“Il Papa chiede il dialogo come risposta alla violenza e all’antisemitismo”

Udienza la Delegazione della Conference of European Rabbis

Vatican Media

Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza la Delegazione della Conference of European Rabbis.

Pubblichiamo di seguito il testo del discorso che era stato preparato dal Papa per l’occasione e che è stato consegnato ai presenti:

Buongiorno!

Saluto tutti voi e vi do il benvenuto. Grazie di questa visita che a me piace tanto. Ma succede che io non sto bene in salute e per questo preferisco non leggere il discorso, ma darlo a voi e che voi lo portiate con voi. Facciamo di tutto per mantenere questo clima di dialogo fraterno che il Cardinale Koch e i suoi collaboratori cercano di promuovere continuamente. Ed ora a me piacerebbe salutarvi a uno a uno.

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Discorso consegnato del Santo Padre

Cari fratelli,

vi saluto, dandovi un cordiale benvenuto e ringraziandovi per la gradita visita. In passato ho già incontrato in Vaticano la vostra organizzazione, voce dei rabbini in Europa. Sono lieto che siamo riusciti a intensificare le nostre relazioni nel corso del tempo e in particolare negli ultimi anni.


Il primo pensiero e la preghiera vanno però soprattutto a quanto accaduto nelle ultime settimane. Ancora una volta la violenza e la guerra sono divampate in quella Terra che, benedetta dall’Altissimo, sembra continuamente avversata dalle bassezze dell’odio e dal rumore funesto delle armi. E preoccupa il diffondersi di manifestazioni antisemite, che fermamente condanno.

Cari fratelli, nella notte dei conflitti noi, credenti nell’unico Dio, guardiamo a Colui che il profeta Isaia chiama «giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli», aggiungendo, quasi come conseguenza del suo giudizio, una meravigliosa profezia di pace: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4). In questo tempo di distruzione noi credenti siamo chiamati, per tutti e prima di tutti, a costruire la fraternità e ad aprire vie di riconciliazione, in nome dell’Onnipotente che, come dice un altro profeta, ha «progetti di pace e non di sventura» (Ger 29,11). Non le armi, non il terrorismo, non la guerra, ma la compassione, la giustizia e il dialogo sono i mezzi adeguati per edificare la pace.

Mi soffermo proprio sull’arte del dialogo. L’essere umano, che ha una natura sociale e ritrova sé stesso a contatto con gli altri, si realizza nella trama delle relazioni sociali. In tal senso non è solo capace di dialogo, ma è egli stesso dialogo. Sospeso tra Cielo e terra, solo in dialogo con l’Oltre che lo trascende e con l’altro che ne accompagna i passi, può comprendersi e maturare. La parola “dialogo” etimologicamente significa “attraverso la parola”. La Parola dell’Altissimo è la lampada che illumina i sentieri della vita (cfr Sal 119,105): essa orienta i nostri passi proprio alla ricerca del prossimo, all’accoglienza, alla pazienza; non certo al brusco impeto della vendetta e alla follia dell’odio bellico. Quanto è dunque importante, per noi credenti, essere testimoni di dialogo!

Se applichiamo queste constatazioni al dialogo ebraico-cristiano, possiamo dire che ci avviciniamo gli uni agli altri attraverso l’incontro, l’ascolto e lo scambio fraterno, riconoscendoci servi e discepoli di quella Parola divina, alveo vitale nel quale germogliano le nostre parole. Così che, per diventare edificatori di pace, siamo chiamati a essere costruttori di dialogo. Non solo con le nostre forze e con le nostre capacità, ma con l’aiuto dell’Onnipotente. Infatti, «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127,1).

Il dialogo con l’ebraismo è di particolare importanza per noi cristiani, perché abbiamo radici ebraiche. Gesù è nato e vissuto da ebreo; Egli stesso è il primo garante dell’eredità ebraica all’interno del cristianesimo e noi, che siamo di Cristo, abbiamo bisogno di voi, cari fratelli, abbiamo bisogno dell’ebraismo per comprendere meglio noi stessi. Perciò è importante che il dialogo ebraico-cristiano mantenga viva la dimensione teologica, mentre continua ad affrontare questioni sociali, culturali e politiche.

Le nostre tradizioni religiose sono strettamente connesse: non sono due credo tra loro estranei, sviluppatisi indipendentemente in spazi separati e senza influenzarsi a vicenda. Papa Giovanni Paolo II, durante la sua visita nella Sinagoga di Roma, osservò che la religione ebraica non è estrinseca, «ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione». Vi chiamò «nostri fratelli prediletti», «nostri fratelli maggiori» (Discorso, 13 aprile 1986). Si potrebbe dunque dire che il nostro, più che un dialogo interreligioso, è un dialogo familiare. Quando mi recai alla Sinagoga di Roma, dissi infatti che «apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo» (Discorso, 17 gennaio 2016).

Cari fratelli, siamo legati gli uni agli altri davanti all’unico Dio; insieme siamo chiamati a testimoniare con il nostro dialogo la sua parola e con la nostra condotta la sua pace. Il Signore della storia e della vita ci dia coraggio e pazienza per farlo. Shalom!