Dopo l’introduzione della legge pro-live, il numero di aborti in Polonia è diminuito di dieci volte

Nel 2021, il numero di aborti eseguiti a norma di legge è diminuito di dieci volte.

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Questo è il risultato delle nuove normative che forniscono una maggiore protezione della vita nel periodo prenatale. Alla fine di ottobre 2020, in Polonia, la Corte Costituzionale aveva stabilito che l’aborto eugenetico era incostituzionale. Di conseguenza – secondo i dati del Ministero della Salute, citato da “Rzeczpospolita” – il numero di aborti nello scorso anno è sceso a 107 casi.

“Questo significa che la legge funziona e ha permesso di salvare persone concrete” – ha affermato Magdalena Korzekwa-Kaliszuk, avvocato e psicologo, presidente della Fondazione Grupa Proelio. Negli anni precedenti, il numero di aborti registrati dal Ministero della Salute era di 1076 (nel 2018 e nel 2020) e 1110 nel 2019. Secondo Magdalena Korzekwa-Kaliszuk, se non ci fosse stato il cambiamento della legge a seguito della sentenza del Tribunale, anche per l’anno scorso circa 1.000 bambini avrebbero perso la vita prima della nascita, principalmente a causa della sospetta sindrome di Down.

Fino alla pubblicazione della sentenza del 22 ottobre 2020, la legge polacca prevedeva che il diritto alla vita fosse tutelato, anche nella fase prenatale, ad eccezione di 3 circostanze descritte nella legge sulla pianificazione familiare.

Secondo questi regolamenti, l’aborto era consentito in caso di gravidanza derivante da stupro, minaccia alla vita o alla salute della madre, nonché in una situazione di “alta probabilità di grave e irreversibile compromissione fetale o di una malattia incurabile che ne minacciasse la vita”. Dopo la pubblicazione della sentenza del Tribunale Costituzionale, l’ultima delle condizioni ha perso la sua forza giuridica.

“La legge buona ha effetto positivo sugli atteggiamenti delle persone. Da un lato, rafforza la convinzione che il diritto alla vita non dovrebbe dipendere dalla diagnosi sullo stato di salute. D’altro lato, la mancanza di possibilità di uccidere un bambino per motivi eugenetici fa sì che i medici non abbiano più le basi per proporre o addirittura fare pressione sui genitori affinché abortiscano” – ritiene il capo della Fondazione Gruppo Proelio, che ha raccolto le testimonianze di persone che si qualificavano per l’aborto e dei loro genitori.


L’esperto sostiene che spesso in Polonia si faceva pressione sull’aborto per ragioni eugenetiche. Anche gli ambienti pro-life e “Rzeczpospolita” hanno richiamato l’attenzione sul fatto che nei prossimi anni il numero dei cosiddetti aborti legali diminuirà ancora di più.

La sentenza del Tribunale Costituzionale è entrata in vigore il 27 gennaio prima della mezzanotte, e dai dati citati da “Rzeczpospolita” risulta che 75 aborti su 107 sono stati eseguiti nel caso della cosiddetta premessa eugenetica, cioè quella eliminata dalla sentenza della Corte Costituzionale polacca.

Il giornale ha osservato che i dati dello scorso anno hanno mostrano che non esiste la possibilità che i medici interpretino in senso ampio la premessa di una minaccia alla vita e alla salute di una donna, riferendosi alla sua salute mentale. Il numero di 32 aborti relativi a questo controtipo è vicino alle statistiche degli anni precedenti.

Organizzazioni e politici che sostengono l’indebolimento della protezione legale della vita dei bambini non ancora nati sostengono che, a seguito del verdetto del Tribunale Costituzionale, le donne polacche decidono più frequentemente di abortire all’estero. Secondo Joanna Scheuring-Wielgus, membro del Partito della Sinistra, questi numeri “si aggirano sulle migliaia”. Allo stesso tempo, non viene fornita alcuna prova a sostegno di queste affermazioni.

“Anche se alcuni genitori hanno deciso lo stesso di uccidere i propri figli in modo illegale, per mezzo del sospetto di malattie o all’estero, la stragrande maggioranza di loro ha permesso al bambino di vivere e questa è una vittoria indiscutibile che è stata resa possibile dal verdetto del Tribunale Costituzionale” – ha afferma Magdalena Korzekwa-Kaliszuk.