Papa Leone XIV sottolinea l’importanza delle Chiese orientali
In occasione del Giubileo delle Chiese Orientali, il Papa invita a preservare le tradizioni e a pregare per la pace

Papa Leone XIV, nel suo incontro con i cattolici orientali del mondo, trasmise un messaggio potente sul ruolo cruciale delle Chiese orientali nella vita della Chiesa universale. Durante il Giubileo delle Chiese Orientali celebrato in Vaticano, il Papa ha sottolineato che queste comunità sono una fonte inestimabile di saggezza, spiritualità e tradizione. Ha anche ricordato che, nei momenti di dolore e di persecuzione, i cristiani d’Oriente sono una luce per il mondo, fedeli nelle loro terre nonostante le sofferenze.
In un messaggio commovente, il Papa ha invitato all’unità e alla pace, sottolineando l’importanza della riconciliazione, del perdono e del coraggio di ricominciare. Ha chiesto che, al di là dei conflitti politici e sociali, si conservi il senso del mistero e della penitenza che caratterizza le tradizioni orientali, come risposta alla sete di Dio e alla ricerca della pace.
Ha affermato che la Chiesa ha bisogno dei cristiani orientali non solo per mantenere vive le sue tradizioni liturgiche, ma anche per insegnarci a vivere una vita di fede profonda, segnata dall’umiltà e dall’amore fraterno. Si è inoltre impegnato a fare tutto il possibile per garantire che i cristiani orientali possano vivere nelle loro terre d’origine con la sicurezza e i diritti che meritano, liberi dalle minacce che continuano ad affliggere molte delle loro comunità.
Il Papa ha rivolto un forte appello ai leader mondiali e a tutti i popoli affinché si uniscano, dialoghino e cerchino soluzioni pacifiche ai conflitti, sottolineando che “la guerra non è mai inevitabile”. Ha ricordato che il valore del dialogo, della negoziazione e dell’impegno reciproco è l’unica via per raggiungere una pace duratura, una pace misurata non solo dall’assenza di conflitti, ma da una vera riconciliazione tra i popoli.
Con il suo intervento, Papa Leone XIV ha ribadito la posizione della Chiesa come difensore dei diritti delle minoranze e delle comunità cristiane in situazioni di persecuzione, esortando al contempo tutti i cattolici a valorizzare la ricchezza della diversità spirituale che le Chiese orientali offrono alla Chiesa universale.
Testo completo:
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la pace sia con voi!
Beatitudini, Eminenza, Eccellenze,
cari sacerdoti, consacrate e consacrati,
fratelli e sorelle,
Cristo è risorto. È veramente risorto! Vi saluto con le parole che, in molte regioni, l’Oriente cristiano in questo tempo pasquale non si stanca di ripetere, professando il nucleo centrale della fede e della speranza. Ed è bello vedervi qui proprio in occasione del Giubileo della speranza, della quale la risurrezione di Gesù è il fondamento indistruttibile. Benvenuti a Roma! Sono felice di incontrarvi e di dedicare ai fedeli orientali uno dei primi incontri del mio pontificato.
Siete preziosi. Guardando a voi, penso alla varietà delle vostre provenienze, alla storia gloriosa e alle aspre sofferenze che molte vostre comunità hanno patito o patiscono. E vorrei ribadire quanto delle Chiese Orientali disse Papa Francesco: «Sono Chiese che vanno amate: custodiscono tradizioni spirituali e sapienziali uniche, e hanno tanto da dirci sulla vita cristiana, sulla sinodalità e sulla liturgia; pensiamo ai padri antichi, ai Concili, al monachesimo: tesori inestimabili per la Chiesa» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea della ROACO, 27 giugno 2024).
Desidero citare anche Papa Leone XIII, che per primo dedicò uno specifico documento alla dignità delle vostre Chiese, data anzitutto dal fatto che “l’opera della redenzione umana iniziò nell’Oriente” (cfr Lett. ap. Orientalium dignitas, 30 novembre 1894). Sì, avete «un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente» (S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen, 5). È significativo che alcune delle vostre Liturgie – in questi giorni le state celebrando solennemente a Roma secondo le varie tradizioni – utilizzano ancora la lingua del Signore Gesù. Ma Papa Leone XIII espresse un accorato appello affinché la «legittima varietà di liturgia e di disciplina orientale […] ridondi a […] grande decoro e utilità della Chiesa» (Lett. ap. Orientalium dignitas). La sua preoccupazione di allora è molto attuale, perché ai nostri giorni tanti fratelli e sorelle orientali, tra cui diversi di voi, costretti a fuggire dai loro territori di origine a causa di guerra e persecuzioni, di instabilità e povertà, rischiano, arrivando in Occidente, di perdere, oltre alla patria, anche la propria identità religiosa. E così, con il passare delle generazioni, si smarrisce il patrimonio inestimabile delle Chiese Orientali.
Oltre un secolo fa, Leone XIII notò che «la conservazione dei riti orientali è più importante di quanto si creda» e a questo fine prescrisse persino che «qualsiasi missionario latino, del clero secolare o regolare, che con consigli o aiuti attiri qualche orientale al rito latino» fosse «destituito ed escluso dal suo ufficio» (ibid.). Accogliamo l’appello a custodire e promuovere l’Oriente cristiano, soprattutto nella diaspora; qui, oltre ad erigere, dove possibile e opportuno, delle circoscrizioni orientali, occorre sensibilizzare i latini. In questo senso chiedo al Dicastero per le Chiese Orientali, che ringrazio per il suo lavoro, di aiutarmi a definire principi, norme, linee-guida attraverso cui i Pastori latini possano concretamente sostenere i cattolici orientali della diaspora e a preservare le loro tradizioni viventi e ad arricchire con la loro specificità il contesto in cui vivono.
La Chiesa ha bisogno di voi. Quanto è grande l’apporto che può darci oggi l’Oriente cristiano! Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana! E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista.
Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali. In esse il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti. Abbiamo bisogno di lodare e ringraziare senza fine il Signore per questo. Con voi possiamo pregare le parole di Sant’Efrem il Siro e dire a Gesù: «Gloria a te che della tua croce hai fatto un ponte sulla morte. […] Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali» (Discorso sul Signore, 9). È un dono da chiedere quello di saper vedere la certezza della Pasqua in ogni travaglio della vita e di non perderci d’animo ricordando, come scriveva un altro grande padre orientale, che «il più grande peccato è non credere nelle energie della Risurrezione» (Sant’Isacco di Ninive, Sermones ascetici, I,5).
Chi dunque, più di voi, può cantare parole di speranza nell’abisso della violenza? Chi più di voi, che conoscete da vicino gli orrori della guerra, tanto che Papa Francesco chiamò le vostre Chiese «martiriali» (Discorso alla ROACO, cit.)? È vero: dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza! E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del Papa, ma di Cristo, che ripete: «Pace a voi!» (Gv 20,19.21.26). E specifica: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita. Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare.
Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi.
La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani – orientali e latini – che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle. Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. Vi prego, ci si impegni per questo!
E grazie, grazie a voi, cari fratelli e sorelle dell’Oriente, da cui è sorto Gesù, il Sole di giustizia, per essere “luci del mondo” (cfr Mt 5,14). Continuate a brillare per fede, speranza e carità, e per null’altro. Le vostre Chiese siano di esempio, e i Pastori promuovano con rettitudine la comunione, soprattutto nei Sinodi dei Vescovi, perché siano luoghi di collegialità e di corresponsabilità autentica. Si curi la trasparenza nella gestione dei beni, si dia testimonianza di dedizione umile e totale al santo popolo di Dio, senza attaccamenti agli onori, ai poteri del mondo e alla propria immagine. San Simeone il Nuovo Teologo additava un bell’esempio: «Come uno, gettando polvere sulla fiamma di una fornace accesa la spegne, allo stesso modo le preoccupazioni di questa vita e ogni tipo di attaccamento a cose meschine e di nessun valore distruggono il calore del cuore acceso agli inizi» (Capitoli pratici e teologici, 63). Lo splendore dell’Oriente cristiano domanda, oggi più che mai, libertà da ogni dipendenza mondana e da ogni tendenza contraria alla comunione, per essere fedeli nell’obbedienza e nella testimonianza evangeliche.
Io vi ringrazio per questo e di cuore vi benedico, chiedendovi di pregare per la Chiesa e di elevare le vostri potenti preghiere di intercessione per il mio ministero. Grazie!
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