Leone XIV: “Gesù Cristo, seminatore di speranza”
Nella sua prima udienza generale, il nuovo Pontefice invita a riscoprire la forza trasformativa delle parabole di Gesù e chiede la fine della violenza in Terra Santa

Con Piazza San Pietro gremita di fedeli, mercoledì Papa Leone XIV ha inaugurato il suo ciclo di catechesi, segnando un primo passo fortemente simbolico e pastorale del suo recente pontificato. Nel suo messaggio risuonavano chiaramente due parole: misericordia e pace.
Nella sua riflessione, il Papa ha proposto di ritornare alle parabole di Gesù, quei “gioielli del Vangelo” che, ha affermato, hanno il potere di aprire il cuore umano alla speranza e alla conversione. «Le parabole sono come finestre aperte sul cuore di Dio», ha affermato, sottolineando che non si tratta di semplici racconti con una morale, ma di autentici percorsi per incontrare il Signore. In particolare, ha ricordato che questi insegnamenti di Cristo rivelano un Dio che non si stanca mai di tendere la mano all’umanità, anche quando è perduta.
Leone XIV sottolineava che il linguaggio delle parabole sfida la coscienza, non attraverso la condanna, ma attraverso un invito al cambiamento. In un mondo ferito dalla fretta, dall’indifferenza e dalla superficialità, il Papa ha incoraggiato i cristiani a fermarsi e a lasciarsi toccare dalla Parola viva di Dio, che, come un seme, può trasformare anche il terreno più arido.
Ma la catechesi non è stato l’unico momento forte di questa prima udienza. Con voce profonda e sguardo compassionevole, il Pontefice ha lanciato un forte appello alla pace, soffermandosi in particolare sulla tragica situazione di Gaza. “La guerra è sempre una sconfitta. E quando muoiono persone innocenti, soprattutto bambini, il cuore di Dio si spezza”, ha detto. Le sue parole, pronunciate con tono calmo ma fermo, provocarono un silenzio commosso tra i presenti.
Ha esortato la comunità internazionale a non voltarsi dall’altra parte e ha chiesto gesti concreti di dialogo e riconciliazione. «L’umanità non può abituarsi al dolore degli altri», ha dichiarato, chiarendo che il suo pontificato sarà guidato dai più vulnerabili.
Questa prima udienza generale di Leone XIV lasciò un’impronta chiara dello stile che egli voleva imprimere al suo ministero: vicinanza, profondità spirituale e un impegno determinato per la giustizia e la pace. Non ci sono stati grandi discorsi teologici o complicate formule dottrinali, ma un messaggio diretto al cuore, dove la Parola di Dio e la sofferenza del popolo si abbracciano in un unico grido.
Inizia così un nuovo capitolo per la Chiesa universale, ora guidata da un Papa che, nel suo primo incontro con i fedeli del mondo, ha ricordato che il Vangelo non è un’idea astratta, ma una forza viva che può cambiare il mondo… se per primi gli permettiamo di cambiare noi.
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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Le parabole. 6. Il seminatore. Egli parlò loro di molte cose con parabole (Mt 13,3a)
Cari fratelli e sorelle,
Sono lieto di accogliervi in questa mia prima Udienza generale. Riprendo oggi il ciclo di catechesi giubilari, sul tema «Gesù Cristo Nostra Speranza», iniziate da Papa Francesco.
Continuiamo oggi a meditare sulle parabole di Gesù, che ci aiutano a ritrovare la speranza, perché ci mostrano come Dio opera nella storia. Oggi vorrei fermarmi su una parabola un po’ particolare, perché si tratta di una specie di introduzione a tutte le parabole. Mi riferisco a quella del seminatore (cfr Mt 13,1-17). In un certo senso, in questo racconto possiamo riconoscere il modo di comunicare di Gesù, che ha tanto da insegnarci per l’annuncio del Vangelo oggi.
Ogni parabola racconta una storia che è presa dalla vita di tutti i giorni, eppure vuole dirci qualcosa in più, ci rimanda a un significato più profondo. La parabola fa nascere in noi delle domande, ci invita a non fermarci all’apparenza. Davanti alla storia che viene raccontata o all’immagine che mi viene consegnata, posso chiedermi: dove sono io in questa storia? Cosa dice questa immagine alla mia vita? Il termine parabola viene infatti dal verbo greco paraballein, che vuol dire gettare innanzi. La parabola mi getta davanti una parola che mi provoca e mi spinge a interrogarmi.
La parabola del seminatore parla proprio della dinamica della parola di Dio e degli effetti che essa produce. Infatti, ogni parola del Vangelo è come un seme che viene gettato nel terreno della nostra vita. Molte volte Gesù utilizza l’immagine del seme, con diversi significati. Nel capitolo 13 del Vangelo di Matteo, la parabola del seminatore introduce una serie di altre piccole parabole, alcune delle quali parlano proprio di ciò che avviene nel terreno: il grano e la zizzania, il granellino di senape, il tesoro nascosto nel campo. Cos’è dunque questo terreno? È il nostro cuore, ma è anche il mondo, la comunità, la Chiesa. La parola di Dio, infatti, feconda e provoca ogni realtà.
All’inizio, vediamo Gesù che esce di casa e intorno a Lui si raduna una grande folla (cfr Mt 13,1). La sua parola affascina e incuriosisce. Tra la gente ci sono ovviamente tante situazioni differenti. La parola di Gesù è per tutti, ma opera in ciascuno in modo diverso. Questo contesto ci permette di capire meglio il senso della parabola.
Un seminatore, alquanto originale, esce a seminare, ma non si preoccupa di dove cade il seme. Getta i semi anche là dove è improbabile che portino frutto: sulla strada, tra i sassi, in mezzo ai rovi. Questo atteggiamento stupisce chi ascolta e induce a domandarsi: come mai?
Noi siamo abituati a calcolare le cose – e a volte è necessario –, ma questo non vale nell’amore! Il modo in cui questo seminatore “sprecone” getta il seme è un’immagine del modo in cui Dio ci ama. È vero infatti che il destino del seme dipende anche dal modo in cui il terreno lo accoglie e dalla situazione in cui si trova, ma anzitutto in questa parabola Gesù ci dice che Dio getta il seme della sua parola su ogni tipo di terreno, cioè in qualunque nostra situazione: a volte siamo più superficiali e distratti, a volte ci lasciamo prendere dall’entusiasmo, a volte siamo oppressi dalle preoccupazioni della vita, ma ci sono anche i momenti in cui siamo disponibili e accoglienti. Dio è fiducioso e spera che prima o poi il seme fiorisca. Egli ci ama così: non aspetta che diventiamo il terreno migliore, ci dona sempre generosamente la sua parola. Forse proprio vedendo che Lui si fida di noi, nascerà in noi il desiderio di essere un terreno migliore. Questa è la speranza, fondata sulla roccia della generosità e della misericordia di Dio.
Raccontando il modo in cui il seme porta frutto, Gesù sta parlando anche della sua vita. Gesù è la Parola, è il Seme. E il seme, per portare frutto, deve morire. Allora, questa parabola ci dice che Dio è pronto a “sprecare” per noi e che Gesù è disposto a morire per trasformare la nostra vita.
Ho in mente quel bellissimo dipinto di Van Gogh: Il seminatore al tramonto. Quell’immagine del seminatore sotto il sole cocente mi parla anche della fatica del contadino. E mi colpisce che, alle spalle del seminatore, Van Gogh ha rappresentato il grano già maturo. Mi sembra proprio un’immagine di speranza: in un modo o nell’altro, il seme ha portato frutto. Non sappiamo bene come, ma è così. Al centro della scena, però, non c’è il seminatore, che sta di lato, ma tutto il dipinto è dominato dall’immagine del sole, forse per ricordarci che è Dio a muovere la storia, anche se talvolta ci sembra assente o distante. È il sole che scalda le zolle della terra e fa maturare il seme.
Cari fratelli e sorelle, in quale situazione della vita oggi la parola di Dio ci sta raggiungendo? Chiediamo al Signore la grazia di accogliere sempre questo seme che è la sua parola. E se ci accorgessimo di non essere un terreno fecondo, non scoraggiamoci, ma chiediamo a Lui di lavorarci ancora per farci diventare un terreno migliore.
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APPELLO
per la popolazione della Striscia di Gaza
È sempre più preoccupante e dolorosa la situazione nella Striscia di Gaza. Rinnovo il mio appello accorato a consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani, dalle persone malate.
* * *
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti del Pontificio Seminario Lombardo e i Legionari di Cristo, e li esorto a fondare la loro vita su Gesù e sulla salda roccia della sua Parola, per esserne coraggiosi annunciatori. Saluto inoltre le Suore di San Giuseppe di Annecy e le Monache della Passione di Gesù Cristo, che celebrano i rispettivi Capitoli generali: care sorelle, vi accompagno con la mia preghiera affinché il Signore renda fruttuoso il vostro impegno apostolico.
Accolgo con affetto i gruppi parrocchiali e li incoraggio a seguire con fedeltà il Vangelo, per essere cristiani autentici in famiglia e in ogni altro ambiente.
Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, augurando a ciascuno di servire sempre Dio nella gioia e di amare il prossimo con spirito evangelico.
E non possiamo concludere questo nostro incontro senza ricordare con tanta gratitudine l’amato Papa Francesco, che proprio un mese fa è tornato alla casa del Padre.
A tutti la mia benedizione.
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