“I sacerdoti devono avere la compassione di Gesù”

Udienza del S. Padre alla comunità del Collegio Messicano

Papa compassione
L'udienza del Papa al Collegio Messicano © Servizio Fotografico Vaticano

Configurarsi sempre più a Cristo Buon Pastore per avere un’autentica compassione. E’ uno dei passaggi chiave del discorso rivolto da Papa Francesco alla comunità del Collegio Messicano. Fondato nel 1967, il Collegio da seminario si trasformò presto in comunità sacerdotale. Il suo scopo è migliorare la formazione permanente integrale dei sacerdoti messicani inviati a Roma dai vescovi locali. Ecco una nostra traduzione del discorso del Papa pronunciato in spagnolo:

Cari fratelli e sorelle: il vivo ricordo degli incontri che ebbi con il Santo Popolo di Dio nella mia visita apostolica in Messico nel 2016, che in un certo senso si rinnova ogni anno con la celebrazione della solennità di Nostra Signora di Guadalupe qui nella Basilica Vaticana, mi accompagna oggi e saluto tutti voi, che fate parte della comunità del Collegio Messicano. Ringrazio padre Víctor Ulises Vásquez Moreno per le parole che mi ha rivolto a nome dei presenti. In esse, mette in rilievo alcune delle principali sfide per l’evangelizzazione del Messico e di tutto il continente americano, particolarmente in mezzo alle difficoltà che affrontiamo a causa della pandemia. Tali sfide si ripercuotono profondamente nell’attuale percorso formativo permanente che state compiendo a Roma.

I problemi attuali richiedono da noi sacerdoti di configurarci al Signore e allo sguardo di amore con cui ci contempla. Conformando questo sguardo al suo, il nostro si trasforma in uno sguardo di tenerezza, di riconciliazione e di fraternità. Solo contemplando il Signore possiamo averlo.

Sguardo di tenerezza

Prima di tutto dobbiamo avere lo sguardo di tenerezza con cui nostro Padre Dio vede le problematiche che affliggono la società: violenza, disuguaglianze sociali ed economiche, polarizzazione, corruzione e mancanza di speranza, specialmente tra i più giovani. Ci serve da esempio la Vergine Maria che con tenerezza di madre riflette l’amore affettuoso di Dio che accoglie tutti, senza distinzioni. La configurazione sempre più profonda con il Buon Pastore suscita in ogni sacerdote un’autentica compassione, tanto per le pecore che gli sono state affidate come per quelle che si sono smarrite.

Compassione. Tenerezza, compassione, manca una parola, che con tenerezza e compassione fa parte dello stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è lo stile di Dio. E questo è lo stile di un sacerdote che lotta per essere fedele.

Solo lasciandoci modellare da Lui si intensifica la nostra carità pastorale, dove nessuno resta escluso dalla nostra sollecitudine e dalla nostra preghiera. Inoltre, questo ci impedisce di rinchiuderci in casa, in ufficio o nei passatempi e ci incoraggia a uscire incontro alla gente, a non rimanercene tranquilli. A non clericalizzarci. Non dimenticate che il clericalismo è una perversione.

Sguardo di riconciliazione

Poi abbiamo bisogno di avere uno sguardo di riconciliazione. Le difficoltà sociali che attraversiamo, le enormi disuguaglianze e la corruzione ci esigono uno sguardo che ci renda capaci di tessere i diversi fili che si sono assottigliati o sono stati tagliati nella “tilma” multicolore di culture che forma il tessuto sociale e religioso della nazione, prestando attenzione soprattutto a quelli scartati a causa delle loro origini indigene o della loro particolare religiosità popolare. Noi pastori siamo chiamati ad aiutare a ricomporre relazioni rispettose e costruttive tra le persone, i gruppi e le culture all’interno della società, proponendo a tutti di “lasciarsi riconciliare da Dio” e impegnarsi alla restaurazione della giustizia.

Sguardo di fraternità

Infine, il nostro tempo ci spinge ad avere uno sguardo di fraternità. Le sfide che affrontiamo sono di un’ampiezza tale che racchiudono il tessuto sociale e la realtà globalizzata e interconnessa dalle reti e dai media. Perciò, insieme a Cristo Servo e Pastore, dobbiamo essere capaci di avere una visione d’insieme e di unità che ci spinga a creare fraternità, che ci permetta di mettere in evidenza i punti di contatto e interazione nelle culture e nella comunità ecclesiale. Uno sguardo che faciliti la comunione e la partecipazione fraterna; che incoraggi e guidi i fedeli ad essere rispettosi della nostra casa comune e costruttori di un mondo nuovo, in collaborazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Non sottovalutare le tentazioni

Per poter guardare così, abbiamo bisogno della luce della fede e la sapienza di chi sa “togliersi i sandali” per contemplare il mistero di Dio e, da questo punto di vista, leggere i segni dei tempi. Perciò è indispensabile armonizzare nella formazione permanente le dimensioni accademica, spirituale, umana e pastorale.


Le quattro cose armonizzate. Se uno se ne va da qui con un dottorato, solo perché ha studiato una cosa, ha perso tempo. “No, però farò un dottorato…”. Hai perso il tempo e il tuo cuore. Mi domando: come stanno allora la tua dimensione spirituale, la tua dimensione umana, comunitaria e la tua dimensione apostolica? Sono quattro dimensioni che interagiscono sempre e se non interagiscono, finiamo per essere zoppi nel migliore dei casi.

E allo stesso tempo, abbiamo bisogno di prendere coscienza delle nostre mancanze personali e comunitarie, così come delle negligenze e mancanze che dobbiamo correggere nella nostra vita personale, comunitaria, nel collegio, nel presbiterio, nelle diocesi. Siamo chiamati a non sottovalutare le tentazioni mondane che possono portarci a un’insufficiente conoscenza personale, ad atteggiamenti autoreferenziali, al consumismo e a molteplici forme di fuga dalle nostre responsabilità.

La mondanità, porta della corruzione

Mi ha sempre impressionato il fatto che De Lubac conclude il suo libro Meditazioni sulla Chiesa, le ultime tre pagine, parlando della mondanità spirituale. E prendendo un testo di un vecchio benedettino, lo commenta e dice più o meno così: La mondanità spirituale, potremmo dire la mondanità pastorale, spirituale, ossia il modo di vivere spiritualmente mondano di un sacerdote, di  un religioso, di una religiosa, di un laico, di una laica, la mondanità spirituale è il peggiore dei mali per la Chiesa. Peggio anche dell’epoca di Papi concubini. Vi suggerisco di rileggere questi tre fogli conclusivi del libro. Per favore, attenti alla mondanità. E’ la porta della corruzione.

Approfondire le radici della fede

Cari fratelli e sorelle, tenendo presente la necessità di non distogliere il nostro sguardo da Cristo, il Servo sofferente, vi chiedo con forza di non smettere di approfondire le radici della fede che avete ricevuto nelle vostre diverse Chiese particolari e che provengono da un ricco processo di inculturazione del Vangelo, di cui è modello Nostra Signora di Guadalupe, la cui immagine si venera nella cappella del collegio. Lei ci ricorda l’amore di predilezione di suo Figlio Gesù nel renderci partecipi del suo sacerdozio. Per questo, ricorrete con fiducia alla Morenita, Madre di Dio e Madre nostra, e chiedetele ciò di cui avete bisogno, sapendo che ci tiene sotto la sua ombra e il suo riparo.

E non fuggite, perché vi aspetta su un’altra strada. Sa come farlo (il riferimento è alle apparizioni della Vergine a San Juan Diego, ndt). E’ sempre vigile. Conducete una vita buona, limpida, vita di peccatori che sanno alzarsi in tempo, che sanno chiedere aiuto e continuano a camminare anche su una sedia a rotelle. Tocca a voi ora. A Lei e a san Giuseppe, modello di partecipazione al mistero redentore con il suo servizio umile e silenzioso,  e il cui anno stiamo celebrando, chiediamo di prendersi cura di tutto il clero del Messico e della comunità di questo Pontificio Collegio Messicano.

Il Signore vi benedica e per favore non dimenticatevi di pregare per me, che ne ho bisogno perché questo lavoro non è affatto facile.