Il Centro Astalli per i rifugiati festeggia 40 anni

Inaugurata la mostra fotografica a S. Andrea al Quirinale “Volti al futuro”. Il messaggio del Papa: “Verso un noi sempre più grande”

Astalli Center
Moussa, from Mali, in front of the Colosseum: one of the photos on display at the (C) Centro Astalli exhibition

Il Centro Astalli, Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, compie 40 anni. Nello stesso giorno, peraltro, in cui è nato padre Pedro Arrupe, il preposito generale che istituì il Servizio. Per celebrare questo anniversario, il Centro Astalli ha inaugurato la mostra “Volti al futuro”. Venti ritratti di rifugiati accolti al Centro Astalli realizzati da Francesco Malavolta nelle strade di Roma. Ad inaugurarla il cardinale vicario Angelo De Donatis, insieme al Card. Michael Czerny, Sotto Segretario della Sezione Migranti e Rifugiati della Santa Sede. Era presente anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. La mostra è visitabile fino al 28 novembre nella chiesa di Sant’Andrea al Quirinale.

Padre Ripamonti: grati al Papa

“Siamo grati a Papa Francesco che ha voluto scrivere il saluto introduttivo della mostra fotografica” ha affermato padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli. “Non vogliamo celebrare il passato ma vogliamo impegnarci da oggi a costruire il futuro con i rifugiati. Vogliamo rinnovare il nostro impegno nella costruzione di comunità aperte e solidali in cui i migranti vengano percepiti come una ricchezza, come un dono. Noi da 40 anni a Roma lo sperimentiamo ogni giorno. Operatori e volontari sono testimoni credibili della bellezza dell’incontro con i rifugiati”.

Il messaggio del S. Padre

Ecco il testo del messaggio del Pontefice: Carissimi Duclair, Nathaly, Haider, a voi e a tutte le persone rifugiate che in questi ultimi 40 anni sono arrivate in Italia e sono state accompagnate dal Centro Astalli giungano queste parole di affetto e vicinanza.

Le vostre sono storie di uomini e donne che hanno condiviso un pezzo di strada con il Centro Astalli, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, a volte breve, a volte molto lungo, trovando nella relazione e nella conoscenza reciproca il senso e la forza di impegnarsi nel cammino verso la libertà.

Come il popolo di Israele

Quaranta, nella Bibbia, è un numero significativo che ha molti rimandi, ma certamente pensando a voi mi viene in mente il popolo di Israele che per 40 anni cammina nel deserto, prima di entrare nella terra della promessa. Liberato dalla schiavitù ha impiegato il tempo di una generazione per costituirsi come popolo, con non poche difficoltà. Anche gli ultimi quarant’anni della storia dell’umanità non sono stati un progredire lineare: il numero delle persone costrette a fuggire dalla propria terra è in continua crescita.

Molti tra voi sono dovuti scappare da condizioni di vita assimilabili a quelle della schiavitù dove alla base c’è una concezione della persona umana deprivata della propria dignità e trattata come un oggetto.

Centro Astalli
Nataly del Salvador (C) Centro Astalli

Conoscete quanto può essere terribile e spregevole la guerra, sapete cosa significhi vivere senza libertà e diritti, assistere inermi mentre la vostra terra inaridisce, la vostra acqua si inquina e non avete altra possibilità se non quella di mettervi in cammino verso un luogo sicuro in cui realizzare sogni, aspirazioni, in cui mettere a frutto talenti e capacità.

Purtroppo, il mettersi in cammino non ha costituito in molti casi una vera liberazione, troppo spesso vi scontrate con un deserto di umanità, con un’indifferenza che si è fatta globale e che inaridisce le relazioni tra gli uomini.

Pericoloso ritorno al passato

La storia in questi ultimi decenni ha dato segni di un ritorno al passato: i conflitti si riaccendono in diverse parti del mondo (e le vostre provenienze ce lo raccontano molto bene), nazionalismi e populismi si riaffacciano a diverse latitudini, la costruzione di muri e il ritorno dei migranti in luoghi non sicuri appaiono come l’unica soluzione di cui i governi siano capaci per gestire la mobilità umana.

In questi quarant’anni e in questo deserto, tuttavia ci sono stati tanti segni di speranza che ci permettono di poter sognare di camminare insieme come un popolo nuovo “verso un noi sempre più grande”.


Voi, innanzitutto, cari rifugiati, siete segno e volto di questa speranza. C’è in voi l’anelito a una vita piena e felice che vi sostiene nell’affrontare con coraggio circostanze concrete e difficoltà che a molti possono sembrare insormontabili. Quando vi viene data la possibilità, ci offrite parole indispensabili per conoscere, comprendere, non ripetere gli errori del passato, cambiare il presente e costruire un futuro di pace,

Storie di speranza

Sono segno di questa stessa speranza anche le storie di tante donne e uomini di buona volontà che in questi quarant’anni al Centro Astalli hanno donato tempo ed energie: migliaia di persone diversissime tra loro ma unite dal desiderio di un mondo più giusto in cui dignità e diritti siano veramente di tutti. Come ho ricordato nella Fratelli Tutti: «La storia del buon samaritano si ripete (…) Gesù non presenta vie alternative (…) Egli ha fiducia nella parte migliore dello spirito umano e con la parabola la incoraggia affinché aderisca all’amore, recuperi il sofferente e costruisca una società degna di questo nome».

Saidou del Burkina (C) Centro Astalli

Questo ci guardare con fiducia al futuro sognando di poter vivere insieme come popolo libero perché solidale, che sa riscoprire la dimensione comunitaria della libertà, come popolo unito, non uniforme, variegato nella ricchezza delle differenti culture. Ora è giunto anche per noi il tempo di vivere nella terra promessa, terra della solidarietà che ci pone gli uni al servizio degli altri, è il tempo di una casa comune fatta di popoli fratelli.

I volti di donne e uomini che si susseguono in questa mostra, che rimandano a nomi e storie precise di persone accolte al Centro Astalli e che fanno intravedere i contorni sfumati di alcuni luoghi della città di Roma, dicono il desiderio di essere parte attiva delle città come luogo di vita condivisa; protagonisti con piena cittadinanza insieme a tanti altri uomini e donne nella costruzione di comunità solidali.

Cultura dell’incontro

L’augurio sincero in questo anniversario allora è quello che si realizzi veramente la “cultura dell’incontro” e come popolo ci appassioni il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, il gettare ponti, il progettare qualcosa che coinvolga tutti. Questo diventi un’aspirazione e uno stile di vita come ricordavo nella Fratelli Tutti. Questa sarà la terra promessa per tutti.

Vegli su di voi, sul Centro Astalli e su tutto il Jesuit Refugee Service, padre Arrupe.

Una raccolta di fondi

Nell’occasione, il Centro Astalli ha lanciato anche una campagna di raccolta fondi. Prende il titolo dalla mostra “Volti al futuro con i rifugiati per un nuovo noi”.

Il cardinale Czerny invoca “politiche attive”

Nel suo intervento, il cardinale Czerny ha fatto riferimento ai 500 anni della conversione di S. Ignazio e alla pandemia: “Questo evento così sconvolgente può farci cambiare. Come è successo a Ignazio, la pandemia può essere occasione di una conversione del cuore di questa umanità, del cuore di ciascuno di noi”. Ma per “un cambio di stile di vita è necessaria un’assunzione di responsabilità chiara e decisa”.

I migranti e i rifugiati hanno subìto molto spesso sulla loro pelle la trasformazione dei diritti di tutti in privilegi di alcuni (…) Davanti a una Storia che sembra tornare indietro, di fronte a tanto dolore, a tante ferite, alla consapevolezza che la pandemia ha creato rispetto a questo mondo malato, non possiamo rimanere indifferenti”.

Ricordando padre Arrupe, il cardinale ha affermato che “il futuro dell’umanità passa attraverso l’inclusione sociale dei migranti, la costruzione della pace e il dialogo sociale. La condizione per costruire inclusione, giustizia e pace è «camminare insieme» (…) Non ci sono ricette teoriche, ci sono tanti accordi e patti ma che rischiano di rimanere lettera morta se non vengono tradotti in politiche attive. Occorre progettare e camminare insieme. Per farlo, però, dobbiamo avvicinarci veramente ai rifugiati come persone, conoscere la loro vita e acquisire il loro sguardo sulla vita”.