Perdono, una porta per la felicità

Intervista a monsignor Francisco Ugarte Corcuera

perdono felicità
Monsignor Ugarte

Vogliamo tutti essere felici e abbiamo tra le mani una delle chiavi più belle per ottenerlo, il perdono. Il perdono è la più alta manifestazione dell’amore e, di conseguenza, ciò che più trasforma il cuore umano. Tuttavia, c’è un grande ostacolo che lo rende difficile: il risentimento.

In questa intervista, rilasciata a Exaudi, monsignor Francisco Ugarte Corcuera affronta il tema del risentimento, approfondisce la bellezza del perdono e offre alcune soluzioni per applicarlo alla vita quotidiana.

Chi è Francisco Ugarte?

Monsignor Francisco Ugarte Corcuera è nato a Guadalajara, in Messico. Laureato in Filosofia presso l’Università Autonoma del Messico e dottorato in Filosofia presso l’Università della Santa Croce, a Roma. È stato professore, direttore del corso di laurea di Filosofia e direttore accademico dell’Universidad Panamericana.

Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1980. Dal 2002 al 2017 è stato Vicario dell’Opus Dei per il Messico. Attualmente è delegato dell’Opus Dei per il Messico e El Salvador. Ha svolto un ampio lavoro pastorale e tenuto innumerevoli conferenze su argomenti antropologici. Le sue pubblicazioni includono Vivere nella realtà per essere felici, Dal risentimiento al perdono. Una porta per la felicità, Invidia del male. Invidia del bene, La strada per la felicità, Cos’è l’amicizia? Capiscilo per viverla, tutti pubblicati da Rialp.

Nelle omelie dominicali spiega le letture bibliche che sono state lette durante la messa, per facilitarne la comprensione e l’applicazione nella vita quotidiana del cristiano. Ogni settimana è possibile ricevere questo servizio tramite WhatsApp.

Perché scrivere un libro che affronti il ​​problema umano del risentimento e la questione del perdono?

Il motivo che mi ha spinto a scrivere il libro è l’aver verificato che tante persone che potrebbero essere felici, perché fruiscono di condizioni sufficienti per la felicità, non lo sono perché hanno un problema dentro che glielo impedisce e questo spesso è il risentimento. Ero interessato a promuovere la felicità, quindi ho visto chiaramente che dovevo spiegare in cosa consiste il risentimento, perché è un ostacolo alla felicità e alle sue possibili soluzioni. In questo modo si potrebbe aiutare le persone a ritrovare la felicità.

A volte è facile perdonare e a volte no, perché succede?

Dipende dal tipo di offesa, se è piccola è più facile perdonare che se è grande. Influisce anche la situazione personale, se l’offesa colpisce una corda importante per l’offeso, allora il dolore si farà sentire di più e sarà più difficile perdonare. Ad esempio, qualcuno che ha un difetto fisico e riceve un commento critico su questo suo aspetto: se la persona è molto sensibile, l’osservazione sembrerà pesantemente offensiva. Un’altra persona che abbia lo stesso difetto ma non lo prenda così sul serio, sarà influenzata molto meno dallo stesso commento e le sarà più facile perdonare. C’è un terzo aspetto che dipende dalle caratteristiche della persona che crea l’offesa, se questa persona è distante o sconosciuta, sarà più facile perdonarla che se è una persona più vicina, poiché le sue offese colpirebbero di più. È più facile perdonare lo straniero che il vicino. Tuttavia, se l’amore è grande, il perdono sarà sempre più facile.

Come posso sapere se sono una persona risentita?

La differenza tra sentimento e risentimento è che sentire è “sentire” il dolore, “sentire” l’offesa. Risentimento significa “risentire” la ferita, vale a dire che l’offesa è rimasta dentro la persona ed è diventata qualcosa di ossessivo, cioè la persona vive concentrata su quell’evento e sente di nuovo l’offesa come se fosse del tutto attuale anche se è passato del tempo. Per sapere se una persona è risentita, bisogna vedere quanto vive concentrata sulla sua ferita, quanto rievoca, ovvero quanto ripensa al torto subito: se è così angosciata, allora è una persona risentita. D’altra parte, se l’offesa viene gestita in modo più naturale senza farla accumulare dentro e senza che la persona si concentri su di essa, allora possiamo pensare che in quel caso non ci sia risentimento.

Perdonare, è dimenticare? Entrambi producono lo stesso effetto?

Abbiamo tutti sentito l’espressione “perdono ma non dimentico”. Se la persona non vuole dimenticare è perché in fondo non vuole perdonare; mi sembra che sia così nella maggior parte dei casi. Quando una persona perdona, non significa che, perdonando, automaticamente dimentichi l’offesa ricevuta perché quella rimane sempre nella memoria.

La decisione di perdonare è un atto della volontà che consiste nel dire: “Annullo il debito morale che l’altro ha contratto con me e cercherò di procedere come se niente fosse stato”. Bisogna poi fare in modo di rimanere fedeli a questa scelta del perdonare, una volta eseguita. Questo è un passo difficile, perché i ricordi del torto subito torneranno sempre a ripresentarsi più pesanti che mai e questo ci impedirà, lucidamente, di allontanarli.

Il ricordo può rimanere valido ma bisognerà cercare di metterlo da parte per trattare l’autore dell’offesa come se nulla fosse accaduto. Una cosa diversa è quando l’aggressore non si è pentito per cui c’è ancora il pericolo latente che offenda di nuovo. In questo caso è corretto ricordare quanto accaduto per evitare che si ripeta, sia per il bene dell’offeso, che ha il diritto di tutelarsi, sia per il bene dell’altro per aiutarlo a non ricadere nel suo comportamento aggressivo. Perdonare non è cancellare un torto subito, ma cambiare gli slogan mnemonici che un ricordo porta con sé.

Pertanto, perdonare non è la stessa cosa di dimenticare, ma potremmo dire che in circostanze ordinarie, perdonare significa voler dimenticare.

“Per perdonare è necessario ristabilire il rapporto che avevi con l’altro, prima che venisse commesso l’offesa”… Non è facile, come fare? Come percorrere questo sentiero del perdono?


In effetti non è facile poiché il risentimento è nell’ordine emotivo, invece il perdono è un atto razionale, un atto della volontà, non del sentimento in quanto tale. Se riusciamo a distinguere queste due aree, che solitamente sono intrecciate, se riusciamo a capire cos’è un’emozione, un sentimento e cos’è una decisione della volontà, credo che le cose possano venire chiarite. Quando una persona perdona, non significa che i sentimenti scompaiano automaticamente, e nemmeno il ricordo. Idealmente, quel perdono porterà a cambiare anche i sentimenti. È compatibile all’inizio aver perdonato e continuare a provare odio, rifiuto e persino desiderio di vendetta nei confronti dell’altro, ma l’importante sarà in questi casi, non acconsentire a quei sentimenti, ma far sì che la volontà rimanga ferma nel dire : “Ho già perdonato e non accetto quello che provo”.

Per trasformare i sentimenti negativi verso la persona che ho già perdonato, basterebbe seguire due consigli molto significativi del Catechismo della Chiesa Cattolica: Il primo è “Cambia la ferita in compassione” il che significa uscire fuori dal nostro modo di pensare usuale e mettersi nei panni di colui che ci ha recato danno. Perché lo ha fatto? Se sono in grado di capire la persona che mi ha offeso e rendermi conto che è lei che si sta facendo del male, proverò compassione nei suoi confronti e questo sentimento eliminerà gradualmente i miei sentimenti negativi di odio, rifiuto o vendetta.

Il secondo consiglio è “trasforma la ferita in intercessione”, il che significa che, se sento la ferita e continuo a sentirla, devo approfittarne per pregare per la persona che mi ha offeso. L’atto di rivolgermi a Dio per quella persona che mi ha ferito è anche un modo per purificare i miei sentimenti e un mezzo perché Dio mi aiuti a trasformarli in sentimenti positivi.

Perdonare è la più alta manifestazione dell’amore e, di conseguenza, è ciò che più trasforma il cuore umano.

Come perdonare l’imperdonabile?

Perdonare è un atto umano, è la persona che perdona, ma può accadere che l’offesa sia di tale portata e forza che sia umanamente impossibile perdonare. Ci sono situazioni nella vita (un omicidio, un rapimento, uno stupro, ecc.), che possono essere perdonate solo con l’aiuto divino perché le forze umane sono insufficienti. In questi casi è possibile perdonare solo con l’aiuto di Dio, chiedendogli di darci la forza che ci manca per fare il passo verso il perdono.

Può una persona che non crede in Dio perdonare?

Sì, una brava persona che ama può perdonare. Se ci poniamo nel caso dell’imperdonabile, dove le forze umane non bastano ed è necessario andare da Dio, certamente questa persona potrebbe ricevere da Dio la grazia di perdonare, ma ordinariamente, poiché non crede in Dio, non andando da Lui per chiedergli questo supporto e senza di esso, probabilmente non sarà in grado di perdonare del tutto.

Come la grazia di Dio ci aiuta a fare questo passo?

Tornerei anche un po’ più indietro. Il perdono di per sé porta molti benefici in vari settori della vita, a partire dall’ordine fisico. È scientificamente provato che chi perdona sperimenta una riduzione della sostanza chiamata cortisolo che genera stress e tensione nell’organismo. Nell’ordine emotivo, una persona che perdona guadagna molto terreno poiché riduce il livello di rabbia, diventa più ottimista e riduce la depressione. A livello esistenziale, chi perdona riacquista la pace e la felicità, forse perdute indulgendo al risentimento. Quelli che non riescono a perdonare sono ancora attaccati a ciò che sarebbe potuto avvenire.

Nell’ordine spirituale, ricordiamoci che Gesù Cristo disse “perdona le nostre offese, così come anche noi perdoniamo coloro che ci offendono”. Egli, quindi, indica come condizione per essere perdonati da Dio che perdoniamo gli altri. La chiave che apre il cuore perché possa entrare il perdono divino è l’atto di perdonare liberamente chi ci ha offeso. Quindi il perdono porta un beneficio spirituale di enorme importanza: permette di ricevere il perdono di Dio in modo che l’anima sia pulita e in grado di vivere molto vicino a lui. Il perdono redime la persona stessa, non un altro. Con il perdono torniamo liberi.

Potrebbe condividere con noi alcune esperienze di questi benefici del perdono nelle anime, che ha trovato nel suo lavoro pastorale

Un’esperienza frequente è incontrare persone che dicono “Non posso perdonare e poiché Gesù Cristo ha detto che per essere perdonati da Lui dobbiamo prima perdonare, di conseguenza io non potrò ricevere il perdono”. Per questo si allontanano dalla Chiesa e dai sacramenti perché pensano di non poter essere perdonati.

Quando viene spiegato loro che il perdono non è un sentimento, ma un atto della volontà,  cioè la decisione di annullare il debito morale che l’altra persona ha contratto offendendo, e che quindi possono perdonare anche se non sono in grado di cambiare i loro sentimenti in quel momento, allora anche quella persona fa il passo del perdono e sperimenta una grande pace. È necessario chiarire che se i sentimenti negativi riappaiono, non si deve acconsentire ad essi, confermando così la loro decisione di perdonare. Capire questo apre un mondo completamente nuovo.

Quando una persona si pente sinceramente dei suoi peccati, parla chiaramente di ciò che è accaduto, fa una buona confessione e riceve l’assoluzione, c’è una grande gioia in lei. Per me vedere quella gioia in una persona che è stata perdonata da Dio, attraverso il sacramento della confessione, è una delle principali soddisfazioni che ricevo come sacerdote.

Mi giungono notizie, ad esempio, di persone che stavano per sciogliere il loro matrimonio, ma che, dopo aver letto il mio libro Dal risentimento al perdono. Una porta per la felicità, hanno cambiato idea, si sono riconciliati e sono andati avanti.