Oppenheimer viveva nei confini del mistero

Si deve fare tutto ciò che si può fare?

Il film “Oppenheimer”, uscito il 20 luglio in Perù, “ha lasciato il pubblico a bocca aperta”, secondo alcuni titoli di giornale. Il film è ispirato al libro di 700 pagine “American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer”, pubblicato nel 2005 dopo 25 anni di lavoro dei suoi autori. Nel 2006, per quest’opera, hanno ricevuto il Premio Pulitzer per la biografia o l’autobiografia.

L’interesse del pubblico cinematografico attuale per il dramma, i cui protagonisti sono la tecnologia e l’etica, sviluppato nella mente di un fisico teorico e manager, personaggio centrale del Progetto Manhattan, è fonte di soddisfazione.

Nel suo articolo scientifico: “Robert Oppenheimer: le aporie etiche del padre della bomba atomica” (2009), il dottor Juan Arana Cañedo-Argüelles, professore di Filosofia presso l’Università di Siviglia, membro della Reale Accademia di Scienze Morali e Politiche (Spagna), analizza il problema fornendo la relativa bibliografia.

L’articolo è suddiviso in sette sezioni, che possono essere riassunte, nell’ordine, come segue: Robert Oppenheimer è stato uno spirito selezionato che si è collocato tra la fisica sperimentale e quella teorica. Ha accettato la grande sfida del Progetto Manhattan, che poneva la domanda: Si deve fare tutto ciò che si può fare? Ha dovuto pagare il prezzo di passare alla storia. Viene da chiedersi se fosse una colomba o un falco. Alla fine, si è trovato coinvolto nella grandezza di una sconfitta.

Juan Arana – che è stato in Perù nel maggio 2017, offrendoci generosamente le sue conoscenze presso la Facoltà di Lettere e Filosofia e il Centro Culturale dell’Università di Piura – sottolinea che Oppenheimer fece il suo autoritratto in questi termini: “Il saggio e l’artista vivono entrambi nei confini del mistero. Ne sono costantemente circondati. La loro funzione creativa richiede che mantengano un equilibrio tra sintesi e novità, tra la lotta per un ordine parziale e il caos”.


Secondo le citazioni presentate da Arana, sotto la voce “Uno spirito selezionato”, il padre della bomba atomica si distingueva per “la perpetua ricerca di confluenze e il gusto per i terreni di confine”, essendo un “autentico divoratore di libri”. Egli “assimilò un’enorme quantità di conoscenze sia in campo scientifico che letterario, senza dimenticare l’arte, le lingue e la storia delle religioni”, con una fascinazione per la spiritualità orientale, ed era in grado di tradurre e memorizzare ampi brani della Bhagavadgîtã e delle Upanishad.

Oppenheimer, si può concludere, come si è detto nel paragrafo precedente, era dotato, in larga misura, di una disposizione interdisciplinare e transdisciplinare. L’apertura verso le diverse discipline, cercando di distinguere sia i limiti tra di esse sia la loro reciproca complementarietà, tende a favorire la creatività. Per questo motivo, lo scienziato era “responsabile dei passi concreti da compiere sul piano empirico e di chiarire tutte le incognite teoriche che si presentavano”.

Passando alla quarta sezione, “Si deve fare tutto ciò che si può fare?”, è chiaro che Oppenheimer, come Prometeo, è riuscito a sottrarre al divino, ai confini del mistero, la colossale energia racchiusa nel nucleo atomico.

Il talento dello scienziato intravedeva le dimensioni della conoscenza umana, senza chiudersi alla trascendenza della conoscenza religiosa. Questo spiega la lettera di invito indirizzata a Stanley Yaki, che Oppenheimer firmò il 1° aprile 1966, otto mesi prima della sua morte. La lettera recita: “Caro padre Jaki. Su raccomandazione della Facoltà della Scuola di Studi Storici, sono lieto di invitarla formalmente a visitare l’Istituto di Studi Avanzati [dell’Università di Princeton nel New Jersey] per l’anno accademico 1966-1967. Siamo tutti ansiosi di averla con noi per una visita”.