Udienza Generale: Catechesi sulla Vecchiaia

Eleazaro, la coerenza della fede, eredità dell’onore

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L’Udienza Generale di questa mattina si svolge in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco incontra gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.  Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla Vecchiaia, incentra la sua riflessione sul tema: Eleazaro, la coerenza della fede, eredità dell’onore. (Lettura: 2 Mac 6,18.23-25).

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre indirizza particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si conclude con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

Catechesi del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di queste catechesi sulla vecchiaia, oggi incontriamo un personaggio biblico – un anziano – di nome Eleazaro, vissuto ai tempi della persecuzione di Antioco Epifane. È una bella figura. La sua figura ci consegna una testimonianza dello speciale rapporto che esiste fra la fedeltà della vecchiaia e l’onore della fede. È uno fiero questo! Vorrei parlare proprio dell’onore della fede, non solo della coerenza, dell’annuncio, della resistenza della fede. L’onore della fede si trova periodicamente sotto la pressione, anche violenta, della cultura dei dominatori, che cerca di svilirla trattandola come un reperto archeologico, o vecchia superstizione, puntiglio anacronistico e così via.

Il racconto biblico – ne abbiamo ascoltato un piccolo brano, ma è bello leggerlo tutto – narra l’episodio degli ebrei costretti da un decreto del re a mangiare carni sacrificate agli idoli. Quando viene il turno di Eleazaro, che era un anziano novantenne molto stimato da tutti e autorevole, gli ufficiali del re lo consigliano di fare una simulazione, cioè di fingere di mangiare le carni senza farlo realmente. Ipocrisia religiosa, c’è tanta ipocrisia religiosa, ipocrisia clericale. Questi gli dicono: “Ma fa’ un po’ l’ipocrita, nessuno se ne accorgerà”. Così Eleazaro si sarebbe salvato, e – dicevano quelli – in nome dell’amicizia avrebbe accettato il loro gesto di compassione e di affetto. Dopo tutto – insistevano – si trattava di un gesto minimo, far finta di mangiare ma non mangiare, un gesto insignificante.


È poca cosa, ma la pacata e ferma risposta di Eleazaro fa leva su un argomento che ci colpisce. Il punto centrale è questo: disonorare la fede nella vecchiaia, per guadagnare una manciata di giorni, non è paragonabile con l’eredità che essa deve lasciare ai giovani, per intere generazioni a venire. Ma bravo questo Eleazaro! Un vecchio che è vissuto nella coerenza della propria fede per un’intera vita, e ora si adatta a fingerne il ripudio, condanna la nuova generazione a pensare che l’intera fede sia stata una finzione, un rivestimento esteriore che può essere abbandonato, pensando di poterlo conservare nel proprio intimo. E non è così, dice Eleazaro. Un tale comportamento non onora la fede, neppure di fronte a Dio. E l’effetto di questa banalizzazione esteriore sarà devastante per l’interiorità dei giovani. La coerenza di quest’uomo che pensa ai giovani, pensa all’eredità futura, pensa al suo popolo!

Proprio la vecchiaia – e questo è bello per i vecchi – appare qui il luogo decisivo, il luogo insostituibile, di questa testimonianza. Un anziano che, a motivo della sua vulnerabilità, accettasse di considerare irrilevante la pratica della fede, farebbe credere ai giovani che la fede non abbia alcun reale rapporto con la vita. Essa apparirebbe loro, fin dal suo inizio, come un insieme di comportamenti che, all’occorrenza, possono essere simulati o dissimulati, perché nessuno di essi è così importante per la vita.

L’antica gnosi eterodossa, che è stata un’insidia molto potente e molto seducente per il
cristianesimo dei primi secoli, teorizzava proprio questo: che la fede è una spiritualità, non una
pratica; una forza della mente, non una forma della vita. La fedeltà e l’onore della fede, secondo
questa eresia, non hanno nulla a che fare con i comportamenti della vita, le istituzioni della comunità,
i simboli del corpo. La seduzione di questa prospettiva è forte, perché essa interpreta, a suo modo,
una verità indiscutibile: che la fede non si può mai ridurre a un insieme di regole alimentari o di
pratiche sociali. Il guaio è che la radicalizzazione gnostica di questa verità vanifica il realismo della
fede cristiana, che invece deve passare sempre attraverso l’incarnazione. E svuota anche la sua
testimonianza, che mostra i segni concreti di Dio nella vita della comunità e resiste alle perversioni
della mente attraverso i gesti del corpo.

La tentazione gnostica che è una delle – diciamo la parola – eresie, una delle deviazioni religiose di questo tempo, la tentazione gnostica rimane sempre attuale. In molte linee di tendenza della nostra società e nella nostra cultura, la pratica della fede subisce una rappresentazione negativa, a volte sotto forma di ironia culturale, a volte con una occulta emarginazione. La pratica della fede per questi gnostici che già c’erano al tempo di Gesù, è considerata come un’esteriorità inutile e anzi nociva, come un residuo antiquato, come una superstizione mascherata. Insomma, una cosa per i vecchi. La pressione che questa critica indiscriminata esercita sulle giovani generazioni è forte. Certo, sappiamo che la pratica della fede può diventare un’esteriorità senz’anima – questo è l’altro pericolo, il contrario – ma in sé stessa non lo è affatto. Forse tocca proprio a noi, i vecchi una missione molto importante: restituire alla fede il suo onore, farla coerente che è la testimonianza di Eleazaro, la coerenza fino alla fine. La pratica della fede non è il simbolo della nostra debolezza, ma piuttosto il segno della sua forza. Non siamo più ragazzi. Non abbiamo scherzato quando ci siamo messi sulla strada del Signore!

La fede merita rispetto e onore fino alla fine: ci ha cambiato la vita, ci ha purificato la mente, ci ha insegnato l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo. È una benedizione per tutti! Ma tutta la fede, non una parte. Non baratteremo la fede per una manciata di giorni tranquilli, ma faremo come Eleazaro, coerente fino alla fine fino al martirio. Dimostreremo, in tutta umiltà e fermezza, proprio nella nostra vecchiaia, che credere non è una cosa “da vecchi”, ma è cosa di vita. Credere allo Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose, e Lui ci aiuterà volentieri.

Cari fratelli e sorelle anziani, per non dire vecchi – siamo nello stesso gruppo – per favore, guardiamo ai giovani. Loro ci guardano, non dimentichiamo questo. Mi viene in mente quel film del Dopoguerra tanto bello: “I bambini ci guardano”. Noi possiamo dire lo stesso con i giovani: i giovani ci guardano e la nostra coerenza può aprire loro una strada di vita bellissima. Invece, un’eventuale ipocrisia farà tanto male. Preghiamo gli uni per gli altri. Che Dio benedica tutti noi vecchi!