Viaggio in Canada: Omelia del Santo Padre a Edmonton

Santa Messa nel Commonwealth Stadium di Edmonton

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Questa mattina, lasciato il St. Joseph Seminary, il Santo Padre Francesco si reca in auto al Commonwealth Stadium di Edmonton.

Al Suo arrivo, il Papa compie alcuni giri in papamobile tra i fedeli anche nell’adiacente Clarke Stadium e alle ore 10.15 (18.15 ora di Roma) presiede la Celebrazione Eucaristica nella Festa dei Santi Gioacchino ed Anna, genitori della Beata Vergine Maria.

Dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre pronuncia l’omelia.

Al termine della Santa Messa, l’Arcivescovo di Edmonton, S.E. Mons. Richard William Smith, rivolge un indirizzo di saluto e di ringraziamento al Santo Padre. Quindi Papa Francesco rientra in auto al St. Joseph Seminary dove pranza in privato.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

Omelia del Santo Padre

Oggi è la festa dei nonni di Gesù; il Signore ha voluto che ci incontrassimo così numerosi proprio in questa occasione tanto cara a voi, come a me. Nella casa di Gioacchino e Anna il piccolo Gesù ha conosciuto i suoi anziani e ha sperimentato la vicinanza, la tenerezza e la saggezza dei
nonni. Pensiamo anche noi ai nostri nonni e riflettiamo su due aspetti importanti.

Il primo: siamo figli di una storia da custodire. Non siamo individui isolati, non siamo isole, nessuno viene al mondo slegato dagli altri. Le nostre radici, l’amore che ci ha atteso e che abbiamo ricevuto venendo al mondo, gli ambienti familiari in cui siamo cresciuti, fanno parte di una storia unica, che ci ha preceduti e generati. Non l’abbiamo scelta, ma ricevuta in dono; ed è un dono che siamo chiamati a custodire. Perché, come ci ha ricordato il Libro del Siracide, siamo «i posteri» di chi ci ha preceduto, la loro «preziosa eredità» (Sir 44,11). Un’eredità che, al di là delle prodezze o dell’autorità di alcuni, dell’intelligenza o della creatività di altri nel canto o nella poesia, ha il suo centro nella giustizia, nell’essere fedeli a Dio, alla sua volontà. E questo ci hanno trasmesso. Per accogliere veramente chi siamo e quanto siamo preziosi, abbiamo bisogno di assumere in noi coloro da cui discendiamo, coloro che non hanno pensato solo a sé stessi, ma ci hanno trasmesso il tesoro della vita. Siamo qui grazie ai genitori, ma anche grazie ai nonni che ci hanno fatto sperimentare di essere benvenuti nel mondo. Sono stati spesso loro ad amarci senza riserve e senza attendere qualcosa da noi: loro ci hanno presi per mano quando avevamo paura, rassicurati nel buio della notte, incoraggiati quando alla luce del sole dovevamo affrontare le scelte della vita. Grazie ai nonni abbiamo ricevuto una carezza da parte della storia che ci ha preceduto: abbiamo imparato che il bene, la tenerezza e la saggezza sono radici salde dell’umanità. Nella casa dei nonni in tanti abbiamo respirato il profumo del Vangelo, la forza di una fede che ha il sapore di casa. Grazie a loro abbiamo scoperto una fede familiare, domestica; sì, perché la fede si comunica essenzialmente così, si comunica “in dialetto”, si comunica attraverso l’affetto e l’incoraggiamento, la cura e la vicinanza

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Questa è la nostra storia da custodire, la storia di cui siamo eredi: siamo figli perché siamo nipoti. I nonni hanno impresso in noi il timbro originale del loro modo di essere, dandoci dignità, fiducia in noi stessi e negli altri. Essi ci hanno trasmesso qualcosa che dentro di noi non potrà mai cancellarsi e, allo stesso tempo, ci hanno permesso di essere persone uniche, originali e libere. Così, proprio dai nonni abbiamo appreso che l’amore non è mai una costrizione, non priva mai l’altro della sua libertà interiore. Gioacchino e Anna hanno amato così Maria; e Maria ha amato così Gesù, con un amore che non lo ha mai soffocato né trattenuto, ma lo ha accompagnato ad abbracciare la missione per cui era venuto nel mondo. Cerchiamo di imparare questo come singoli e come Chiesa: mai opprimere la coscienza dell’altro, mai incatenare la libertà di chi ci sta di fronte e, soprattutto, mai mancare di amore e di rispetto per le persone che ci hanno preceduto e ci sono affidate, tesori preziosi che custodiscono una storia più grande di loro.


Custodire la storia che ci ha generato – ci dice ancora il Libro del Siracide – significa non offuscare “la gloria” degli antenati: non smarrirne la memoria, non dimenticarci della storia che ha partorito la nostra vita, ricordarci sempre di quelle mani che ci hanno accarezzato e tenuto in braccio, perché è a questa fonte che troviamo consolazione nei momenti di sconforto, luce nel discernimento, coraggio per affrontare le sfide della vita. Ma significa anche tornare sempre a quella scuola, dove abbiamo appreso e vissuto l’amore. Significa, di fronte alle scelte da prendere oggi, domandarci che cosa farebbero al nostro posto gli anziani più saggi che abbiamo conosciuto, che cosa ci consigliano o ci consiglierebbero i nostri nonni e bisnonni.

Cari fratelli e sorelle, chiediamoci allora: siamo figli e nipoti che sanno custodire la ricchezza ricevuta? Facciamo memoria dei buoni insegnamenti ereditati? Parliamo con i nostri anziani, dedichiamo tempo per ascoltarli? E ancora, nelle nostre case, sempre più equipaggiate,
moderne e funzionali, sappiamo ricavare uno spazio degno per conservare i loro ricordi, un luogo apposito, un piccolo sacrario familiare che, attraverso immagini e oggetti cari, ci permetta anche di elevare il pensiero e la preghiera a chi ci ha preceduto? Abbiamo conservato la Bibbia e il rosario dei nostri antenati? Pregare per loro e in unione con loro, dedicare tempo a fare memoria, custodire l’eredità: nella nebbia della dimenticanza che assale i nostri tempi vorticosi è fondamentale coltivare le radici. È così che cresce l’albero, è così che si costruisce il futuro.

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Giungiamo così a riflettere su un secondo aspetto: oltre che figli di una storia da custodire siamo artigiani di una storia da costruire. Ciascuno può riconoscere di essere quel che è, con le sue luci e le sue ombre, a seconda dell’amore che ha ricevuto o che gli è mancato. Il mistero della vita umana è questo: siamo tutti figli di qualcuno, generati e plasmati da qualcuno, ma diventando adulti siamo anche chiamati a essere generativi, padri, madri e nonni di qualcun altro. E dunque, guardando alla persona che siamo oggi, che cosa vogliamo fare di noi stessi? I nonni da cui proveniamo, gli anziani che hanno sognato, sperato e si sono sacrificati per noi, ci rivolgono un interrogativo fondamentale: che società volete costruire? Abbiamo ricevuto tanto dalle mani di chi ci ha preceduto: che cosa vogliamo lasciare in eredità ai nostri posteri? Una fede viva o “all’acqua di rose”, una società fondata sul profitto dei singoli o sulla fraternità, un mondo in pace o in guerra, un creato devastato o una casa ancora accogliente?

E non dimentichiamo che questo movimento che dà vita va dalle radici ai rami, alle foglie, ai fiori, ai frutti dell’albero. La vera tradizione si esprime in questa dimensione verticale: dal basso verso l’alto. Stiamo attenti a non cadere nella caricatura della tradizione, che non si muove in una linea verticale – dalle radici ai frutti – ma in una linea orizzontale – avanti/indietro – che ci porta alla cultura dell’“indietrismo” come rifugio egoistico; e che non fa altro che incasellare il presente e conservarlo nella logica del “si è sempre fatto così”.

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù dice ai discepoli che sono beati perché possono vedere e ascoltare ciò che tanti profeti e giusti hanno soltanto potuto desiderare (cfr Mt 13,16-17).

Molti, infatti avevano creduto nella promessa di Dio sulla venuta del Messia, avevano preparato la strada per Lui e ne avevano annunciato l’arrivo. Ora che il Messia è giunto, però, quanti possono vederlo e ascoltarlo sono chiamati ad accoglierlo e annunciarlo.

Fratelli e sorelle, questo vale anche per noi. Coloro che ci hanno preceduto ci hanno trasmesso una passione, una forza e un anelito, un fuoco che tocca a noi ravvivare; non si tratta di custodire delle ceneri, ma di ravvivare il fuoco che essi hanno acceso. I nostri nonni e i nostri
anziani hanno desiderato vedere un mondo più giusto, più fraterno e più solidale e hanno lottato per darci un futuro. Ora, tocca a noi non deluderli. Sostenuti da loro, che sono le nostre radici, tocca a noi portare frutto. Siamo noi i rami che devono fiorire e immettere semi nuovi nella storia. E allora, facciamoci alcune domande concrete: di fronte alla storia di salvezza a cui appartengo e di fronte a chi mi ha preceduto e amato, io che cosa faccio? Ho un ruolo unico e insostituibile nella storia: che traccia sto lasciando dietro al mio cammino, che cosa sto lasciando a chi mi segue, che cosa sto dando di me? Tante volte si misura la vita in base ai soldi che si guadagnano, alla carriera che si
realizza, al successo e alla considerazione che si ricevono dagli altri. Ma questi non sono criteri generativi. La questione è: sto generando vita? Sto immettendo nella storia un amore nuovo e rinnovato che prima non c’era? Sto annunciando il Vangelo dove mi trovo a vivere, sto servendo qualcuno gratuitamente, come chi mi ha preceduto ha fatto con me? Che cosa faccio per la mia Chiesa, per la mia città e la mia società? È facile criticare, ma il Signore non ci vuole solo critici del sistema, non ci vuole chiusi e “indietristi”, ma artigiani di una storia nuova, tessitori di speranza, costruttori di futuro, operatori di pace.

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Gioacchino e Anna intercedano per noi: ci aiutino a custodire la storia che ci ha generato e a costruire una storia generativa. Ci ricordino l’importanza spirituale di onorare i nostri nonni e i nostri anziani, di fare tesoro della loro presenza per costruire un avvenire migliore. Un avvenire dove gli anziani non vengono scartati perché funzionalmente “non servono più”; un avvenire che non giudichi il valore delle persone solo da quanto producono; un avvenire che non sia indifferente verso chi, ormai avanti con l’età, ha bisogno di più tempo, ascolto e attenzione; un avvenire in cui per nessuno si ripeta la storia di violenza ed emarginazione subita dai nostri fratelli e sorelle indigeni. È un avvenire possibile se, con l’aiuto di Dio, non spezziamo il legame con chi ci ha preceduto e alimentiamo il dialogo con chi verrà dopo di noi: giovani e anziani, nonni e nipoti, insieme. Andiamo avanti insieme, sogniamo insieme.