“In Terra Santa i cristiani sono sale e lievito”

Intervista esclusiva a padre Patton, francescano Custode dei luoghi in cui visse Gesù

Terra Santa
Padre Francesco Patton davanti al S. Sepolcro (C) CTS, Custodia Terra Santa

La Custodia di Terra Santa è la Provincia dei frati minori francescani che opera in Israele, Palestina, Giordania, Siria, Libano, Egitto, Cipro e Rodi. In essa lavorano circa 300 religiosi. Prestano servizio nei principali santuari, come il Santo Sepolcro, la basilica della Natività a Betlemme e la chiesa dell’Annunciazione a Nazaret. Il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, è stato nei giorni scorsi in Italia. A Bologna ha tenuto una conferenza sulla situazione dei cristiani nei luoghi in cui si svolse la vita terrena di Gesù. Nell’occasione ha gentilmente accettato di rilasciare un’intervista esclusiva ad Exaudi.

Le attività della Custodia

I francescani della Custodia svolgono attività pastorale in 22 parrocchie, tra cattolici soprattutto di lingua araba, ma anche ebraica e tra nuovi immigrati. La Custodia è poi impegnata in numerose opere sociali, tra cui scuole e collegi che formano circa 10.000 alunni, anche non cattolici e non cristiani. L’attività scientifica della Custodia ha come perno lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, noto in tutto il mondo della cultura biblica e archeologica.

Padre Patton, qual è la situazione dei cattolici in Terra Santa?

Più che della situazione dei cattolici è meglio parlare della situazione dei cristiani in Terra Santa, per due motivi. Il primo è che i cristiani in Terra Santa si sentono tutto sommato appartenenti allo stesso corpo. La maggior parte delle famiglie sono “ecumeniche”, cioè composte di cristiani di varie confessioni, spesso chi appartiene a una confessione partecipa anche attivamente a celebrazioni, iniziative e attività di altre confessioni. In secondo luogo, è meglio parlare di cristiani perché la somma totale delle varie confessioni non arriva al 2% del totale della popolazione.

Una minoranza variegata

Fatta questa premessa e limitandoci alla Terra Santa in senso stretto (Israele e Palestina), la situazione dei cristiani, e ovviamente anche dei cattolici, è variegata a seconda dei territori e delle categorie con cui la vogliamo leggere. Se guardiamo alla pratica religiosa, è migliore la situazione di quelli che vivono nei territori dell’Autonomia Palestinese, che in genere frequentano di più dei cristiani che vivono in Israele. Per la situazione demografica ed economica è migliore quella di chi vive in Israele. Se guardiamo alle opportunità di lavoro, alla libertà di movimento, alle possibilità di affermarsi nella società è certamente migliore la situazione di chi vive in Israele.

Di fatto la situazione dei cristiani in Terra Santa è quella di una comunità minoritaria i cui membri non sempre vedono riconosciuti in modo pieno e integrale i propri diritti di cittadinanza e anche di espressione religiosa. Tuttavia, è una minoranza che sa spesso assumere anche posizioni coraggiose, che da secoli resiste, mantiene e coltiva la propria identità. Sa essere sale e lievito e soprattutto negli ultimi anni coltiva in modo molto forte l’anelito all’unità e in molti casi già vive i contenuti e gli atteggiamenti dell’unità.

Una crisi economica pesantissima

La pandemia ha colpito in tutto il mondo ma per un’economia che si basa soprattutto sul turismo religioso deve aver avuto un impatto devastante. Quali sono le conseguenze? La Custodia come sta operando? Quale aiuto può venire dai fedeli di tutto il mondo?

La pandemia ha colpito in modo particolarmente duro soprattutto i cristiani di Betlemme e dintorni e quelli della Città Vecchia di Gerusalemme. La maggior parte dei cristiani di Betlemme e dintorni vive dell’indotto del pellegrinaggio: lavorano negli hotel, fanno le guide, hanno piccole imprese di manufatti religiosi, vendono oggetti religiosi. Tutti costoro negli ultimi due anni sono rimasti completamente senza entrate, in un contesto in cui non esiste welfare. Ciò ha voluto dire che molte famiglie si sono trovate in grave difficoltà per acquistare beni di prima necessità, per le spese mediche, così come per le spese scolastiche.

Noi stessi, come Custodia di Terra Santa abbiamo visto svuotarsi i santuari, che garantivano entrate necessarie per la vita quotidiana e per una parte della manutenzione. Inoltre, abbiamo visto dimezzarsi la Colletta Pontificia del Venerdì Santo che è la principale fonte di sostentamento per le attività della Custodia, da quelle legate ai santuari, a quelle pastorali, a quelle educative e socio-assistenziali.

In ogni modo abbiamo cercato di aiutare il più possibile. Abbiamo continuato a pagare metà salario anche a coloro che restavano a casa e non beneficiavano di “cassa integrazione”. Abbiamo alleggerito le spese scolastiche e di affitto alle famiglie, continuato a dare lavoro soprattutto agli operai della West Bank e anche sensibilizzato i cristiani più benestanti a iniziative di condivisione con i più poveri. Ovviamente abbiamo portato avanti tutti i servizi pastorali nelle parrocchie e fatto uno sforzo enorme per garantire il funzionamento delle 15 scuole di Terra Santa.

Solidarietà economica e spirituale

L’aiuto dai fedeli di tutto il mondo dovrebbe venire attraverso la solidarietà economica, che vuol dire partecipare alla Colletta del Venerdì Santo in modo generoso, ma anche donando il possibile attraverso i Commissariati di Terra Santa sparsi sul territorio nazionale. Con la riapertura della possibilità di viaggiare diventerà un modo concreto di aiutare anche quello di riprendere la pratica del pellegrinaggio, nonostante i disagi che possa ancora comportare. Le parrocchie potrebbero acquistare oggetti artigianali confezionati a Betlemme e nella Città Vecchia.


Sarebbe poi fondamentale organizzare iniziative culturali per far conoscere la realtà e le difficoltà della piccola comunità cristiana di Terra Santa. Sarebbe anche molto importante organizzare veglie di preghiera e celebrazioni che mettano in comunione con i cristiani di Terra Santa. Penso che il tempo di Avvento e di Natale sarebbe particolarmente adatto a questo.

In Israele si registra ancora un clima di tensione. Come vivono i cristiani questa situazione? Influisce sulla loro quotidianità?

Al clima di tensione – ahimè – oserei dire che i Cristiani di Terra Santa sono abituati. Influisce certamente sulla loro quotidianità. Le ondate di emigrazione dalla Terra Santa degli ultimi due secoli sono state sempre connesse a momenti di tensione. Per rendere l’idea basta pensare che ci sono più cristiani originari di Betlemme in Cile e Brasile che a Betlemme. Anche le comunità libanesi e siriane in America Latina sono ormai consistenti. Il clima di tensione riduce la speranza nel futuro.

La preoccupazione maggiore, soprattutto per chi ha famiglia, è di garantire un futuro ai propri figli. In molti casi la gente è ormai scoraggiata e rischia di perdere la speranza, con tutto ciò che ne consegue. Ci sono poi problemi quotidiani, soprattutto per chi deve passare i check point per andare a lavorare. Quando ci sono scontri li trova chiusi e deve tornare a casa. I problemi e i disagi, purtroppo, si muovono sempre in compagnia.

Occasione di dialogo

A che punto sono i restauri del S. Sepolcro? Com’è la convivenza con le altre confessioni?

Una prima fase di lavori si è conclusa nel marzo 2017. Adesso si è avviata la seconda fase, che prevede 26 mesi di lavoro e riguarderà il pavimento della basilica e tutto ciò che vi sta sotto, dagli aspetti di stabilità strutturale a quelli di rilevanza archeologica, a quelli legati ai servizi e alle infrastrutture. Grazie a Dio proprio le buone relazioni con Greci e Armeni facilitano questi lavori. È stato possibile sottoscrivere un accordo di collaborazione e le varie maestranze hanno già potuto metter mano all’opera, almeno per la fase di studio previo e di progettazione.

Il lavoro stesso di restauro della più importante chiesa della Cristianità è esso stesso una grande occasione di dialogo. A me piace vedere quest’opera come una metafora e un segno di quello che tutta la Chiesa è chiamata a vivere in questo nostro tempo: ritrovarsi insieme attorno alla tomba vuota, riuscire a riconoscere il Signore risorto nel momento in cui spezza il pane per noi e ripartire da quella tomba vuota e da quell’incontro fondamentale consapevoli che siamo mandati a portare ovunque questo annuncio e la speranza che ne deriva.

Manca un mese e mezzo a Natale: come vi preparate e come vi aspettate di viverlo dopo le chiusure per la pandemia?

Noi ci prepariamo al Natale come tutti gli anni, soprattutto intensificando la preghiera e i momenti celebrativi. Speriamo vivamente di vedere le strade di Betlemme riempirsi di nuovo di pellegrini venuti come i Magi da tutto il mondo per adorare Gesù Bambino.