Il Papa invita i sacerdoti a essere pastori, non burocrati religiosi

Audizione con i membri dell’Associazione dei sacerdoti ispanici che lavorano negli Stati Uniti

Vatican Media

Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Convegno annuale dei Sacerdoti Ispanici che operano negli Stati Uniti d’America e ha rivolto loro il discorso che riportiamo di seguito.

L’udienza di Papa Francesco all’Associazione dei sacerdoti ispanici negli Stati Uniti d’America è stato un evento significativo che ha riaffermato l’impegno del Papa nei confronti della comunità ispanica negli Stati Uniti.

Nel suo discorso, Papa Francesco ha sottolineato l’importanza della fede nella vita degli ispanici e il loro ruolo di agenti di cambiamento nella società. Li ha inoltre esortati a essere testimoni della misericordia di Dio e a lavorare per la giustizia e la pace.

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli,

Grazie per essere venuti qui, questa è la casa di Pietro, la vostra casa, perché la Chiesa è una casa dalle porte aperte, alla quale tutti vengono da oriente a occidente per sedersi alla mensa che il Signore ci ha preparato (cfr. Mt 8, 11). E quando vogliamo render la Chiesa raffinata, è una casa dalle porte chiuse, e questo non va bene. Attenzione alla raffinatezza ecclesiastica. Ho letto con attenzione le domande che mi avete fatto pervenire — sono molte — e mentre pensavo come poter rispondere, mi sono ricordato delle parole che il Signore disse a Santa Teresa di Gesù quando le tolsero i libri di cui lei si fidava: “Io ti darò un libro vivente”, Cristo è il libro che vi raccomando vivamente. Ma bisogna cercarlo, nella Scrittura e nel Vangelo, nell’adorazione silenziosa, perché abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione, dobbiamo trovare il Signore nel silenzio dell’adorazione. Se io domando ora — non lo chiederò per non far arrossire nessuno — ma se io domandassi ora quante ore di adorazione fate ogni settimana, sarebbe un buon test. Butto lì la domanda ma ognuno risponde dentro di sé. No, perché è troppa fatica, perché qui, perché là. Se tu non preghi, se tu non adori, la tua vita vale poco.

Negli Stati Uniti per il prossimo anno si sta preparando un Congresso Eucaristico Nazionale e sono stati scelti come suoi patroni il beato Carlo Acutis e san Manuel González, entrambi eccelsi — come tanti santi della Chiesa — nell’arte di leggere questo libro vivente, dinanzi al Tabernacolo, in una scuola silente e inginocchiata. Ed è proprio tra le catechesi di san Manuel che vorrei prendere una chiave di risposta alle domande che mi avete posto. In un’occasione san Manuel si rivolse a un gruppo di fedeli, riflettendo sul ruolo delle sante donne sul Calvario, come modelli di ogni discepolo dinanzi alla croce del Signore, allora come oggi. Sono un modello. La stessa impotenza, lo stesso desiderio di agire contro l’ingiustizia che vissero le sante donne in quei momenti, possiamo provarli noi di fronte alla problematica degli immigranti, alla chiusura di certe autorità civili e religiose, alle sfide dell’interculturalità, alla complessità dell’annuncio, tante cose.


Dinanzi a queste difficoltà il santo ci avverte che “Gesù non smette di soffrire”. Dice Gesù che starà sul Calvario fino alla fine dei tempi, anche se è risorto, continua a stare sul Calvario nella persona dei fratelli. In ogni tabernacolo, in ogni calice consacrato, vediamo ergersi la croce, e ci chiede: Possiamo fare qualcosa per alleviare il Cristo sofferente di oggi? “Fatelo, fatelo al più presto”, ma fatelo consapevoli che “la Passione sarà la compagna del Gesù dei vostri Tabernacoli” in ogni fratello e sorella che soffre, e ciò che Dio vi chiede è di non lasciarli soli. Non lasciate soli quanti soffrono, non lasciate solo il Signore del Tabernacolo, convincetevi che non potete fare nulla con le mani se non lo fate con le ginocchia. Adorazione, silenzio eucaristico e intercessione dinanzi al Tabernacolo. E poi sì, servizio. Ma è come il pingpong, una cosa porta all’altra, una cosa porta all’altra.

Gesù, ci dice san Manuel, non pretende da noi che impediamo la Passione, ma che gli rendiamo gloria anche in mezzo ad essa. In questo per favore vi chiedo: guardatevi dall’accomodarvi, non vi accomodate, non vi accomodate, a volte il mondo moderno ci porta a orari. “Padre, mi può confessare? “No, l’orario è da tal ora a tal ora”. Per favore, prima la gente, poi l’orario. Non diventate “impiegati” del sacro. Che è il pericolo di questa cultura. Rivedete la vostra dedizione alla gente, la vostra apertura del cuore.

Ispirandomi a questi santi, lascio che sia il Signore nel Tabernacolo a rispondere alle vostre preoccupazioni. Alcune risposte forse vi appariranno ingenue, come gli sforzi del giovane Carlo Acutis per diffondere qualcosa che per lui fu una scoperta eccezionale, “un’autostrada per il cielo”. Altre vi sembreranno più grandi di voi, come portare avanti le opere sociali e apostoliche che promosse san Manuel. In realtà, questo pastore, nelle sue raccomandazioni, affermava che, sopra ogni altra cosa, ciò che un prete può fare inizia oggi, con la preghiera semplice, la parola vicina, l’accoglienza fraterna e il lavoro perseverante. Preghiera, semplice, parola vicina, accoglienza fraterna e lavoro perseverante. Non vi risparmiate! Diceva un prete di un quartiere povero, popolare, che gli viene voglia di tappare la finestra. Perché la gente va a chiedergli cose a qualsiasi ora, o va a chiedere benedizioni, qualunque cosa. Perché la gente è molto inopportuna, come il Signore, che è inopportuno. E il prete mi diceva: “quando vedono la porta chiusa bussano alla finestra, devo tappare la finestra”. No, apri la porta. Questo è fondamentale: preti per la gente. E qui voglio menzionare una cosa. Non abbiate le unghie sporche, ma le unghie pulite, perché le unghie si sporcano quando il prete inizia a scalare. E scalatori per quell’incarico, per quella parrocchia, per quel canonicato, e allora la promozione umana supera la gratitudine dell’annuncio. E se perdete questo sarete poveri preti che hanno perso la gioia della loro vita. Recuperate sempre la chiamata di Gesù a servire, a disposizione degli altri. Non abbiate le unghie sporche per scalare, perché dopo, quando uno arriva in cima, quello che si vede è abbastanza indecente, non lo voglio dire.

Fratelli, non riponete la vostra fiducia solo nelle grandi idee, né in proposte pastorali ben delineate. Mi fanno paura quando vengono con tutti quei programmi pastorali. Perché li realizzino gli altri, non io. Non cercate colpevoli. “Non ha funzionato perché è colpa di quello o di quell’altro”. Prima di tutto, io che ho fatto?”. Cercate in voi stessi per vedere… la colpa; questa è l’umiltà pastorale. Abbandonatevi in Colui che vi ha chiamati a donarvi, e vi chiede solamente fedeltà e costanza, con la certezza che sarà Lui a portare a termine l’opera e a far sì che i vostri sforzi diano buoni frutti. E speriamo che seminiate molto, e speriamo che non dobbiate prendere pasticche per dormire perché arrivate stanchissimi a sera. Speriamo! Grazie.

___________________________________________

L’Osservatore Romano, Anno CLXIII n. 263, giovedì 16 novembre 2023, p. 7.