la fornitura di materiale catechetico e pastorale e 35 programmi di formazione per catechisti in 18 nazioni, tra le quali Pakistan, Etiopia e Ucraina. 

Ma siccome i numeri sono spesso aridi e dietro questi numeri ci sono invece i nomi e i volti di persone in carne e ossa, ACS ha deciso di raccontare due storie che sono testimonianze importanti di cosa significhi essere catechisti in un contesto che non è certamente “comodo”.

Dall’odio della guerra al perdono

La prima è quella di John Joseph Gasi. La guerra civile in Sud Sudan gli ha strappato la famiglia, la casa e le radici. «Mio padre, mia sorella e mio fratello sono stati uccisi. Tutto è avvenuto nell’arco di pochi minuti» ha raccontato in un colloquio con la fondazione pontificia. John è fuggito in Uganda insieme a un milione di altri rifugiati, gran parte dei quali ha ferite interiori profonde, in particolare quanti tra di loro sono stati impiegati come bambini-soldato.

Molti di loro erano colmi di odio e di pensieri di vendetta. Ho parlato loro del perdono», spiega il giovane, compiendo un gesto che molti hanno considerato ingenuo e senza speranza. Lo scetticismo diffuso non lo ha tuttavia paralizzato perché, pur avendo perso tutto, ha conservato la fede. Per questo motivo ha deciso di formarsi per diventare catechista e i benefattori di ACS hanno finanziato la sua formazione.

Soldato di Gesù

Il Centro Emmaus, con sede vicino Kampala, la capitale ugandese, insegna a giovani come John Joseph Gasi a curare le ferite dei compatrioti. «Ora sono un soldato di Gesù. Combatto per far tornare le anime a Dio», spiega il giovane, che insieme ad altri catechisti ha appreso anche i fondamenti della psicologia per aiutare i rifugiati che hanno ceduto all’alcolismo. «Ringrazio ACS per il suo sostegno. Ora posso portare speranza e amore alla mia gente» conclude John Joseph Gasi.


Curare le ferite interiori

Un’altra storia significativa è quella di Santos Tai Gatluk, nato nel 1986, anche lui in fuga dal conflitto del Sud Sudan e rifugiato in Uganda. «Ora vivo a Bidibidi. Sono stato chiamato a dare aiuto con il catechismo della Chiesa». Nel 2019, racconta ad ACS, «sono venuto al Centro Emmaus. Era quando ACS sosteneva un corso di formazione per noi». È stata «una grande esperienza», grazie alla quale ora contribuisce a sanare le ferite interiori dei suoi compatrioti oppressi dalle tragiche conseguenze della guerra.