Instrumentum Laboris: una Chiesa che accoglie tutti e non annulla le differenze

Testo completo

Sinodo sinodalidad conspiración
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XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI

PER UNA CHIESA SINODALE:
COMUNIONE, PARTECIPAZIONE, MISSIONE

INSTRUMENTUM LABORIS

per la Prima Sessione

(ottobre 2023)

SOMMARIO

Premessa

Il percorso compiuto finora

Uno strumento di lavoro per la seconda fase del percorso sinodale

La struttura del testo

A. Per una Chiesa sinodale. Un’esperienza integrale

A 1. I segni caratteristici di una Chiesa sinodale

A 2. Un modo di procedere per la Chiesa sinodale: la conversazione nello Spirito

B. Comunione, missione, partecipazione. Tre questioni prioritarie per la Chiesa sinodale

B 1. Una comunione che si irradia. Come essere più pienamente segno e strumento di unione con Dio e di unità del genere umano?

B 2. Corresponsabili nella missione. Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo?

B 3. Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità. Quali processi, strutture e istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria?

SCHEDE DI LAVORO PER L’ASSEMBLEA SINODALE

Introduzione

Schede per B 1. Una comunione che si irradia

B 1.1 In che modo il servizio della carità e l’impegno per la giustizia e la cura della casa comune alimentano la comunione in una Chiesa sinodale?

B 1.2 Come una Chiesa sinodale può rendere credibile la promessa che «amore e verità s’incontreranno» (Sal 85,11)?

B 1.3 Come può crescere un rapporto dinamico di scambio di doni tra le Chiese?

B 1.4 Come una Chiesa sinodale può compiere meglio la propria missione attraverso un rinnovato impegno ecumenico?

B 1.5 In che modo riconoscere e raccogliere le ricchezze delle culture e sviluppare il dialogo con le religioni, alla luce del Vangelo?

Schede per B 2. Corresponsabili nella missione

B 2.1 Come camminare insieme verso una consapevolezza condivisa del significato e del contenuto della missione?

B 2.2 Che cosa fare perché una Chiesa sinodale sia anche una Chiesa missionaria “tutta ministeriale”?

B 2.3 Come può la Chiesa del nostro tempo compiere meglio la propria missione attraverso un maggiore riconoscimento e promozione della dignità battesimale delle donne?

B 2.4 Come valorizzare il Ministero ordinato, nella sua relazione con i Ministeri battesimali, in una prospettiva missionaria?

B 2.5 Come rinnovare e promuovere il ministero del Vescovo in una prospettiva sinodale missionaria?

Schede per B 3. Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità

B 3.1 Come rinnovare il servizio dell’autorità e l’esercizio della responsabilità in una Chiesa sinodale missionaria?

B 3.2 In che modo possiamo far evolvere in maniera autenticamente sinodale le pratiche di discernimento e i processi decisionali, valorizzando il protagonismo dello Spirito?

B 3.3. Quali strutture possono essere sviluppate per consolidare una Chiesa sinodale missionaria?

B 3.4 Come configurare le istanze di sinodalità e collegialità che coinvolgono raggruppamenti di Chiese locali?

B 3.5 Come potenziare l’istituzione del Sinodo perché sia espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale?

SIGLE

AA Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem (18 novembre 1965)

AG Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes (7 dicembre 1965)

CA San Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus annus (1° maggio 1991)

CL San Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Post-Sinod. Christifideles laici (30 dicembre 1988)

CV Francesco, Esort. Ap. Post-Sinod. Christus vivit (25 marzo 2019)

DP Segreteria Generale del Sinodo, Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione. Documento Preparatorio (2021)

DTC Segreteria Generale del Sinodo, Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione. «Allarga lo spazio della tua tenda» (Is 54,2). Documento di Lavoro per la Tappa Continentale (2022)

DV Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965)

EC Francesco, Cost. Ap. Episcopalis communio (15 settembre 2018)

EG Francesco, Esort. Ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013)

FT Francesco, Lett. Enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020)

GS Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes (7 dicembre 1965)

IL Instrumentum Laboris

LG Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964)

PE Francesco, Cost. Ap. Praedicate Evangelium (19 marzo 2022)

SC Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963)

UR Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio (21 novembre 1964)

INSTRUMENTUM LABORI

Premessa

«E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Rm 15,5-6).

Il percorso compiuto finora

1. Il Popolo di Dio si è messo in cammino da quando, il 10 ottobre 2021, Papa Francesco ha convocato la Chiesa intera in Sinodo. A partire dai contesti e ambiti vitali, le Chiese locali di tutto il mondo hanno avviato la consultazione del Popolo di Dio, sulla base dell’interrogativo di fondo formulato al n. 2 del DP: «come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale), quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?». I frutti della consultazione sono stati raccolti a livello diocesano e poi sintetizzati e inviati ai Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche e alle Conferenze Episcopali. A loro volta, questi hanno redatto una sintesi che è stata trasmessa alla Segreteria Generale del Sinodo.

2. A partire dalla lettura e dall’analisi dei documenti così raccolti, è stato redatto il DTC, a servizio di una tappa che rappresenta una novità del processo sinodale in corso. Il DTC è stato restituito alle Chiese locali di tutto il mondo, invitandole a confrontarsi con esso per poi incontrarsi e dialogare in occasione delle sette Assemblee continentali, mentre proseguiva anche l’attività del Sinodo digitale. L’obiettivo era mettere a fuoco le intuizioni e le tensioni che risuonano con maggiore intensità con l’esperienza di Chiesa di ciascun continente, ed enucleare quelle che nella prospettiva di ciascun continente rappresentano le priorità da affrontare nella prima sessione dell’Assemblea sinodale (ottobre 2023).

3. Sulla base di tutto il materiale raccolto durante la fase dell’ascolto, e in particolare dei Documenti finali delle Assemblee continentali, è stato redatto il presente IL. Con la sua pubblicazione si chiude la prima fase del Sinodo «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione», e si apre la seconda, articolata nelle due sessioni[1] in cui si svolgerà la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023 e ottobre 2024). Il suo obiettivo sarà di rilanciare il processo e di incarnarlo nella vita ordinaria della Chiesa, identificando su quali linee lo Spirito ci invita a camminare con maggiore decisione come Popolo di Dio. Camminare insieme come Popolo di Dio, nella fedeltà alla missione che il Signore ha affidato alla Chiesa, è il dono e il frutto che chiediamo per la prossima Assemblea. Infatti, lo scopo del processo sinodale «non è produrre documenti, ma aprire orizzonti di speranza per il compimento della missione della Chiesa» (DTC 6).

4. Il percorso compiuto finora, e in particolare la tappa continentale, ha permesso di identificare e condividere anche le peculiarità delle situazioni che la Chiesa vive nelle diverse regioni del mondo: dalle troppe guerre che insanguinano il nostro pianeta e richiedono di rinnovare l’impegno per la costruzione di una pace giusta, alla minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici con la conseguente priorità della cura per la casa comune; da un sistema economico che produce sfruttamento, disuguaglianza e “scarto” alla pressione omologante del colonialismo culturale che schiaccia le minoranze; dall’esperienza di subire la persecuzione sino al martirio a un’emigrazione che svuota progressivamente le comunità minacciandone la stessa sopravvivenza; dal crescente pluralismo culturale che marca ormai l’intero pianeta all’esperienza delle comunità cristiane che rappresentano minoranze sparute all’interno del Paese in cui vivono, fino a quella di fare i conti con una secolarizzazione sempre più spinta, e talora aggressiva, che sembra ritenere irrilevante l’esperienza religiosa, ma non per questo smette di avere sete della Buona Notizia del Vangelo. In molte regioni le Chiese sono profondamente colpite dalla crisi degli abusi: sessuali, di potere e di coscienza, economici e istituzionali. Si tratta di ferite aperte, le cui conseguenze non sono ancora state affrontate fino in fondo. Alla richiesta di perdono rivolta alle vittime delle sofferenze che ha causato, la Chiesa deve unire il crescente impegno di conversione e di riforma per evitare che situazioni analoghe possano ripetersi in futuro.

5. È in questo contesto, variegato ma con tratti comuni a livello globale, che si è svolto l’intero percorso sinodale. Anche all’Assemblea sinodale sarà chiesto di mettersi in un ascolto profondo delle situazioni in cui la Chiesa vive e porta avanti la propria missione: solo quando risuona in un contesto specifico, l’interrogativo di fondo sopra ricordato acquista concretezza e ne risalta l’urgenza missionaria. Sono in gioco la capacità di annunciare il Vangelo camminando insieme agli uomini e alle donne del nostro tempo, là dove si trovano, e la pratica della cattolicità vissuta camminando insieme alle Chiese che vivono in condizioni di particolare sofferenza (cfr. LG 23).

6. All’Assemblea sinodale arriviamo carichi dei frutti raccolti durante la fase dell’ascolto. Innanzi tutto abbiamo fatto esperienza che l’incontro sincero e cordiale tra fratelli e sorelle nella fede è fonte di gioia: incontrarci tra di noi è incontrare il Signore che è in mezzo a noi! Poi abbiamo potuto toccare con mano la cattolicità della Chiesa, che, nelle differenze di età, sesso e condizione sociale, manifesta una straordinaria ricchezza di carismi e vocazioni ecclesiali e custodisce un tesoro di varietà di lingue, culture, espressioni liturgiche e tradizioni teologiche. Esse rappresentano il dono che ciascuna Chiesa locale offre a tutte le altre (cfr. LG 13), e il dinamismo sinodale è un modo per metterle in relazione e valorizzarle senza schiacciarle nell’uniformità. Ugualmente abbiamo scoperto che, pur nella varietà dei modi in cui la sinodalità è sperimentata e compresa nelle diverse parti del mondo sulla base della comune eredità della Tradizione apostolica, ci sono interrogativi condivisi: fa parte della sfida discernere a quale livello è più opportuno affrontare ciascuno di essi. Altrettanto condivise sono alcune tensioni. Non dobbiamo esserne spaventati, né cercare di risolverle a tutti i costi, ma impegnarci in un costante discernimento sinodale: solo in questo modo le tensioni possono diventare fonti di energia e non scadere in polarizzazioni distruttive.

7. La prima fase ha rinnovato la nostra consapevolezza che diventare una Chiesa sempre più sinodale manifesta la nostra identità e la nostra vocazione: camminare insieme, cioè fare sinodo, è il modo per diventare davvero discepoli e amici di quel Maestro e Signore che di sé ha detto «Io sono la via» (Gv 14,6). Oggi ciò costituisce anche un profondo desiderio: avendolo sperimentato come dono, vogliamo continuare a farlo, consapevoli che questo cammino si compirà nell’ultimo giorno, quando, per grazia di Dio, entreremo a far parte di quella schiera che così descrive l’Apocalisse: «ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”» (Ap 7,9-10). Questo testo ci consegna l’immagine di una Chiesa in cui regna perfetta comunione tra tutte le differenze che la compongono, che vengono mantenute e si uniscono nell’unica missione che rimarrà da compiere: partecipare alla liturgia di lode che da tutte le creature, attraverso Cristo, sale al Padre nell’unità dello Spirito Santo.

8. All’intercessione di queste sorelle e questi fratelli, che già vivono la piena comunione dei santi (cfr. LG 50), e soprattutto a quella di Colei che della loro schiera è la primizia (cfr. LG 63), Maria Madre della Chiesa, affidiamo i lavori dell’Assemblea e la prosecuzione del nostro impegno per una Chiesa sinodale. Chiediamo che l’Assemblea sia un momento di effusione dello Spirito, ma ancora di più che la grazia ci accompagni quando verrà il momento di metterne in atto i frutti nella vita quotidiana delle comunità cristiane del mondo intero.

Uno strumento di lavoro per la seconda fase del percorso sinodale

9. Le novità che segnano il Sinodo 2021-2024 non possono non riflettersi anche sulla valenza e sulla dinamica dell’Assemblea sinodale e quindi sulla struttura dell’IL che è a servizio del suo svolgimento. In particolare, la lunga e articolata fase dell’ascolto ha già condotto alla predisposizione di una molteplicità di documenti, che hanno istituito una circolazione comunicativa tra le Chiese locali e tra queste e la Segreteria Generale del Sinodo: DP, sintesi delle Chiese locali, DTC e Documenti finali delle Assemblee continentali. Il presente IL non annulla né assorbe tutta questa ricchezza, ma si radica in essa e continuamente vi rimanda: anche nella preparazione all’Assemblea, i Membri del Sinodo sono invitati a tenere presenti i documenti precedenti, in particolare il DTC e i Documenti finali delle Assemblee continentali, oltre a quello del Sinodo digitale, come strumenti per il loro discernimento. In particolare, i Documenti finali delle Assemblee continentali sono preziosi per non smarrire la concretezza dei differenti contesti e le sfide che ciascuno di essi pone: il lavoro comune dell’Assemblea sinodale non può prescinderne. Potranno inoltre essere di aiuto le molte risorse raccolte nell’apposita sezione del sito del Sinodo 2021-2024, <www.synod.va>, in particolare la Cost. Ap. Episcopalis communio e i due documenti della Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2018) e Il sensus fidei nella vita della Chiesa (2014).

10. Vista l’abbondanza di materiali già disponibili, l’IL è pensato come sussidio pratico a servizio dello svolgimento dell’Assemblea sinodale di ottobre 2023 e quindi per la sua preparazione. A maggior ragione vale per l’IL quello che già descriveva la natura del DTC: «non è un documento del Magistero della Chiesa, né il report di una indagine sociologica; non offre la formulazione di indicazioni operative, di traguardi e obiettivi, né la compiuta elaborazione di una visione teologica» (n. 8). Non potrebbe essere altrimenti, giacché l’IL si inscrive in un processo che non è ancora terminato. Rispetto al DTC compie un ulteriore passo: a partire dalle intuizioni raccolte lungo la prima fase e soprattutto dal lavoro delle Assemblee continentali, articola alcune delle priorità emerse dall’ascolto del Popolo di Dio, ma non in forma di asserzioni o prese di posizione. Le esprime invece come domande rivolte all’Assemblea sinodale, che avrà il compito di operare un discernimento per identificare alcuni passi concreti per continuare a crescere come Chiesa sinodale, passi che sottoporrà poi al Santo Padre. Solo a quel punto si completerà quella particolare dinamica di ascolto in cui «ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)» [2]. In questa luce risulta chiaro perché l’IL non possa essere inteso come una prima bozza del Documento Finale dell’Assemblea sinodale, da correggere o emendare, pur delineando una prima comprensione della dimensione sinodale della Chiesa a partire dalla quale operare un ulteriore discernimento. Ugualmente risulta chiaro come i Membri dell’Assemblea sinodale rappresentino i destinatari principali dell’IL, che viene reso pubblico non solo per ragioni di trasparenza, ma anche come sussidio per la realizzazione di iniziative ecclesiali. In particolare può favorire la partecipazione alla dinamica sinodale a livello locale e regionale, in attesa che i risultati dell’Assemblea forniscano ulteriori e autorevoli elementi su cui le Chiese locali saranno chiamate a pregare, riflettere, agire e dare il proprio contributo.

11. Le domande che l’IL pone sono espressione della ricchezza del processo a partire dal quale sono state elaborate: sono cariche dei nomi e dei volti di coloro che vi hanno preso parte, testimoniano l’esperienza di fede del Popolo di Dio e recano perciò l’impronta di un significato trascendente. Da questo punto di vista, indicano un orizzonte e invitano a compiere con fiducia ulteriori passi per approfondire la pratica della dimensione sinodale della Chiesa. Dalla prima fase emerge la consapevolezza della necessità di assumere come punto di riferimento privilegiato la Chiesa locale[3], in quanto luogo teologico in cui in concreto i Battezzati fanno esperienza di camminare insieme. Questo non conduce però a un ripiegamento: nessuna Chiesa locale, infatti, può vivere al di fuori delle relazioni che la uniscono a tutte le altre, incluse quelle, del tutto speciali, con la Chiesa di Roma, a cui è affidato il servizio dell’unità attraverso il ministero del suo Pastore, che ha convocato la Chiesa intera in Sinodo.

12. Questa focalizzazione sulle Chiese locali richiede di tenere conto della loro varietà e diversità di culture, di lingue e di modalità espressive. In particolare, le medesime parole – pensiamo ad esempio ad autorità o leadership – possono avere risonanze e connotazioni molto differenti nelle diverse aree linguistiche e culturali, in particolare quando in alcuni luoghi un termine viene associato a precise impostazioni teoriche o ideologiche. L’IL si sforza di evitare un linguaggio divisivo, nella speranza di aiutare una migliore comprensione tra i membri dell’Assemblea sinodale che provengono da regioni o tradizioni diverse. Il riferimento condiviso non può che essere la visione del Vaticano II, a partire dalla cattolicità del Popolo di Dio, in virtù della quale «le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell’unità, […] rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non pregiudichi l’unità, ma piuttosto la serva» (LG 13). Questa cattolicità si realizza nel rapporto di mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiese locali, in cui e a partire da cui «esiste la Chiesa Cattolica una e unica» (LG 23). Il processo sinodale, che nella prima fase si è svolto nelle Chiese locali, giunge ora alla seconda fase, con lo svolgimento delle due sessioni della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

La struttura del testo

13. Il presente IL è suddiviso in due sezioni, che corrispondono all’articolazione dei compiti delle Assemblee continentali (e quindi ai contenuti dei relativi Documenti finali): innanzi tutto procedere a una rilettura del cammino percorso durante la prima fase, in modo da enucleare che cosa la Chiesa di ciascun continente avesse appreso dall’esperienza fatta in merito al modo di vivere la dimensione sinodale a servizio della missione; quindi operare un discernimento delle risonanze prodotte nelle Chiese locali del continente dal confronto con il DTC, allo scopo di individuare le priorità su cui proseguire il discernimento durante l’Assemblea sinodale.

14. La sezione A dell’IL, intitolata «Per una Chiesa sinodale», prova a raccogliere i frutti della rilettura del cammino percorso. Innanzi tutto enuclea una serie di caratteristiche fondamentali o segni distintivi di una Chiesa sinodale. Dà quindi voce alla consapevolezza che una Chiesa sinodale è contraddistinta anche da un modo di procedere, che l’esperienza della prima fase conduce a identificare nella conversazione nello Spirito. Sui frutti di questa rilettura l’Assemblea sarà invitata a reagire con lo scopo di precisarli e affinarli. La sezione B, intitolata «Comunione, missione, partecipazione»[4]esprime in forma di interrogativo le tre priorità che con maggiore forza emergono dal lavoro di tutti i continenti, sottoponendole al discernimento dell’Assemblea. A servizio della dinamica dell’Assemblea, in particolare dei lavori di gruppo (Circuli Minores), per ciascuna di queste tre priorità sono proposte cinque Schede di lavoro che consentono di affrontarle a partire da prospettive diverse.

15. Le tre priorità della sezione B, sviluppate attraverso le rispettive Schede di lavoro, riguardano tematiche ampie e di grande rilevanza: molte potrebbero essere oggetto di un Sinodo, o lo sono già state. Su varie sono numerosi e incisivi anche gli interventi del Magistero. Durante i lavori dell’Assemblea non potranno essere trattate diffusamente, e soprattutto indipendentemente le une dalle altre. Andranno invece affrontate a partire dalla loro relazione con il vero tema dei lavori, ossia la Chiesa sinodale. Ad esempio, i riferimenti all’urgenza di dedicare adeguata attenzione alle famiglie e ai giovani non puntano a stimolare una nuova trattazione della pastorale familiare o giovanile. Il loro scopo è aiutare a mettere a fuoco come l’attuazione delle conclusioni delle Assemblee sinodali del 2015 e del 2018 e delle indicazioni delle successive Esortazioni Apostoliche Post-Sinodali, Amoris laetitia e Christus vivit, rappresenti una opportunità di camminare insieme come Chiesa capace di accogliere e accompagnare, accettando i necessari cambiamenti di regole, strutture e procedure. Lo stesso vale per molte altre tematiche che emergono nelle tracce.

16. L’impegno chiesto all’Assemblea e ai suoi Membri sarà quello di mantenere la tensione tra lo sguardo di insieme, che caratterizza il lavoro a partire dalla sezione A, e l’identificazione dei passi da compiere, necessariamente concreti, a cui punta invece il lavoro a partire dalla sezione B. Su questo si giocherà la fecondità del discernimento dell’Assemblea sinodale, il cui compito sarà aprire la Chiesa tutta all’accoglienza della voce dello Spirito Santo. L’articolazione della Costituzione Pastorale Gaudium et spes, che «consta di due parti», diverse per indole e focalizzazione, «ma è un tutto unitario» (GS, nota 1), potrà da questo punto di vista essere di ispirazione per i lavori dell’Assemblea.

A. Per una Chiesa sinodale
Un’esperienza integrale

«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,4-7).

17. Un tratto accomuna le narrazioni delle tappe della prima fase: è la sorpresa espressa dai partecipanti, che si sono trovati di fronte a qualcosa di inaspettato, di più grande del previsto. Per chi vi prende parte, il processo sinodale offre una opportunità di incontro nella fede che fa crescere il legame con il Signore, la fraternità tra le persone e l’amore per la Chiesa, non solo a livello individuale, ma coinvolgendo e dinamizzando l’intera comunità. L’esperienza è quella di ricevere un orizzonte di speranza che si apre per la Chiesa, un segno chiaro della presenza e dell’azione dello Spirito che la guida nella storia nel suo cammino verso il Regno (cfr. LG 5): «il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo»[5]. In questo modo, quanto più intensamente è stato accolto l’invito a camminare insieme, tanto più il Sinodo è diventato la via su cui il Popolo di Dio procede con entusiasmo, ma senza ingenuità. Infatti problemi, resistenze, difficoltà e tensioni non vengono celati o dissimulati, ma individuati e nominati grazie a un contesto di dialogo autentico che rende possibile parlare e ascoltare con libertà e sincerità. Il processo sinodale costituisce lo spazio entro il quale diventa praticabile il modo evangelico di affrontare questioni che spesso vengono poste in chiave rivendicativa o per le quali nella vita della Chiesa di oggi manca un luogo di accoglienza e discernimento.

18. Un termine per sé astratto o teorico come sinodalità ha cominciato così a incarnarsi in un’esperienza concreta. Dall’ascolto del Popolo di Dio emergono una progressiva appropriazione e una comprensione della sinodalità “dall’interno”, che non deriva dall’enunciazione di un principio, di una teoria o di una formula, ma muove dalla disponibilità a entrare in un processo dinamico di parola costruttiva, rispettosa e orante, di ascolto e di dialogo. Alla radice di questo processo c’è l’accoglienza, personale e comunitaria, di qualcosa che è al tempo stesso un dono e una sfida: essere una Chiesa di sorelle e fratelli in Cristo che si ascoltano a vicenda e che, così facendo, vengono gradualmente trasformati dallo Spirito.

A 1. I segni caratteristici di una Chiesa sinodale

19. All’interno di questa comprensione integrale, emerge la consapevolezza di alcune caratteristiche o segni distintivi di una Chiesa sinodale. Si tratta di convinzioni condivise su cui soffermarsi e riflettere insieme in vista del proseguimento di un cammino che le affinerà e chiarirà ulteriormente, a partire dal lavoro che l’Assemblea sinodale intraprenderà.

20. Con grande forza da tutti i continenti emerge la consapevolezza che una Chiesa sinodale si fonda sul riconoscimento della dignità comune derivante dal Battesimo, che rende coloro che lo ricevono figli e figlie di Dio, membri della sua famiglia, e quindi fratelli e sorelle in Cristo, abitati dall’unico Spirito e inviati a compiere una comune missione. Nel linguaggio di Paolo, «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1Cor 12,13). Il Battesimo crea così una vera corresponsabilità tra i membri della Chiesa, che si manifesta nella partecipazione di tutti, con i carismi di ciascuno, alla missione e all’edificazione della comunità ecclesiale. Non si può comprendere una Chiesa sinodale se non nell’orizzonte della comunione che è sempre anche missione di annunciare e incarnare il Vangelo in ogni dimensione dell’esistenza umana. Comunione e missione si alimentano nella comune partecipazione all’Eucarestia che fa della Chiesa un corpo «ben compaginato e connesso» (Ef 4,16) in Cristo, in grado di camminare insieme verso il Regno.

21. Radicato in questa consapevolezza è il desiderio di una Chiesa sempre più sinodale anche nelle sue istituzioni, strutture e procedure, in modo da costituire uno spazio in cui la comune dignità battesimale e la corresponsabilità nella missione siano non solo affermate, ma esercitate e praticate. In questo spazio, l’esercizio dell’autorità nella Chiesa è apprezzato come un dono e lo si vuole sempre più configurato come «un vero servizio, che le Sacre Scritture chiamano significativamente “diaconia” o ministero» (LG 24), sul modello di Gesù, che si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli (cfr. Gv 13,1-11).

22. «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto»[6]: questa consapevolezza è frutto dell’esperienza del cammino sinodale, che è un ascolto dello Spirito attraverso l’ascolto della Parola, l’ascolto degli eventi della storia e l’ascolto reciproco tra le persone e tra le comunità ecclesiali, dal livello locale a quello continentale e universale. Per molti, la grande sorpresa è stata proprio l’esperienza di essere ascoltati dalla comunità, in alcuni casi per la prima volta, ricevendo così un riconoscimento del proprio valore che testimonia l’amore del Padre per ciascuno dei suoi figli e delle sue figlie. L’ascolto dato e ricevuto ha uno spessore teologale ed ecclesiale, e non solo funzionale, sull’esempio di come Gesù ascoltava le persone che incontrava. Questo stile di ascolto è chiamato a segnare e trasformare tutte le relazioni che la comunità cristiana instaura tra i suoi membri, con le altre comunità di fede e con la società nel suo complesso, in particolare nei confronti di coloro la cui voce è più frequentemente ignorata.

23. Come Chiesa dell’ascolto, una Chiesa sinodale desidera essere umile, e sa di dover chiedere perdono e di avere molto da imparare. Alcuni documenti raccolti lungo la prima fase hanno rilevato che il cammino sinodale è necessariamente penitenziale, riconoscendo che non sempre abbiamo vissuto la dimensione sinodale costitutiva della comunità ecclesiale. Il volto della Chiesa oggi porta i segni di gravi crisi di fiducia e di credibilità. In molti contesti, le crisi legate agli abusi sessuali, economici, di potere e di coscienza hanno spinto la Chiesa a un esigente esame di coscienza «perché, sotto l’azione dello Spirito Santo, non cessi di rinnovare se stessa» (LG 9), in un cammino di pentimento e di conversione che apre percorsi di riconciliazione, guarigione e giustizia.

24. Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’incontro e del dialogo. Nel cammino che abbiamo percorso, questo riguarda con particolare forza le relazioni con le altre Chiese e Comunità ecclesiali, alle quali siamo uniti dal vincolo dell’unico Battesimo. Lo Spirito, che è «principio di unità della Chiesa» (UR 2), è all’opera in queste Chiese e Comunità ecclesiali e ci invita a intraprendere percorsi di conoscenza reciproca, di condivisione e di costruzione di una vita comune. A livello locale, emerge con forza l’importanza di quanto già si sta facendo insieme a membri di altre Chiese e Comunità ecclesiali, soprattutto come testimonianza comune in contesti socioculturali ostili fino alla persecuzione – è l’ecumenismo del martirio – e di fronte all’emergenza ecologica. Ovunque, in sintonia con il Magistero del Concilio Vaticano II, emerge il desiderio di approfondire il cammino ecumenico: una Chiesa autenticamente sinodale non può non coinvolgere tutti coloro che condividono l’unico Battesimo.

25. Una Chiesa sinodale è chiamata a praticare la cultura dell’incontro e del dialogo con i credenti di altre religioni e con le culture e le società in cui è inserita, ma soprattutto tra le tante differenze che attraversano la Chiesa stessa. Questa Chiesa non ha paura della varietà di cui è portatrice, ma la valorizza senza costringerla all’uniformità. Il processo sinodale è stato un’occasione per iniziare a imparare che cosa significa vivere l’unità nella diversità, una realtà da continuare a esplorare, confidando che il cammino diventi più chiaro man mano che si procede. Pertanto, una Chiesa sinodale promuove il passaggio dall’“io” al “noi”, perché costituisce uno spazio all’interno del quale risuona la chiamata a essere membri di un corpo che valorizza le diversità, ma è reso uno dall’unico Spirito. È lo Spirito che spinge ad ascoltare il Signore e rispondergli come popolo al servizio dell’unica missione di annunciare a tutte le genti la salvezza offerta da Dio in Cristo Gesù. Questo avviene in una grande diversità di contesti: a nessuno è chiesto di lasciare il proprio, ma piuttosto di comprenderlo e incarnarvisi con maggiore profondità. Tornando a questa visione dopo l’esperienza della prima fase, la sinodalità appare innanzi tutto come un dinamismo che anima le comunità locali concrete. Passando al livello più universale, questo slancio abbraccia tutte le dimensioni e le realtà della Chiesa, in un movimento di autentica cattolicità.

26. Vissuta in una diversità di contesti e culture, la sinodalità si rivela una dimensione costitutiva della Chiesa fin dalle sue origini, anche se ancora in via di compimento. Anzi, essa preme per essere attuata sempre più pienamente, esprimendo una chiamata radicale alla conversione, al cambiamento, alla preghiera e all’azione che è rivolta a tutti. In questo senso, una Chiesa sinodale è aperta, accogliente e abbraccia tutti. Non c’è confine che questo movimento dello Spirito non senta di dover oltrepassare, per attirare tutti nel suo dinamismo. La radicalità del Cristianesimo non è appannaggio di alcune vocazioni specifiche, ma è la chiamata a costruire una comunità che vive e testimonia un modo diverso di intendere la relazione tra le figlie e i figli di Dio, che incarna la verità dell’amore, che si fonda sul dono e sulla gratuità. La chiamata radicale è quindi quella di costruire insieme, sinodalmente, una Chiesa attraente e concreta: una Chiesa in uscita, in cui tutti si sentano accolti.

27. Allo stesso tempo, una Chiesa sinodale affronta onestamente e senza paura la chiamata a una comprensione più profonda del rapporto tra amore e verità, secondo l’invito di San Paolo: «agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16). Per includere autenticamente tutti, quindi, è necessario entrare nel mistero di Cristo, lasciarsi formare e trasformare dal modo in cui egli ha vissuto il rapporto tra amore e verità.

28. Caratteristica di una Chiesa sinodale è la capacità di gestire le tensioni senza esserne schiacciata, vivendole come spinta ad approfondire il modo di comprendere e vivere comunione, missione e partecipazione. La sinodalità è una via privilegiata di conversione, perché ricostituisce la Chiesa nell’unità: cura le sue ferite e riconcilia la sua memoria, accoglie le differenze di cui è portatrice e la riscatta da divisioni infeconde, permettendole così di incarnare più pienamente la sua vocazione a essere «in Cristo, come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). L’ascolto autentico e la capacità di trovare modi per continuare a camminare insieme al di là della frammentazione e della polarizzazione sono indispensabili perché la Chiesa rimanga viva e vitale e possa essere un segno potente per le culture del nostro tempo.

29. Cercare di camminare insieme ci mette anche in contatto con la sana inquietudine dell’incompletezza, con la consapevolezza che ci sono ancora molte cose di cui non siamo in grado di portare il peso (cfr. Gv 16,12). Non si tratta di un problema da risolvere, ma di un dono da coltivare: ci troviamo di fronte al mistero inesauribile e santo di Dio e dobbiamo rimanere aperti alle sue sorprese mentre avanziamo nel nostro pellegrinaggio verso il Regno (cfr. LG 8). Questo vale anche per le domande che il processo sinodale ha fatto emergere: come primo passo richiedono ascolto e attenzione, senza precipitarsi a offrire soluzioni immediate.

30. Portare il peso di queste domande non è un fardello personale di chi occupa determinati ruoli, con il rischio di esserne schiacciato, ma un compito dell’intera comunità, la cui vita relazionale e sacramentale è spesso la risposta immediata più efficace. Per questo una Chiesa sinodale si nutre incessantemente del mistero che celebra nella liturgia, «culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e […] fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC 10), e in particolare nell’Eucarestia.

31. Una volta superata l’ansia del limite, l’inevitabile incompiutezza di una Chiesa sinodale e la disponibilità dei suoi membri ad accogliere le proprie vulnerabilità diventano lo spazio per l’azione dello Spirito, che ci invita a riconoscere i segni della sua presenza. Per questo una Chiesa sinodale è anche una Chiesa del discernimento, nella ricchezza di significati che questo termine assume e a cui le diverse tradizioni spirituali danno rilievo. La prima fase ha permesso al Popolo di Dio di iniziare a sperimentare il gusto del discernimento attraverso la pratica della conversazione nello Spirito. Ascoltando con attenzione l’esperienza vissuta di ciascuno, cresciamo nel rispetto reciproco e cominciamo a discernere i movimenti dello Spirito di Dio nella vita degli altri e nella nostra. In questo modo iniziamo a prestare maggiore attenzione a «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7), nell’impegno e nella speranza di diventare una Chiesa sempre più capace di prendere decisioni profetiche che siano frutto della guida dello Spirito.

A 2. Un modo di procedere per la Chiesa sinodale: la conversazione nello Spirito

32. Attraversa tutti i continenti il riconoscimento di quanto sia stato fecondo il metodo qui chiamato “conversazione nello Spirito”, adottato durante la prima fase e indicato in alcuni documenti come “conversazione spirituale” o “metodo sinodale” (cfr. figura a p. 16).

33. Nel suo senso etimologico, il termine “conversazione” non indica un generico scambio di idee, ma quella dinamica in cui la parola pronunciata e ascoltata genera familiarità, consentendo ai partecipanti di diventare intimi gli uni degli altri. La precisazione “nello Spirito” ne individua l’autentico protagonista: all’ascolto della sua voce tende il desiderio di coloro che conversano, che nella preghiera si aprono all’azione libera di Colui che come il vento soffia dove vuole (cfr. Gv 3,8). Pian piano il conversare tra fratelli e sorelle nella fede apre lo spazio per un con-sentire, cioè assentire insieme alla voce dello Spirito. Non è conversazione nello Spirito se non c’è un passo in avanti in una direzione precisa, spesso inaspettata, che punta a un’azione concreta.

34. Nelle Chiese locali che durante la prima fase l’hanno praticata, la conversazione nello Spirito è stata “scoperta” come l’atmosfera che rende possibile la condivisione delle esperienze di vita e come lo spazio del discernimento in una Chiesa sinodale. Nei Documenti finali delle Assemblee continentali, viene descritta come un momento pentecostale, come l’occasione per sperimentare di essere Chiesa e passare dall’ascolto dei fratelli e sorelle in Cristo all’ascolto dello Spirito, che è l’autentico protagonista, e di ricevere da Lui una missione. Allo stesso tempo, attraverso questo metodo, la grazia della Parola e dei Sacramenti diventa una realtà sentita e trasformante, attualizzata, che attesta e realizza l’iniziativa con cui il Signore Gesù si rende presente e attivo nella Chiesa: Cristo ci invia in missione e ci riunisce attorno a sé per rendere grazie e gloria al Padre nello Spirito Santo. Per questo da tutti i continenti giunge la richiesta che questo metodo possa sempre più animare e informare la vita quotidiana delle Chiese.

35. La conversazione nello Spirito si inserisce nella lunga tradizione del discernimento ecclesiale, che ha espresso una pluralità di metodi e approcci. Va sottolineato il suo valore squisitamente missionario. Questa pratica spirituale ci permette di passare dall’“io” al “noi”: non perde di vista o cancella la dimensione personale dell’“io”, ma la riconosce e la inserisce in quella comunitaria. In questo modo la presa di parola e l’ascolto dei partecipanti diventano liturgia e preghiera, al cui interno il Signore si rende presente e attira verso forme sempre più autentiche di comunione e discernimento.

36. Nel Nuovo Testamento, numerosi sono gli esempi di questo modo di conversare. Paradigmatico è il racconto dell’incontro del Signore risorto con i due discepoli in cammino verso Emmaus (cfr. Lc 24,13-35, e la spiegazione che ne dà CV 237). Come mostra bene la loro esperienza, la conversazione nello Spirito costruisce comunione e reca un dinamismo missionario: i due, infatti, fanno ritorno alla comunità che avevano abbandonato per condividere l’annuncio pasquale che il Signore è risorto.

37. Nella sua concretezza, la conversazione nello Spirito può essere descritta come una preghiera condivisa in vista di un discernimento in comune, a cui i partecipanti si preparano con la riflessione e la meditazione personale. Si faranno reciprocamente dono di una parola meditata e nutrita dalla preghiera, non di una opinione improvvisata sul momento. La dinamica tra i partecipanti articola tre passaggi fondamentali. Il primo è dedicato alla presa di parola da parte di ciascuno, a partire dalla propria esperienza riletta nella preghiera durante il tempo della preparazione. Gli altri ascoltano con la consapevolezza che ciascuno ha un contributo prezioso da offrire, senza entrare in dibattiti o discussioni.

38. Silenzio e preghiera aiutano a preparare il passaggio successivo, in cui ciascuno è invitato ad aprire dentro di sé uno spazio per gli altri e per l’Altro. Nuovamente ciascuno prende la parola: non per reagire e controbattere a quanto ascoltato, riaffermando la propria posizione, ma per esprimere che cosa durante l’ascolto lo ha toccato più profondamente e da che cosa si sente interpellato con più forza. Le tracce che l’ascolto delle sorelle e dei fratelli produce nell’interiorità di ciascuno sono il linguaggio con cui lo Spirito Santo fa risuonare la propria voce: quanto più ciascuno si sarà nutrito della meditazione della Parola e dei Sacramenti, crescendo nella familiarità con il Signore, tanto più sarà capace di riconoscere il suono della Sua voce (cfr. Gv 10,14.27), anche grazie all’accompagnamento da parte del Magistero e della teologia. Ugualmente, quanto più i partecipanti sapranno fare attenzione a ciò che dice lo Spirito, tanto più cresceranno in un sentire condiviso e aperto alla missione.

39. Il terzo passaggio, sempre in clima di preghiera e sotto la guida dello Spirito Santo, è quello della identificazione dei punti chiave emersi e della costruzione di un consenso sui frutti del lavoro comune, che ciascuno ritenga fedele allo svolgimento del processo e in cui possa quindi sentirsi rappresentato. Non basta stendere un verbale che elenchi i punti più spesso menzionati, ma occorre un discernimento, che presti attenzione anche alle voci marginali e profetiche e non trascuri il significato dei punti rispetto ai quali emergono dissensi. Il Signore è la testata d’angolo che permetterà alla “costruzione” di reggersi e lo Spirito, maestro di armonia, aiuterà a passare dalla confusione alla sinfonia.

40. Il percorso sfocia in una preghiera di lode a Dio e di gratitudine per l’esperienza compiuta. «Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio» (EG 272). È questo in sintesi il dono che riceve chi si lascia coinvolgere in una conversazione nello Spirito.

41. Nella concretezza delle situazioni non è mai possibile seguire questo schema pedissequamente, ma bisogna sempre adattarlo. Talvolta occorre dare priorità alla presa di parola da parte di ciascuno e all’ascolto degli altri; in altre circostanze al far emergere i legami tra le diverse prospettive, alla ricerca di quello che “fa ardere il cuore nel petto” (cfr. Lc 24,32); in altre ancora all’esplicitazione di un consenso e al lavoro comune per identificare la direzione in cui ci si sente chiamati dallo Spirito a mettersi in movimento. Ma, al di là degli opportuni adattamenti concreti, l’intenzione e il dinamismo che uniscono i tre passaggi sono e restano caratteristici del modo di procedere di una Chiesa sinodale.

42. Tenendo presente il significato della conversazione nello Spirito nell’animare l’esperienza vissuta della Chiesa sinodale, la formazione a questo metodo, in particolare di facilitatori capaci di accompagnare le comunità a praticarlo, è percepita come una priorità a tutti i livelli della vita ecclesiale e per tutti i Battezzati, a partire dai Ministri ordinati, e in uno spirito di corresponsabilità e apertura a diverse vocazioni ecclesiali. La formazione alla conversazione nello Spirito è formazione a essere Chiesa sinodale.

B. Comunione, missione, partecipazione
Tre questioni prioritarie per la Chiesa sinodale

«Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri» (Rm 12,4-5).

43. Tra i frutti della prima fase, e in particolare delle Assemblee continentali, ottenuti anche grazie al modo di procedere appena delineato, c’è l’identificazione delle tre priorità che vengono ora proposte al discernimento dell’Assemblea sinodale di ottobre 2023. Si tratta di sfide con cui la Chiesa tutta deve misurarsi per fare un passo avanti e crescere nel proprio essere sinodale a tutti i livelli e da una pluralità di prospettive: chiedono di essere affrontate dal punto di vista della teologia e del diritto canonico, così come da quello della pastorale e della spiritualità. Chiamano in causa la programmazione delle Diocesi così come le scelte quotidiane e lo stile di vita di ciascun membro del Popolo di Dio. Sono autenticamente sinodali anche perché affrontarle richiede di camminare insieme come popolo, con tutte le sue componenti. Le tre priorità saranno illustrate in collegamento con le tre parole chiave del Sinodo: comunione, missione, partecipazione. È una scelta motivata dalla ricerca della semplicità espositiva, ma che si espone a un rischio: quello di presentarle come tre “pilastri” indipendenti l’uno dagli altri. Invece, nella vita della Chiesa sinodale, comunione, missione e partecipazione si articolano, alimentandosi e sostenendosi a vicenda. In questa chiave di integrazione vanno sempre pensate e presentate.

44. Il cambiamento nell’ordine con cui i tre termini compaiono, con la missione nel posto centrale, si radica nella consapevolezza dei legami che li uniscono maturata durante la prima fase. In particolare, comunione e missione si intrecciano e si rispecchiano l’una nell’altra, come già insegnava San Giovanni Paolo II: «La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione» (CL 32, ripreso in PE I,4). Siamo invitati a superare una concezione dualista in cui i rapporti interni alla comunità ecclesiale sono il dominio della comunione, mentre la missione riguarda lo slancio ad extra. La prima fase ha invece messo in evidenza come la comunione sia la condizione di credibilità dell’annuncio, recuperando in questo una intuizione della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale[7]. Parallelamente cresce la coscienza che l’orientamento alla missione costituisce l’unico criterio evangelicamente fondato per l’organizzazione interna della comunità cristiana, la distribuzione di ruoli e compiti e la gestione delle sue istituzioni e strutture. È nel rapporto con comunione e missione che la partecipazione può essere compresa, e per questo non può che essere affrontata dopo le altre due. Da una parte rende loro il servizio della concretezza: l’attenzione a procedure, regole, strutture e istituzioni consente alla missione di consolidarsi nel tempo e sottrae la comunione all’estemporaneità emozionale. Dall’altra ne riceve un orientamento e un dinamismo finalistico che le permettono di sfuggire al rischio di trasformarsi nella frenesia della rivendicazione di diritti individuali, finendo inevitabilmente per frammentare anziché unire.

45. Per accompagnare la preparazione e strutturare i lavori dell’Assemblea, per ciascuna priorità sono state preparate cinque Schede di lavoro, presentate al termine di questa sezione. Ciascuna di esse costituisce una porta di ingresso per trattare la priorità a cui è associata, che in questo modo può essere affrontata da prospettive differenti ma complementari, in collegamento con aspetti diversi della vita della Chiesa emersi grazie al lavoro delle Assemblee continentali. In ogni caso, i tre paragrafi che seguono, a cui corrispondono i tre gruppi di Schede, non possono essere letti come colonne parallele e non comunicanti. Sono piuttosto fasci di luce che da punti diversi illuminano la stessa realtà, cioè la vita sinodale della Chiesa, continuamente intrecciandosi e richiamandosi l’un l’altro, invitando a crescere in essa.

B 1. Una comunione che si irradia. Come essere più pienamente segno e strumento di unione con Dio e di unità del genere umano?

46. La comunione non è un sociologico ritrovarsi come membri di un gruppo identitario, ma è prima di tutto un dono del Dio Trino e, al tempo stesso, un compito, mai esaurito, di costruzione del “noi” del Popolo di Dio. Come le stesse Assemblee continentali hanno sperimentato, essa intreccia una dimensione verticale, che Lumen gentium chiama «l’unione con Dio», e una orizzontale, «l’unità del genere umano», in un forte dinamismo escatologico: quello della comunione è un cammino in cui siamo chiamati a crescere, «finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).

47. Di quel momento riceviamo un’anticipazione nella liturgia, il luogo in cui la Chiesa nel suo cammino terreno sperimenta la comunione, la alimenta e la costruisce. Se, infatti, «la liturgia contribuisce in sommo grado a che i Fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e l’autentica natura della vera Chiesa» (SC 2), è proprio ad essa che dobbiamo guardare per comprendere che cosa sia la vita sinodale della Chiesa. Innanzi tutto è nell’azione liturgica, e in particolare nella celebrazione eucaristica, che la Chiesa fa ogni giorno esperienza di radicale unità nella medesima preghiera, ma nella diversità delle lingue e dei riti: un punto fondamentale in chiave sinodale. Da questo punto di vista, la molteplicità dei riti nell’unica Chiesa Cattolica è un’autentica benedizione, da proteggere e promuovere, come in diverse occasioni si è potuto sperimentare anche durante le Assemblee continentali.

48. L’assemblea sinodale non può essere intesa come rappresentativa e legislativa, in analogia a un organismo parlamentare, con le sue dinamiche di costruzione della maggioranza. Siamo piuttosto chiamati a comprenderla in analogia a quella liturgica. La tradizione antica ci attesta che il Sinodo si celebra: inizia con l’invocazione dello Spirito Santo, prosegue con la professione di fede, giunge a determinazioni condivise per garantire o ristabilire la comunione ecclesiale. In un’assemblea sinodale Cristo si rende presente e agisce, trasforma la storia e le vicende quotidiane, dona lo Spirito che guida la Chiesa a trovare un consenso su come camminare insieme verso il Regno e aiutare l’umanità a procedere nella direzione dell’unità. Camminare insieme nell’ascolto della Parola e dei fratelli e delle sorelle, cioè nella ricerca della volontà di Dio e nella concordia, conduce all’azione di grazie al Padre attraverso il Figlio nell’unico Spirito. Nell’assemblea sinodale quanti si riuniscono nel nome di Cristo ascoltano la sua Parola, si ascoltano a vicenda, fanno discernimento nella docilità allo Spirito, proclamano quanto hanno ascoltato e riconosciuto come luce per il cammino della Chiesa.

49. In questa prospettiva, la vita sinodale non è una strategia di organizzazione della Chiesa, ma l’esperienza di poter trovare una unità che abbraccia la diversità senza cancellarla, perché fondata sull’unione con Dio nella confessione della stessa fede. Questo dinamismo possiede una forza propulsiva che spinge per allargare continuamente l’ambito della comunione, ma che deve fare i conti con le contraddizioni, i limiti e le ferite della storia.

50. Si radica in questo punto la prima questione prioritaria emersa dal processo sinodale: nella concretezza della nostra realtà storica, custodire e promuovere la comunione richiede di farsi carico dell’incompiutezza nel riuscire a vivere l’unità nella diversità (cfr. 1Cor 12). La storia produce divisioni, che causano ferite da curare e richiedono di avviare percorsi di riconciliazione. In questo contesto, in nome del Vangelo quali legami vanno sviluppati, superando trincee e steccati, e quali ripari e protezioni vanno costruiti, e a tutela di chi? Quali divisioni sono infeconde? Quando la gradualità rende possibile il cammino verso la comunione compiuta? Paiono interrogativi teorici, ma la loro concretezza si radica nella vita quotidiana delle comunità cristiane consultate nella prima fase: riguardano infatti la questione se esistano limiti alla disponibilità di accogliere persone e gruppi, il modo di impegnarci nel dialogo con le culture e le religioni senza compromettere la nostra identità, o la determinazione nel farci voce di chi è ai margini e nel riaffermare che nessuno deve essere lasciato indietro. Le cinque Schede di lavoro relative a questa priorità provano a esplorare questi interrogativi da cinque prospettive complementari.

B 2. Corresponsabili nella missione. Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo?

51. «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria» (AG 2). La missione costituisce l’orizzonte dinamico a partire dal quale pensare la Chiesa sinodale, a cui imprime una spinta verso l’“estasi”, «che consiste nell’uscire [… da sé] per cercare il bene degli altri, fino a dare la vita» (CV 163; cfr. anche FT 88). La missione permette cioè di rivivere l’esperienza della Pentecoste: ricevuto lo Spirito Santo, Pietro con gli Undici si alza in piedi e prende la parola per annunciare Gesù morto e risorto a quanti si trovano a Gerusalemme (cfr. At 2,14-36). La vita sinodale si radica nello stesso dinamismo: non sono poche le testimonianze che descrivono in questi termini l’esperienza vissuta nella prima fase, e ancora più numerose quelle che legano in maniera inscindibile sinodalità e missione.

52. In una Chiesa che si definisce come segno e strumento di unione con Dio e di unità del genere umano (cfr. LG 1), il discorso sulla missione mette a tema la trasparenza del segno e l’efficacia dello strumento, senza le quali qualunque annuncio si scontrerà con problemi di credibilità. La missione non è marketing di un prodotto religioso, ma costruzione di una comunità in cui i rapporti siano trasparenza dell’amore di Dio e quindi la vita stessa diventi annuncio. Negli Atti degli apostoli, al discorso di Pietro segue immediatamente il racconto della vita della comunità primitiva, in cui tutto diventava occasione di comunione (cfr. 2,42-47): questo le conferiva capacità di attrazione.

53. In questa linea, il primo interrogativo sulla missione riguarda proprio ciò che i membri della comunità cristiana sono disponibili a mettere in comune, a partire dall’originalità irriducibile di ciascuno, in forza della sua relazione diretta con Cristo nel Battesimo e del suo essere abitato dallo Spirito. Questo rende prezioso e irrinunciabile il contributo di ogni Battezzato. Una delle ragioni del senso di meraviglia registrato durante la prima fase è legato proprio alla possibilità di contribuire: «Davvero posso fare qualcosa?». Al tempo stesso, ciascuno è invitato ad assumere la propria incompletezza, cioè la consapevolezza che per portare avanti la missione c’è bisogno di tutti o, in altri termini, che anche la missione ha una dimensione costitutivamente sinodale.

54. Per questo la seconda priorità individuata da una Chiesa che si scopre sinodale missionaria riguarda il modo in cui riesce davvero a sollecitare il contributo di tutti, ciascuno con i suoi doni e i suoi compiti, valorizzando la diversità dei carismi e integrando la relazione tra doni gerarchici e carismatici[8]. La prospettiva della missione inserisce carismi e ministeri nell’orizzonte di ciò che è comune, e in questo modo ne salvaguarda la fecondità, che risulta invece compromessa quando essi diventano prerogative che legittimano logiche di esclusione. Una Chiesa sinodale missionaria ha il dovere di interrogarsi su come può riconoscere e valorizzare il contributo che ogni Battezzato può offrire alla missione, uscendo da se stesso e partecipando insieme agli altri a qualcosa di più grande. «Dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità» (CA 34) è una componente irrinunciabile della dignità della persona, anche all’interno della comunità cristiana. Il primo contributo che tutti possono offrire è al discernimento dei segni dei tempi (cfr. GS 4), allo scopo di mantenere la consapevolezza della missione sintonizzata con il soffio dello Spirito. Tutti i punti di vista hanno qualcosa da apportare a questo discernimento, a partire da quello dei poveri e degli esclusi: camminare insieme con loro non vuol dire soltanto farsi carico dei loro bisogni e delle loro sofferenze, ma anche imparare da loro. Questo è il modo per riconoscere loro pari dignità, sfuggendo alle trappole dell’assistenzialismo e anticipando per quanto possibile la logica di quei cieli e terra nuova verso cui siamo in cammino.

55. Le Schede di lavoro relative a questa priorità provano a concretizzare questo interrogativo di fondo rispetto a temi quali il riconoscimento della varietà di vocazioni, carismi e ministeri, la promozione della dignità battesimale delle donne, il ruolo del Ministero ordinato e in particolare il ministero del Vescovo all’interno della Chiesa sinodale missionaria.

B 3. Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità. Quali processi, strutture e istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria?

56. «Comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno»[9]. Queste parole del Santo Padre ci aiutano a collocare la partecipazione nel rapporto con gli altri due termini. Alla dimensione procedurale, che non va sottovalutata in quanto istanza di concretezza, la partecipazione aggiunge una densità antropologica di grande rilevanza: esprime infatti la preoccupazione per la fioritura dell’umano, cioè l’umanizzazione dei rapporti al cuore del progetto di comunione e dell’impegno per la missione. Salvaguarda l’unicità del volto di ciascuno, spingendo perché il passaggio al “noi” non assorba l’“io” nell’anonimato di una collettività indistinta, nell’astrattezza dei diritti o nell’asservimento alla performance dell’organizzazione. La partecipazione è essenzialmente espressione di creatività e alimento di rapporti di ospitalità, accoglienza e promozione umana al cuore della missione e della comunione.

57. Dalla preoccupazione per la partecipazione nel senso integrale qui ricordato scaturisce la terza priorità emersa dalla tappa continentale: la questione dell’autorità, del suo senso e dello stile del suo esercizio all’interno di una Chiesa sinodale. In particolare, essa si pone nella linea di parametri di derivazione mondana, o in quella del servizio? «Tra voi non sarà così» (Mt 20,26; cfr. Mc 10,43), dice il Signore, che dopo aver lavato i piedi ai discepoli li ammonisce: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). Nella sua origine, il termine “autorità” indica la capacità di far crescere, e dunque il servizio all’originalità personale di ciascuno, il sostegno alla creatività e non un controllo che la blocca, il servizio alla costruzione della libertà della persona e non un laccio che la tiene legata. A questa domanda se ne collega una seconda, carica della preoccupazione per la concretezza e la continuità nel tempo: come possiamo imprimere alle nostre strutture e istituzioni il dinamismo della Chiesa sinodale missionaria?

58. Da questa attenzione deriva una ulteriore istanza, altrettanto concreta, che punta proprio a sostenere la dinamica della partecipazione nel tempo: si tratta della formazione, che appare in modo trasversale in tutti i documenti della prima fase. Istituzioni e strutture, infatti, non bastano a rendere sinodale la Chiesa: sono necessarie una cultura e una spiritualità sinodali, animate da un desiderio di conversione e sostenute da un’adeguata formazione, come le Assemblee continentali e prima di loro le sintesi delle Chiese locali non hanno cessato di sottolineare. L’esigenza di formazione non si limita all’aggiornamento dei contenuti, ma ha una portata integrale, che riguarda tutte le capacità e le disposizioni della persona: l’orientamento alla missione, la capacità di relazione e di costruzione della comunità, la disponibilità all’ascolto spirituale e la familiarità con il discernimento personale e comunitario, la pazienza, la perseveranza e la parresia.

59. La formazione è il mezzo indispensabile per rendere il modo di procedere sinodale un modello pastorale per la vita e l’azione della Chiesa. Abbiamo bisogno di una formazione integrale, iniziale e permanente, per tutti i membri del Popolo di Dio. Nessun Battezzato può sentirsi estraneo a questo impegno e occorre quindi strutturare adeguate proposte di formazione al modo di procedere sinodale rivolte a tutti i Fedeli. In particolare, poi, più uno è chiamato a servire la Chiesa, più deve avvertire l’urgenza della formazione: Vescovi, Presbiteri, Diaconi, Consacrati e Consacrate, e tutti coloro che esercitano un ministero hanno bisogno di formazione per rinnovare le modalità di esercizio dell’autorità e i processi decisionali in chiave sinodale, e per apprendere come accompagnare il discernimento comunitario e la conversazione nello Spirito. I candidati al Ministero ordinato vanno formati a uno stile e a una mentalità sinodale. La promozione di una cultura della sinodalità implica il rinnovamento dell’attuale curriculum dei seminari e della formazione dei formatori e dei professori di teologia, in modo che ci sia un orientamento più chiaro e deciso verso la formazione a una vita di comunione, missione e partecipazione. La formazione a una spiritualità sinodale è al cuore del rinnovamento della Chiesa.

60. Numerosi contributi evidenziano la necessità di uno sforzo analogo per il rinnovamento del linguaggio utilizzato dalla Chiesa: nella liturgia, nella predicazione, nella catechesi, nell’arte sacra, così come in tutte le forme di comunicazione rivolte sia ai Fedeli sia all’opinione pubblica più ampia, anche attraverso nuovi e vecchi media. Senza mortificare o svilire la profondità del mistero che la Chiesa annuncia o la ricchezza della sua tradizione, il rinnovamento del linguaggio dovrà puntare a renderle accessibili e attraenti per gli uomini e le donne del nostro tempo, senza rappresentare un ostacolo che li tiene lontani. L’ispirazione della freschezza del linguaggio evangelico, la capacità di inculturazione che la storia della Chiesa esibisce e le promettenti esperienze già in corso, anche nell’ambiente digitale, ci invitano a procedere con fiducia e decisione in un compito di importanza cruciale per l’efficacia dell’annuncio del Vangelo, che è il fine a cui tende una Chiesa sinodale missionaria.

Roma, 29 maggio 2023

Memoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa

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XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI

PER UNA CHIESA SINODALE:
COMUNIONE, PARTECIPAZIONE, MISSIONE

SCHEDE DI LAVORO
PER L’ASSEMBLEA SINODALE

(Prima Sessione – ottobre 2023)

SCHEDE DI LAVORO
PER L’ASSEMBLEA SINODALE

Introduzione

Se l’intero IL «è pensato come sussidio pratico a servizio dello svolgimento dell’Assemblea sinodale di ottobre 2023 e quindi per la sua preparazione» (n. 10), questo vale in modo peculiare per le Schede di lavoro qui presentate. Esse sono state predisposte per facilitare il discernimento sulle «tre priorità che con maggiore forza emergono dal lavoro di tutti i continenti» (n. 14), in vista dell’identificazione dei passi concreti a cui ci sentiamo chiamati dallo Spirito Santo per crescere come Chiesa sinodale. La presentazione delle Schede, la spiegazione della loro struttura e le indicazioni su come utilizzarle richiedono quindi prima di tutto di collocarle all’interno della dinamica dei lavori dell’Assemblea.

La dinamica dell’Assemblea.

L’Assemblea affronterà le questioni poste dall’IL alternando convocazioni plenarie (Congregationes Generales) e lavori di gruppo (sessioni dei Circuli Minores), come previsto dall’art. 14 di EC.

In particolare, l’Assemblea procederà affrontando i diversi temi, nell’ordine in cui l’IL li propone. Comincerà lavorando sulla Sezione A, «Per una Chiesa sinodale. Un’esperienza integrale» (nn. 17-42), con l’obiettivo di mettere meglio a fuoco le caratteristiche fondamentali di una Chiesa sinodale, a partire dall’esperienza del camminare insieme vissuta dal Popolo di Dio in questi due anni e raccolta dai documenti prodotti lungo la prima fase grazie al discernimento dei Pastori. All’Assemblea è richiesto di muoversi in una prospettiva integrale, considerando l’esperienza del Popolo di Dio nel suo insieme e con la sua complessità.

L’Assemblea passerà quindi ad affrontare le tre questioni prioritarie emerse dalla fase della consultazione e presentate nella Sezione B dell’IL (nn. 43-60). A ciascuna di esse è dedicata una delle tre parti in cui quella Sezione è articolata, «in collegamento con le tre parole chiave del Sinodo: comunione, missione, partecipazione» (n. 43), con un’inversione dell’ordine in cui i tre termini compaiono che viene spiegata al n. 44. A questa articolazione corrisponde quella delle Schede di lavoro, anch’esse suddivise in tre parti, ciascuna delle quali riprende il titolo della parte corrispondente della Sezione B, evidenziando così il legame che le unisce:

– «B 1. Una comunione che si irradia. Come essere più pienamente segno e strumento di unione con Dio e di unità del genere umano?» (nn. 46-50);

– «B 2. Corresponsabili nella missione. Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo?» (nn. 51-55);

– «B 3. Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità. Quali processi, strutture e istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria?» (nn. 56-60).

In particolare, a ciascuna delle tre priorità corrispondono cinque Schede di lavoro: ciascuna «costituisce una porta di ingresso per trattare la priorità a cui è associata, che in questo modo può essere affrontata da prospettive differenti ma complementari, in collegamento con aspetti diversi della vita della Chiesa emersi grazie al lavoro delle Assemblee continentali» (n. 45).

L’organizzazione dei lavori per passi successivi non elimina il dinamismo che lega le due Sezioni tra di loro: l’esperienza del Popolo di Dio affrontata con lo sguardo integrale della Sezione A continua a rappresentare l’orizzonte al cui interno collocare la trattazione delle diverse questioni poste nella Sezione B, che in quella esperienza sono radicate. Lo sforzo richiesto all’Assemblea sarà proprio di «mantenere la tensione tra lo sguardo di insieme […] e l’identificazione dei passi da compiere» (n. 16): questi ultimi danno al primo concretezza e profondità, e ne ricevono in cambio visione prospettica e coesione contro il rischio della dispersione nel dettaglio.

Infine l’ultimo segmento dei lavori dell’Assemblea sarà dedicato alla raccolta dei frutti, cioè concretamente all’elaborazione di piste lungo cui continuare a camminare insieme, proseguendo la rilettura dell’esperienza del Popolo di Dio e promuovendo i necessari approfondimenti, innanzi tutto teologici e canonistici, in vista della seconda sessione dell’Assemblea sinodale nell’ottobre 2024.

Lungo l’intero percorso, l’Assemblea procederà utilizzando il metodo della conversazione nello Spirito (cfr. nn. 32-42), opportunamente adattato. Manterrà così un collegamento con il modo di procedere che ha contraddistinto l’intero processo sinodale (cfr. figura a pag. 26), ma soprattutto facendone diretta esperienza potrà meglio mettere a fuoco come esso possa diventare parte della vita ordinaria della Chiesa e modo di procedere condiviso per discernere la volontà di Dio.

Come usare le Schede di lavoro

Le Schede di lavoro sono pensate come strumento di lavoro per affrontare le tre questioni prioritarie enunciate nella Sezione B durante l’Assemblea di ottobre 2023. Non sono quindi capitoli di un libro da leggere in successione, né brevi saggi più o meno completi su un tema. Sono “da fare” e non “da leggere”, nel senso che offrono una traccia per la preghiera e la riflessione personale in preparazione allo scambio in gruppo e in plenaria. Allo stesso modo possono essere usate per realizzare incontri di approfondimento tematico in stile sinodale a tutti i livelli della vita della Chiesa. Non sono pensate per essere trattate in successione: ciascuna va tenuta insieme alla parte della Sezione B dell’IL a cui corrisponde, ma può essere affrontata prescindendo da tutte le altre.

Le Schede hanno tutte la medesima struttura: cominciano con una rapida contestualizzazione dell’interrogativo espresso dal titolo a partire da quanto emerso nella prima fase. Formulano poi una domanda per il discernimento. Infine offrono alcuni spunti di approfondimento, che articolano una varietà di prospettive (teologica, pastorale, canonistica, ecc.), dimensioni e livelli (Parrocchia, Diocesi, ecc.), ma soprattutto restituiscono la concretezza dei volti dei membri del Popolo di Dio, dei loro carismi e ministeri, delle domande che hanno espresso durante la fase dell’ascolto. L’abbondanza degli stimoli proposta in ogni Scheda risponde a un’esigenza di fedeltà alla ricchezza e alla varietà di quanto raccolto dalla consultazione, senza farne un questionario in cui è necessario formulare una risposta a ogni domanda. Alcuni spunti risulteranno particolarmente stimolanti in alcune regioni del mondo, altri in regioni diverse. Ciascuno è invitato a privilegiare quello o quelli su cui sente che l’esperienza della “sua” Chiesa ha una maggiore ricchezza da condividere con le altre: sarà questo il suo contributo al lavoro comune.

Ogni Scheda si focalizza sulla questione indicata dal titolo, dando per acquisito il quadro di riferimento rappresentato dall’IL, i cui contenuti non vengono ripetuti né esplicitamente citati. Rappresentano però la base del lavoro, unitamente a tutti i documenti relativi alla fase della consultazione: «anche nella preparazione all’Assemblea, i Membri del Sinodo sono invitati a tenere presenti i documenti precedenti, in particolare il DTC e i Documenti finali delle Assemblee continentali, oltre a quello del Sinodo digitale, come strumenti per il loro discernimento» (n. 9). Non si tratta quindi di ripartire da zero, ma di proseguire un cammino già cominciato. È per questa ragione, oltre che per ovvi motivi di spazio, che le Schede non offrono una trattazione sistematica delle diverse questioni, né approfondiscono tutto: il fatto che il processo sinodale abbia fatto emergere alcuni punti come prioritari non significa che altre questioni siano meno importanti. Sulla base della consultazione del Popolo di Dio, le questioni proposte nelle Schede rappresentano portali d’ingresso per affrontare concretamente l’interrogativo di fondo che spinge e guida l’intero processo: «come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale) quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?» (DP 2).

Tra le Schede, anche relative a parti diverse, ci sono evidenti punti di contatto, e anche sovrapposizioni. Non si tratta però di ripetizioni, in quanto nella redazione si è tenuto conto del fatto che le Schede sono pensate per essere utilizzate indipendentemente le une dalle altre. Inoltre, in questo modo si evidenzia la ricca rete di interconnessioni tra i temi toccati.

Alcuni interrogativi emersi dalla consultazione del Popolo di Dio riguardano questioni su cui già esiste uno sviluppo magisteriale e teologico a cui fare riferimento: per limitarci a due esempi, basta pensare all’accoglienza dei divorziati risposati, tema trattato nell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, o all’inculturazione della liturgia, oggetto dell’Istruzione Varietates legitimae (1994) della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Il fatto che su punti di questo tipo continuino a emergere domande non può essere liquidato sbrigativamente, ma deve essere oggetto di discernimento e l’Assemblea sinodale è un ambito privilegiato per farlo. In particolare, andranno indagati gli ostacoli, reali o percepiti, che hanno impedito di compiere i passi indicati e identificare che cosa occorre per rimuoverli. Ad esempio, se il blocco deriva da una generica mancanza di informazione, servirà un migliore sforzo comunicativo. Se invece è dovuto alla difficoltà di cogliere le implicazioni dei documenti per le situazioni concrete o a riconoscersi in quanto da essi proposto, un cammino sinodale di effettiva appropriazione dei contenuti da parte del Popolo di Dio potrebbe essere la risposta appropriata. Altro caso ancora sarebbe quello in cui il ripresentarsi di una domanda fosse il segnale di un cambiamento della realtà o della necessità di un “traboccamento” della Grazia, che richiede di tornare a interrogare il Deposito della fede e la Tradizione viva della Chiesa.

Difficilmente i lavori della prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi potranno giungere alla formulazione di orientamenti conclusivi su molti di questi temi: per questo il Santo Padre ha stabilito che l’Assemblea sinodale si svolga in due sessioni. L’obiettivo della prima sarà soprattutto delineare percorsi di approfondimento da compiere in stile sinodale, indicando i soggetti da coinvolgere e le modalità per raccoglierne i frutti, così da permettere di completare il discernimento nella seconda sessione di ottobre 2024, elaborando le proposte concrete per crescere come Chiesa sinodale da presentare al Santo Padre.

 

B 1. Una comunione che si irradia

Come essere più pienamente segno e strumento
di unione con Dio e di unità del genere umano?

B 1.1 In che modo il servizio della carità e l’impegno per la giustizia e la cura della casa comune alimentano la comunione in una Chiesa sinodale?

Diverse sono le direttrici indicate dalle Assemblee continentali per crescere come Chiesa sinodale missionaria:

a) In una Chiesa sinodale, i poveri, nel senso originario di coloro che vivono in condizioni di indigenza e di esclusione sociale, occupano un posto centrale. Sono destinatari di cura, ma soprattutto portatori di una Buona Notizia che l’intera comunità ha bisogno di ascoltare: da loro la Chiesa ha innanzi tutto qualcosa da imparare (cfr. Lc 6,20; EG 198). Una Chiesa sinodale riconosce e valorizza il loro protagonismo.

b) La cura della casa comune invita a un’azione condivisa: la soluzione a molti problemi, come ad esempio i cambiamenti climatici, sollecita l’impegno dell’intera famiglia umana. La cura della casa comune è già un luogo di intense esperienze di incontro e collaborazione con i membri di altre Chiese e Comunità ecclesiali, con i credenti di altre religioni e con uomini e donne di buona volontà. Questo impegno richiede la capacità di agire coerentemente su una pluralità di piani: catechesi e animazione pastorale, promozione di stili di vita, gestione dei beni (immobili e finanziari) della Chiesa.

c) I movimenti migratori sono un segno del nostro tempo e «i migranti sono un “paradigma” capace di illuminare il nostro tempo»[10]. La loro presenza costituisce un appello a camminare insieme, in modo particolare quando si tratta di Fedeli cattolici. Invita a creare legami con le Chiese dei Paesi di origine e rappresenta una possibilità di sperimentare la varietà della Chiesa, ad esempio attraverso la diaspora delle Chiese Orientali Cattoliche.

d) Una Chiesa sinodale può svolgere un ruolo di testimonianza profetica in un mondo frammentato e polarizzato, soprattutto quando i suoi membri si impegnano a camminare insieme agli altri cittadini per la costruzione del bene comune. Nei luoghi segnati da profondi conflitti, questo richiede la capacità di essere agenti di riconciliazione e artigiani di pace.

e) «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri» (EG 187). Questo comporta anche la disponibilità a prendere posizione a loro favore nel dibattito pubblico, a prestare la voce alle loro cause, a denunciare le situazioni di ingiustizia e discriminazione, senza complicità con coloro che ne sono responsabili.

Domanda per il discernimento

Camminare insieme significa non lasciare indietro nessuno ed essere capaci di andare al passo di chi fa più fatica. In che modo possiamo crescere nella capacità di promuovere il protagonismo degli ultimi nella Chiesa e nella società?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Le opere di giustizia e di misericordia sono una forma di partecipazione alla missione di Cristo. Ogni Battezzato è perciò chiamato a impegnarsi in questo ambito. Come risvegliare, coltivare e potenziare questa consapevolezza nelle comunità cristiane?

2) Le disuguaglianze che segnano il mondo contemporaneo attraversano anche il corpo della Chiesa, separando ad esempio le Chiese dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri, o le comunità delle aree più ricche e più povere di uno stesso Paese. Quali strumenti sono necessari per poter camminare insieme tra Chiese al di là di queste disuguaglianze, sperimentando un’autentica circolazione di doni?

3) Lungo il cammino sinodale, quali sforzi sono stati fatti per dare spazio alla voce dei più poveri e integrare il loro contributo? Che esperienza hanno maturato le nostre Chiese nel sostenere il protagonismo dei poveri? Di che cosa abbiamo bisogno per coinvolgerli sempre di più nel nostro camminare insieme, lasciando che la loro voce metta in questione il nostro modo di fare quando non è abbastanza inclusivo?

4) L’accoglienza dei migranti diventa una occasione di camminare insieme con persone di un’altra cultura, specie quando condividiamo la stessa fede? Quale spazio hanno le comunità migranti nella pastorale ordinaria? In che modo si valorizza la diaspora delle Chiese Orientali Cattoliche come occasione per sperimentare l’unità nella diversità? Quali legami si creano tra le Chiese dei Paesi di partenza e quelle dei Paesi di arrivo?

5) La comunità cristiana sa camminare insieme alla società nel suo complesso nella costruzione del bene comune o si presenta come un soggetto interessato alla difesa dei propri interessi di parte? Riesce a testimoniare la possibilità della concordia al di là delle polarizzazioni politiche? Quali strumenti si dà per formarsi a questi compiti? Operare per il bene comune richiede di dare vita ad alleanze e coalizioni: quali criteri di discernimento ci diamo a questo riguardo? In che modo la comunità accompagna i propri membri impegnati in politica?

6) Quali esperienze di camminare insieme per la cura della casa comune abbiamo fatto con persone, gruppi e movimenti che non fanno parte della Chiesa Cattolica? Che cosa abbiamo imparato? A che punto siamo nella costruzione di una coerenza tra i diversi piani su cui la cura della casa comune richiede di agire?

7) L’incontro con poveri ed emarginati e la possibilità di camminare insieme a loro inizia spesso dalla disponibilità all’ascolto della loro vita. Ha senso pensare al riconoscimento di uno specifico ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento per coloro che si fanno carico di questo servizio? In che modo una Chiesa sinodale può formarli e sostenerli? Come pensare a dare un riconoscimento ecclesiale a forme di impegno per la costruzione di una società giusta e per la cura della casa comune vissute come una risposta a un’autentica vocazione e come una scelta anche professionale?

B 1.2 Come una Chiesa sinodale può rendere credibile la promessa che «amore e verità s’incontreranno» (Sal 85,11)?

Provare a comprendere che cosa accogliere e accompagnare significhino concretamente per la comunità cristiana è stato un nucleo centrale delle diverse tappe della prima fase.

Il DTC ha scelto l’immagine biblica della tenda che si allarga (cfr. Is 54,2) per esprimere la chiamata a essere una comunità ben radicata e perciò capace di aprirsi. Le Assemblee continentali, sulla base delle diverse sensibilità, hanno proposto altre immagini per articolare la dimensione dell’accoglienza che fa parte della missione della Chiesa: l’Asia ha offerto l’immagine della persona che si toglie le scarpe per varcare la soglia, come segno di umiltà per disporsi all’incontro con l’altro e con Dio; l’Oceania ha proposto l’immagine della barca; l’Africa ha insistito sull’immagine della Chiesa famiglia di Dio, capace di offrire appartenenza e accoglienza a tutti i suoi componenti, nella loro varietà.

Al di sotto di questa diversità di immagini possiamo rintracciare un’unità di intenti: ovunque la Chiesa sta cercando come rinnovare la propria missione di essere una comunità accogliente e ospitale, di incontrare Cristo in coloro che accoglie e di essere segno della sua presenza e annuncio credibile della verità del Vangelo nella vita di tutti. Si tratta dell’esigenza profonda di imitare il Maestro e Signore anche nella capacità di vivere un apparente paradosso: «proclamare con coraggio il proprio insegnamento autentico e allo stesso tempo offrire una testimonianza di inclusione e accettazione radicale» (DTC 30).

Su questo punto il percorso sinodale è stato l’occasione per avviare un confronto profondo, con umiltà e sincerità. La sorpresa è scoprire che il modo di procedere sinodale consente di collocare nella prospettiva della missione gli interrogativi che nascono da questo confronto, senza rimanere paralizzati, alimentando la speranza che il Sinodo sia un catalizzatore di questo rinnovamento della missione e spinga a ricucire il tessuto relazionale della Chiesa.

La preoccupazione di essere capaci di autentica accoglienza viene espressa in una pluralità di direzioni, molto diverse tra di loro e non complanari:

a) i Documenti finali delle Assemblee continentali menzionano spesso coloro che non si sentono accettati nella Chiesa, come i divorziati e risposati, le persone in matrimonio poligamico o le persone LGBTQ+;

b) rilevano altresì come forme di discriminazione a base razziale, tribale, etnica, di classe o di casta, presenti anche nel Popolo di Dio, conducano alcuni a sentirsi meno importanti o meno graditi all’interno della comunità;

c) assai diffusa è la segnalazione di come una pluralità di barriere, da quelle pratiche ai pregiudizi culturali, generino forme di esclusione delle persone con disabilità e richiedano di essere superate;

d) emerge anche la preoccupazione che i poveri, a cui in primis è rivolta la Buona Notizia, siano troppo spesso ai margini delle comunità cristiane (ad esempio profughi, migranti e rifugiati, bambini di strada, persone senza dimora, vittime della tratta di esseri umani, ecc.);

e) infine, i documenti delle Assemblee continentali osservano che è necessario mantenere il legame tra conversione sinodale e cura delle vittime e delle persone emarginate all’interno della Chiesa; in particolare danno grande enfasi alla necessità di imparare a esercitare la giustizia come forma di accoglienza di coloro che sono stati feriti da membri della Chiesa, in particolare vittime e sopravvissuti di tutte le forme di abuso;

f) l’ascolto delle voci più frequentemente trascurate è indicato come la via per crescere nell’amore e nella giustizia cui il Vangelo dà testimonianza.

Domanda per il discernimento

Quali passi può compiere una Chiesa sinodale per imitare sempre di più il suo Maestro e Signore, che cammina con tutti con amore incondizionato e annuncia la pienezza della verità del Vangelo?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Qual è l’atteggiamento con cui ci avviciniamo al mondo? Sappiamo riconoscere il bene che c’è in esso e allo stesso tempo impegnarci a denunciare profeticamente tutto ciò che viola la dignità delle persone, delle comunità umane e della creazione?

2) Come possiamo far risuonare una voce profetica nello svelare le cause del male senza frammentare ulteriormente le nostre comunità? Come possiamo diventare una Chiesa che non nasconde i conflitti e non ha paura di salvaguardare spazi per il disaccordo?

3) Come possiamo ripristinare la prossimità e la cura delle relazioni come nucleo della missione della Chiesa, camminare con le persone invece di parlare di loro o a loro?

4) Nella linea dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Christus vivit, come possiamo camminare insieme ai giovani? In che modo una “opzione preferenziale per i giovani” può essere al centro delle nostre strategie pastorali in chiave sinodale?

5) Come possiamo continuare a fare passi concreti per offrire giustizia a vittime e sopravvissuti degli abusi sessuali, spirituali, economici, di potere e di coscienza compiuti da persone che stavano svolgendo un ministero o un incarico ecclesiale?

6) Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi dalla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande? Alla luce dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?

7) Come possiamo essere più aperti e accoglienti verso migranti e rifugiati, minoranze etniche e culturali, comunità indigene che da lungo tempo sono parte della Chiesa ma sono spesso ai margini? Come possiamo testimoniare che la loro presenza è un dono?

8) Quali barriere fisiche e culturali abbiamo bisogno di far cadere perché le persone con disabilità possano sentirsi membri della comunità a pieno titolo?

9) Come valorizzare l’apporto delle persone anziane alla vita della comunità cristiana e della società?

B 1.3 Come può crescere un rapporto dinamico di scambio di doni tra le Chiese?

La comunione a cui la Chiesa è chiamata è una relazione dinamica di scambio di doni, che testimonia un’unità trascendente nella diversità. Uno dei doni più significativi del percorso sinodale finora compiuto è la riscoperta della ricchezza della diversità e della profondità della nostra interconnessione. Questa diversità e questa interconnessione non minacciano, ma forniscono il contesto per una ricezione più profonda della nostra unità di creazione, vocazione e destino.

Il processo sinodale è stato vissuto in maniera appassionata e vivace al livello locale della Chiesa, in particolar modo quando si sono realizzate occasioni di conversazione nello Spirito. Il DTC ha cercato di far emergere le diverse forme di questa vitalità e di sottolineare al tempo stesso la straordinaria convergenza riguardo a questioni e temi emersi nei vari contesti. Durante le Assemblee continentali, poi, sono stati scoperti come un dono prezioso alcuni aspetti della vita della Chiesa in contesti molto diversi tra loro. Al tempo stesso si è entrati in un rapporto più profondo con la diversità che segna le varie regioni: differenze tra Chiese del medesimo continente, come pure diversità di espressione della cattolicità, dovuta alla presenza di comunità cattoliche latine e orientali nello stesso territorio, spesso come risultato di ondate migratorie e della formazione di comunità in diaspora. In verità, come osserva un’Assemblea continentale, ci siamo sperimentati molto concretamente come “comunità di comunità”, notando i doni che così riceviamo e le tensioni che ne possono derivare.

Questi incontri hanno portato a osservazioni condivise e anche a richieste esplicite:

a) si desidera che le diverse tradizioni di specifiche regioni e Chiese possano farsi sentire e partecipare alla conversazione ecclesiale e teologica spesso dominata da voci latine/occidentali. La dignità dei Battezzati è riconosciuta come un punto chiave in molti contesti; allo stesso modo, in particolare per molti appartenenti a Chiese Orientali Cattoliche il Mistero pasquale celebrato nei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana rimane il fulcro della riflessione sull’identità dei Cristiani e sulla Chiesa sinodale;

b) le Chiese Orientali Cattoliche hanno una lunga e distinta esperienza di sinodalità, condivisa con le Chiese Ortodosse, una tradizione a cui desiderano sia garantita attenzione nelle discussioni e nel discernimento di questo processo sinodale;

c) allo stesso modo, esistono realtà specifiche e particolari che i Cristiani orientali in diaspora si trovano ad affrontare in nuovi contesti, insieme ai loro fratelli e sorelle ortodossi. Si desidera che le Chiese Cattoliche Orientali in diaspora siano in grado di preservare la loro identità e di essere riconosciute come qualcosa di più di semplici comunità etniche, cioè come Chiese sui iuris con ricche tradizioni spirituali, teologiche e liturgiche che contribuiscono alla missione della Chiesa oggi, in un contesto globale.

Domanda per il discernimento

Come può ogni Chiesa locale, soggetto della missione nel contesto in cui vive, valorizzare, promuovere e integrare lo scambio di doni con le altre Chiese locali, nell’orizzonte dell’unica Chiesa Cattolica? Come aiutare le Chiese locali a promuovere la cattolicità della Chiesa in un rapporto armonico tra unità e diversità, preservando la specificità di ciascuna?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Come aumentare la consapevolezza che la Chiesa una e cattolica è già, e fin dall’inizio, portatrice di una ricca e multiforme diversità?

2) Con quali gesti le differenti Chiese locali potrebbero donarsi ospitalità reciproca per beneficiare di uno scambio di doni ecclesiali e manifestare la comunione ecclesiale nella liturgia, nella spiritualità, nella pastorale e nella riflessione teologica? In particolare, come possiamo attivare uno scambio tra le esperienze e le visioni della sinodalità tra Chiese Cattoliche Orientali e Chiesa Latina?

3) Come potrebbe la Chiesa Latina sviluppare una maggiore apertura alle tradizioni spirituali, teologiche e liturgiche delle Chiese Orientali Cattoliche?

4) Come possono le Chiese Orientali Cattoliche in diaspora preservare la loro identità ed essere riconosciute come qualcosa di più di semplici comunità etniche?

5) Alcune Chiese vivono in situazioni di grande precarietà. Come possono le altre Chiese farsi carico della loro sofferenza e sovvenire alle loro necessità, mettendo in pratica gli insegnamenti dell’apostolo Paolo che alle comunità della Grecia chiedeva di sostenere con generosità quella di Gerusalemme: «la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza» (2Cor 8,14)? Quale ruolo possono avere a questo riguardo le istituzioni globali e quelle della Santa Sede dedicate al servizio della carità?

6) Come tenere presenti e valorizzare i contributi e le esperienze delle Chiese locali nell’elaborazione del Magistero e delle norme ecclesiastiche a livello universale?

7) In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, come sviluppare il tessuto di relazioni tra le Chiese locali della stessa regione e anche di continenti diversi? Come la crescente mobilità umana e quindi la presenza di comunità di migranti possono diventare occasione per la costruzione di legami tra le Chiese e lo scambio di doni? Come gestire in modo costruttivo tensioni e incomprensioni che dovessero nascere tra Fedeli di culture e tradizioni diverse?

8) Come possono le istituzioni globali della Chiesa, a partire da quelle che fanno capo alla Santa Sede e ai Dicasteri della Curia Romana, favorire la circolazione dei doni tra le Chiese?

9) Come rendere attivo e fecondo lo scambio di esperienze e di doni non solo tra le diverse Chiese locali, ma anche tra le diverse vocazioni, carismi e spiritualità all’interno del Popolo di Dio: istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, associazioni e movimenti laicali, nuove comunità? In che modo è possibile assicurare la partecipazione a questa circolazione delle comunità di vita contemplativa?

B 1.4 Come una Chiesa sinodale può compiere meglio la propria missione attraverso un rinnovato impegno ecumenico?

«Il cammino della sinodalità, che la Chiesa Cattolica sta percorrendo, è e dev’essere ecumenico, così come il cammino ecumenico è sinodale»[11]. La sinodalità è una sfida comune che riguarda tutti i credenti in Cristo, così come l’ecumenismo è innanzi tutto una strada comune (syn-odos) percorsa insieme agli altri Cristiani. Sinodalità ed ecumenismo sono due cammini da percorrere insieme, con un obiettivo comune: una migliore testimonianza cristiana. Questa può prendere la forma della convivenza in un “ecumenismo della vita” a diversi livelli, compresi i matrimoni interconfessionali, e anche dell’atto supremo di donarla come testimonianza della fede in Cristo nell’ecumenismo del martirio.

Diverse sono le implicazioni ecumeniche dell’impegno a edificare una Chiesa sinodale:

a) nell’unico Battesimo tutti i Cristiani partecipano del sensus fidei o senso soprannaturale della fede (cfr. LG 12), ragione per cui in una Chiesa sinodale tutti vanno ascoltati con attenzione;

b) il cammino ecumenico è uno scambio di doni, e uno tra i doni che i Cattolici possono ricevere dagli altri Cristiani è proprio la loro esperienza sinodale (cfr. EG 246). La riscoperta della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa è un frutto del dialogo ecumenico, soprattutto con gli Ortodossi;

c) il movimento ecumenico è un laboratorio di sinodalità, in particolare potrebbe essere fonte di ispirazione la metodologia del dialogo e della ricerca del consenso sperimentata a vari livelli al suo interno;

d) la sinodalità è parte della “continua riforma” della Chiesa, nella consapevolezza che è soprattutto attraverso la sua riforma interna, in cui la sinodalità ha un ruolo essenziale, che la Chiesa Cattolica si avvicina agli altri Cristiani (cfr. UR 4.6);

e) vi è una relazione reciproca tra l’ordinamento sinodale della Chiesa Cattolica e la credibilità del suo impegno ecumenico;

f) una certa sinodalità tra le Chiese si sperimenta ogni volta che Cristiani di diverse tradizioni si riuniscono nel nome di Gesù Cristo per la preghiera, l’azione e la testimonianza comuni, nonché per le consultazioni regolari e la partecipazione ai rispettivi processi sinodali.

Tutti i Documenti finali delle Assemblee continentali evidenziano la stretta relazione tra sinodalità ed ecumenismo, e alcuni vi dedicano interi capitoli. In effetti, sia la sinodalità sia l’ecumenismo sono radicati nella dignità battesimale dell’intero Popolo di Dio; invitano a un rinnovato impegno sulla base della visione di una Chiesa sinodale missionaria; sono processi di ascolto e di dialogo ed esortano a crescere in una comunione che non è uniformità, ma unità nella legittima diversità; evidenziano la necessità di uno spirito di corresponsabilità, dal momento che le nostre decisioni e azioni a diversi livelli riguardano tutti i membri del Corpo di Cristo; sono processi spirituali di pentimento, perdono e riconciliazione in un dialogo di conversione che può portare a una guarigione della memoria.

Domanda per il discernimento

In che modo l’esperienza e i frutti del cammino ecumenico possono favorire l’edificazione di una Chiesa Cattolica più sinodale; in che modo la sinodalità può aiutare la Chiesa Cattolica a rispondere meglio alla preghiera di Gesù: «perché tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda» (Gv 17,21)?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Questo Sinodo è un’opportunità per imparare dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali e per «raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (EG 246). Che cosa possono (re)imparare i Cattolici dall’esperienza sinodale di altri Cristiani e dal movimento ecumenico?

2) Come promuovere la partecipazione attiva di tutto il Popolo di Dio al movimento ecumenico? In particolare, quale può essere il contributo della vita consacrata, delle coppie e delle famiglie interconfessionali, dei giovani, dei movimenti ecclesiali e delle comunità ecumeniche?

3) In quali ambiti è necessaria una guarigione della memoria relativamente al rapporto con le altre Chiese e Comunità ecclesiali? Come possiamo costruire insieme una “nuova memoria”?

4) Come si può migliorare il nostro camminare insieme con i Cristiani di tutte le tradizioni? In che modo una commemorazione comune del 1700° anniversario del Concilio di Nicea (325-2025) potrebbe fornire un’occasione a tale riguardo?

5) «Il ministero episcopale di unità è strettamente legato alla sinodalità»[12]. Come il Vescovo, in quanto «visibile principio e fondamento di unità» (LG 23), è chiamato a promuovere l’ecumenismo in modo sinodale nella sua Chiesa locale?

6) Come il processo sinodale in corso può contribuire a «trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova»[13]?


7) Come le Chiese Orientali Cattoliche possono aiutare, sostenere e stimolare la Chiesa Latina nel comune impegno sinodale ed ecumenico? Come la Chiesa Latina può sostenere e promuovere l’identità dei Fedeli orientali cattolici nella diaspora?

8) Come il motto ecumenico «Camminare insieme, lavorare insieme, pregare insieme»[14] di Papa Francesco può ispirare un rinnovato impegno per l’unità dei Cristiani in modo sinodale?

B 1.5 In che modo riconoscere e raccogliere le ricchezze delle culture e sviluppare il dialogo con le religioni, alla luce del Vangelo?

Ascoltare le persone richiede di saper ascoltare le culture in cui sono inserite, nella consapevolezza che ogni cultura è in continua evoluzione. Una Chiesa sinodale ha bisogno di imparare ad articolare sempre meglio il Vangelo con le culture e i contesti locali, attraverso il discernimento, a partire dalla fiducia nel fatto che lo Spirito le dona un’ampiezza tale da poter accogliere qualunque cultura, senza esclusioni. Ne è una prova il fatto che le Chiese locali sono già contraddistinte da una grande diversità, che è una benedizione: al loro interno convivono nazionalità e gruppi etnici diversi, e credenti delle tradizioni orientali e occidentali. Questa ricchezza, in ogni caso, non è sempre semplice da vivere e può diventare fonte di divisioni e conflitti.

Inoltre, il nostro tempo è segnato dalla prepotente pervasività di una nuova cultura, quella degli ambienti digitali e dei new media. Come dimostra l’iniziativa del Sinodo digitale, la Chiesa vi è già presente, soprattutto attraverso l’azione di tanti Cristiani, molti dei quali giovani. Mancano ancora una piena consapevolezza delle potenzialità che questo ambiente offre per l’evangelizzazione e una riflessione sulle sfide che pone, in particolare in termini antropologici.

Dai documenti delle Assemblee continentali emergono varie tensioni, da cui non rimanere schiacciati ma da valorizzare come fonti di dinamismo:

a) nel rapporto tra Vangelo e culture locali, con esperienze e posizioni diverse. Alcuni considerano l’adozione di tradizioni provenienti dalle Chiese di altre regioni come una forma di colonialismo. Altri ritengono che lo Spirito agisca in ogni cultura, rendendola capace di dare espressione alle verità della fede cristiana. Altri ancora ritengono che i Cristiani non possano adottare o adattare pratiche culturali precristiane;

b) nel rapporto tra Cristianesimo e altre religioni. Accanto a esperienze feconde di dialogo e impegno con credenti di altre religioni, emergono anche fatiche e limiti, segnali di sfiducia, conflitti religiosi e anche persecuzioni, dirette o indirette. La Chiesa desidera costruire ponti per la promozione della pace, della riconciliazione, della giustizia e della libertà, ma ci sono anche situazioni che richiedono di esercitare grande pazienza e speranza che le cose possano cambiare;

c) nel rapporto tra la Chiesa da una parte e la cultura occidentale e le forme di colonizzazione culturale dall’altra. Nel mondo sono all’opera forze che si oppongono alla missione della Chiesa, a partire da ideologie filosofiche, economiche e politiche fondate su presupposti che avversano la fede. Non tutti percepiscono queste tensioni allo stesso modo, ad esempio riguardo al fenomeno della secolarizzazione, che alcuni ritengono una minaccia e altri un’opportunità. Talvolta questa tensione viene interpretata in modo riduzionista come scontro tra coloro che desiderano il cambiamento e coloro che lo temono;

d) nel rapporto tra le comunità indigene e i modelli occidentali di azione missionaria. Molti missionari cattolici hanno dato prova di grande dedizione e generosità nella condivisione della propria fede, ma in alcuni casi la loro azione ha ostacolato la possibilità che le culture locali offrissero il loro contributo originale all’edificazione della Chiesa;

e) nel rapporto tra la comunità cristiana e i giovani, non pochi dei quali si sentono esclusi dal linguaggio adottato negli ambienti ecclesiali, che risulta loro incomprensibile.

Queste tensioni vanno affrontate innanzi tutto attraverso il discernimento a livello locale, poiché non esistono ricette preconfezionate. Le Assemblee continentali hanno messo in rilievo disposizioni personali e comunitarie che possono essere di aiuto: un atteggiamento di umiltà e rispetto, la capacità di ascoltare e promuovere un’autentica conversazione nello Spirito, la disponibilità al cambiamento, ad abbracciare la dinamica pasquale di morte e resurrezione anche rispetto alle forme concrete che assume la vita della Chiesa, la formazione al discernimento culturale, al confronto tra sensibilità e spiritualità e all’accompagnamento di persone di diversa cultura.

Domanda per il discernimento

In che modo possiamo rendere l’annuncio del Vangelo comunicabile e percepibile nei diversi contesti e nelle diverse culture, per favorire l’incontro con Cristo degli uomini e delle donne del nostro tempo? Quali legami possiamo instaurare con i credenti delle altre religioni, sviluppando una cultura dell’incontro e del dialogo?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Con quali strumenti le Chiese locali leggono e operano un discernimento delle culture in cui sono inserite? Come possono, alla luce del Vangelo, rispettare e valorizzare le culture dei diversi contesti locali? Quali opportunità possono creare per rileggere gli insegnamenti della Chiesa alla luce delle culture locali in modo costruttivo?

2) Quali spazi sono disponibili perché le culture delle minoranze e dei migranti trovino espressione nelle Chiese locali?

3) Diverse Diocesi, Conferenze Episcopali, Assemblee continentali hanno espresso il desiderio di poter riarticolare la vita delle comunità e in particolare la liturgia in accordo con le culture locali, in un processo di inculturazione permanente. Quale dinamica sinodale possiamo mettere in atto per andare incontro a questo desiderio?

4) Come promuovere la formazione al discernimento culturale? In che modo favorire, educare e dare riconoscimento ai carismi e alle vocazioni dei “traduttori”, cioè di coloro che aiutano a creare ponti tra religioni, culture e persone?

5) A quali gesti di riconciliazione e di pace con altre religioni ci sentiamo chiamati? Come affrontare costruttivamente pregiudizi, tensioni e conflitti? Come testimoniare il Vangelo nei Paesi in cui la Chiesa è in minoranza, senza indebolire la testimonianza della fede, ma anche senza esporre con leggerezza i Cristiani a minacce e persecuzioni?

6) Come affrontare in maniera franca, profetica e costruttiva le relazioni tra cultura occidentale e le altre culture, anche all’interno della Chiesa, evitando forme di colonialismo?

7) Per alcuni la società secolarizzata è una minaccia a cui bisogna opporsi, per altri un fatto da accettare, per altri ancora una fonte di ispirazione e un’opportunità. Come possono le Chiese rimanere in dialogo con il mondo senza diventare mondane?

8) Come possiamo suscitare occasioni di discernimento all’interno degli ambienti digitali? Quali forme di collaborazione e quali strutture abbiamo bisogno di creare a servizio dell’evangelizzazione di un ambiente che prescinde dalla dimensione territoriale?

B 2. Corresponsabili nella missione

Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo?

B 2.1 Come camminare insieme verso una consapevolezza condivisa del significato e del contenuto della missione?

È missione della Chiesa annunciare il Vangelo e rendere presente Cristo, attraverso il dono dello Spirito. Questo compito appartiene a tutti i Battezzati (cfr. EG 120): la sinodalità è costitutivamente missionaria e la missione stessa è azione sinodale. Siamo continuamente invitati a crescere nella nostra risposta a questa chiamata, rinnovando in chiave sinodale il modo con cui la Chiesa compie la propria missione. Nelle riflessioni delle Assemblee continentali, questa missione articola una molteplicità di dimensioni, da armonizzare e non opporre le une alle altre, nella prospettiva integrale promossa da Evangelii nuntiandi e ripresa da Evangelii gaudium. Ad esempio:

a) un accorato appello al rinnovamento della vita liturgica della Chiesa locale come luogo di annuncio attraverso la Parola e i Sacramenti, con un’enfasi sulla qualità della predicazione e sul linguaggio della liturgia. Quest’ultima richiede un giusto equilibrio tra l’unità della Chiesa, espressa anche nell’unità del rito, e le legittime varietà, che una corretta inculturazione tiene in debito conto[15];

b) si sottolinea il desiderio di una Chiesa povera e vicina a chi soffre, capace di evangelizzare attraverso l’esercizio della prossimità e della carità, seguendo le orme del Signore, e la testimonianza di un impegno che va fino al martirio: è la vocazione “samaritana” della Chiesa. Si richiamano le situazioni in cui la Chiesa provoca ferite e quelle in cui le subisce: senza la cura per le persone coinvolte, queste situazioni diventano pietra di inciampo per la testimonianza dell’amore di Dio e della verità del Vangelo;

c) una chiave per opporsi profeticamente a nuovi e distruttivi colonialismi è l’apertura di luoghi di servizio gratuito, ispirati all’imitazione di Cristo, che è venuto non per essere servito ma per servire (cfr. Mc 10,45). Sono luoghi in cui i bisogni umani fondamentali possono trovare risposta, le persone si sentono accolte e non giudicate, libere di fare domande sulle ragioni della nostra speranza (cfr. 1Pt 3,15), libere di andarsene e di ritornare. Per una Chiesa sinodale la missione è sempre costruire con gli altri, non semplicemente per altri;

d) anche nell’ambiente digitale, che la Chiesa sta scoprendo come opportunità di evangelizzazione, la costruzione di reti di relazioni rende possibile alle persone che lo frequentano, in particolare i giovani, sperimentare nuove forme per camminare insieme. L’iniziativa del Sinodo digitale richiama l’attenzione della Chiesa sulla realtà della persona umana come essere che comunica, anche nei circuiti mediali che danno forma al nostro mondo contemporaneo.

Il desiderio di crescere nell’impegno per la missione non è ostacolato dalla consapevolezza dei limiti delle comunità cristiane e dal riconoscimento dei loro fallimenti; anzi il movimento di uscita da sé per impulso della fede, della speranza e della carità è una via per affrontare questa incompletezza. Accanto all’affermazione di questo desiderio, le Assemblee continentali danno voce anche alla mancanza di chiarezza e di una comprensione condivisa del significato, della portata e del contenuto della missione della Chiesa, o dei criteri per articolare le spinte all’azione in diverse direzioni. Questo ostacola il nostro camminare insieme e ci divide; perciò emerge una domanda di maggiore formazione e di luoghi di confronto e dialogo, in chiave sinodale, tra le diverse prospettive, spiritualità e sensibilità che costituiscono la ricchezza della Chiesa.

Domanda per il discernimento

Quanto la Chiesa è oggi preparata e attrezzata per la missione di annunciare il Vangelo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia? In che modo la prospettiva di una Chiesa sinodale trasforma la comprensione della missione e consente di articolarne le diverse dimensioni? In che modo l’esperienza di compiere insieme la missione arricchisce la comprensione della sinodalità?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) La vita liturgica della comunità è la sorgente della missione. Come sostenerne il rinnovamento in una prospettiva sinodale di valorizzazione di ministeri, carismi e vocazioni e di offerta di spazi di accoglienza e relazione?

2) In che modo la predicazione, la catechesi e la pastorale possono promuovere una consapevolezza condivisa del significato e del contenuto della missione? E del fatto che costituisce una chiamata concreta ed effettiva per ogni Battezzato?

3) Le sintesi delle Conferenze Episcopali e le Assemblee continentali chiedono con forza una “opzione preferenziale” per i giovani e per le famiglie, che li riconosca come soggetti e non oggetti della pastorale. Come potrebbe prendere forma questo rinnovamento sinodale missionario della Chiesa, anche attraverso l’attuazione delle conclusioni dei Sinodi del 2014-2015 e del 2018?

4) Per larghissima parte del Popolo di Dio la missione si compie «trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (LG 31; cfr. anche AA 2). Come far crescere la consapevolezza che la professione, l’impegno sociale e politico, il volontariato sono ambiti di esercizio della missione? Come accompagnare e sostenere coloro che svolgono questa missione in ambienti particolarmente ostili e impegnativi?

5) La dottrina sociale della Chiesa è considerata spesso come appannaggio di esperti e teologi e slegata dalla vita quotidiana delle comunità. Come si può favorirne la riappropriazione da parte del Popolo di Dio, come risorsa per la missione?

6) L’ambiente digitale ormai modella la vita della società. Come può la Chiesa svolgere più efficacemente la propria missione al suo interno? Come vanno riconfigurati l’annuncio, l’accompagnamento e la cura in questo ambiente? Come offrire un adeguato riconoscimento all’impegno missionario al suo interno e percorsi adeguati di formazione per chi lo compie? Come incoraggiare il protagonismo dei giovani, corresponsabili della missione della Chiesa in questo spazio?

7) In molti ambiti portare avanti la missione richiede di collaborare con una pluralità di persone e organizzazioni di ispirazione diversa: Fedeli di altre Chiese e Comunità ecclesiali, credenti di altre religioni, donne e uomini di buona volontà. Che cosa impariamo dal “camminare insieme” a loro e come possiamo attrezzarci per farlo meglio?

B 2.2 Che cosa fare perché una Chiesa sinodale sia anche una Chiesa missionaria “tutta ministeriale”?

Tutte le Assemblee continentali fanno riferimento ai ministeri nella Chiesa, spesso in termini molto articolati. Il processo sinodale restituisce una visione positiva dei ministeri, che legge il Ministero ordinato all’interno della più ampia ministerialità ecclesiale, senza contrapposizioni. Affiora anche una certa urgenza di discernere i carismi emergenti e le forme appropriate di esercizio dei Ministeri battesimali (istituiti, straordinari e di fatto) all’interno del Popolo di Dio, partecipe della funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo. Su questi ultimi si focalizza questa Scheda, mentre in altre trova spazio la questione della relazione con il Ministero ordinato e dei compiti dei Vescovi in una Chiesa sinodale. In particolare:

a) appare con evidenza la richiesta di superare una visione che riserva ai soli Ministri ordinati (Vescovi, Presbiteri, Diaconi) ogni funzione attiva nella Chiesa, riducendo la partecipazione dei Battezzati a una collaborazione subordinata. Senza sminuire l’apprezzamento per il dono del Sacramento dell’Ordine, i ministeri sono compresi a partire da una concezione ministeriale della Chiesa intera. Emerge una serena ricezione del Concilio Vaticano II, con il riconoscimento della dignità battesimale come fondamento della partecipazione di tutti alla vita della Chiesa. La dignità battesimale viene facilmente collegata al Sacerdozio comune come radice dei Ministeri battesimali, e si riafferma la necessaria relazione tra Sacerdozio comune e Sacerdozio ministeriale, che sono «ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (LG 10);

b) si sottolinea che il luogo più propizio per rendere effettiva la partecipazione di tutti al Sacerdozio di Cristo, capace di valorizzare il Ministero ordinato nella sua peculiarità e di promuovere al tempo stesso i Ministeri battesimali nella loro varietà, è la Chiesa locale, chiamata a discernere quali carismi e ministeri sono utili per il bene di tutti in un particolare contesto sociale, culturale ed ecclesiale. Si sente l’esigenza di dare nuovo slancio alla partecipazione peculiare dei Laici all’evangelizzazione nei vari ambiti della vita sociale, culturale, economica, politica, nonché di valorizzare il contributo delle Consacrate e dei Consacrati, con i loro diversi carismi, all’interno della vita della Chiesa locale;

c) l’esperienza di camminare insieme nella Chiesa locale permette di immaginare nuovi ministeri al servizio di una Chiesa sinodale. Spesso, rifacendosi al testo, alla visione e al linguaggio di LG 10-12, le Assemblee continentali chiedono un maggiore riconoscimento dei Ministeri battesimali e la possibilità di realizzarlo nel registro della sussidiarietà tra i diversi livelli della Chiesa. In questa linea, molte di queste domande potrebbero trovare risposta attraverso un lavoro sinodale più approfondito nelle Chiese locali, dove, sulla base del principio della partecipazione differenziata ai tria munera di Cristo, è più agevole mantenere chiara la complementarità tra Sacerdozio comune e Sacerdozio ministeriale, individuando con discernimento i Ministeri battesimali necessari alla comunità.

d) Una Chiesa “tutta ministeriale” non è necessariamente una Chiesa “tutta di Ministeri istituiti”. Ci sono legittimamente molti ministeri che scaturiscono dalla vocazione battesimale: i ministeri spontanei, alcuni ministeri riconosciuti che non sono istituiti e altri che, mediante l’istituzione, ricevono una specifica formazione, missione e stabilità. Crescere come Chiesa sinodale comporta l’impegno di discernere insieme quali ministeri devono essere creati o promossi alla luce dei segni dei tempi, come risposta a servizio del mondo.

Domanda per il discernimento

Come nella Chiesa possiamo muoverci verso una reale ed effettiva corresponsabilità in chiave missionaria per una più piena realizzazione di vocazioni, carismi e ministeri di tutti i Battezzati? Come fare sì che una Chiesa più sinodale sia anche una “tutta ministeriale”?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Come vivere la celebrazione del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia affinché siano occasioni di testimonianza e di promozione della partecipazione e corresponsabilità di tutti come soggetti attivi nella vita e missione della Chiesa? Quali percorsi formativi devono essere avviati per far crescere nella Chiesa una comprensione della ministerialità che non si riduca al Ministero ordinato?

2) Come discernere in una Chiesa locale i Ministeri battesimali, istituiti o meno, necessari alla missione? Quali sono gli spazi disponibili per la sperimentazione a livello locale? Che valore va attribuito a questi Ministeri? A quali condizioni possono essere recepiti da tutta la Chiesa?

3) Che cosa possiamo imparare dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali per quanto riguarda la ministerialità e i ministeri?

4) La corresponsabilità si manifesta e realizza innanzi tutto nella partecipazione di tutti alla missione: come valorizzare l’apporto specifico dei diversi carismi e vocazioni (da quelli legati a capacità e competenze, anche professionali, dei singoli a quelli che ispirano istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, movimenti, associazioni, ecc.) a servizio dell’armonia dell’impegno comunitario e della vita ecclesiale, soprattutto nelle Chiese locali?

5) Come creare spazi e momenti di partecipazione effettiva alla corresponsabilità nella missione dei Fedeli che, per diverse ragioni, sono ai margini della vita della comunità, ma che secondo la logica del Vangelo possono offrire un contributo insostituibile (persone anziane e ammalate, persone con disabilità, persone povere, persone prive di formazione culturale, ecc.)?

6) Molte persone vivono l’impegno per la costruzione di una società giusta e per la cura della casa comune come una risposta a una autentica vocazione e come una scelta di vita, anche a scapito di alternative professionali più remunerative. Come possiamo pensare a forme di riconoscimento per questo impegno, in modo da rendere evidente che non si tratta di una opzione personale, ma di un’azione che rende tangibile la sollecitudine della Chiesa?

B 2.3 Come può la Chiesa del nostro tempo compiere meglio la propria missione attraverso un maggiore riconoscimento e promozione della dignità battesimale delle donne?

Nel Battesimo il cristiano entra in un nuovo legame con Cristo e, in Lui e attraverso di Lui, con tutti i Battezzati, con tutto il genere umano e con tutta la creazione. Figlie e figlie dell’unico Padre, unti dallo stesso Spirito, in virtù della condivisione del medesimo legame con Cristo, i Battezzati sono donati gli uni agli altri come membra di un unico corpo in cui godono di pari dignità (cfr. Gal 3,26-28). La fase dell’ascolto ha ribadito la consapevolezza di questa realtà, indicando che essa deve trovare una realizzazione sempre più concreta nella vita della Chiesa anche attraverso relazioni di mutualità, reciprocità e complementarità tra uomini e donne:

a) in modo sostanzialmente unanime, pur nella differenza delle prospettive di ciascun continente, tutte le Assemblee continentali invitano a prestare attenzione all’esperienza, allo status e al ruolo delle donne. Celebrano la fede, la partecipazione e la testimonianza di tante donne in tutto il mondo, laiche e consacrate, come evangelizzatrici e spesso prime formatrici nella fede, notando soprattutto il loro contributo al “margine profetico”, in luoghi remoti e contesti sociali problematici;

b) inoltre, le Assemblee continentali chiedono di riflettere più a fondo sulla realtà dei fallimenti relazionali, che sono anche fallimenti strutturali che colpiscono la vita delle donne nella Chiesa, invitando a un processo di conversione permanente per cercare di diventare più pienamente ciò che nel Battesimo già siamo. Tra le priorità per l’Assemblea sinodale indicano la trattazione delle gioie e delle tensioni, nonché delle opportunità di conversione e rinnovamento nel modo in cui nella Chiesa viviamo le relazioni tra uomini e donne, anche nella concretezza dei rapporti tra Ministri ordinati, Consacrate e Consacrati, Laiche e Laici;

c) durante la prima fase del Sinodo, le questioni della partecipazione delle donne, del loro riconoscimento, della relazione di mutuo accompagnamento tra uomini e donne, e della presenza delle donne in posti di responsabilità e di governo sono emerse come elementi cruciali della ricerca di come vivere la missione della Chiesa in modo più sinodale. Le donne che hanno partecipato alla prima fase hanno espresso con chiarezza un desiderio: che la società e la Chiesa costituiscano un luogo di crescita, di partecipazione attiva e di sana appartenenza per tutte le donne. Chiedono alla Chiesa di essere al loro fianco per accompagnare e promuovere la realizzazione di questo desiderio. In una Chiesa che voglia davvero essere sinodale, queste domande vanno affrontate insieme e insieme vanno costruite risposte concrete per un maggiore riconoscimento della dignità battesimale delle donne e per la lotta a tutte le forme di discriminazione ed esclusione di cui esse sono vittime nella comunità ecclesiale e nella società;

d) infine, le Assemblee continentali evidenziano la pluralità delle esperienze, dei punti di vista e delle prospettive delle donne e chiedono che questa diversità sia riconosciuta nei lavori dell’Assemblea sinodale, evitando di trattare le donne come un gruppo omogeneo o un argomento di discussione astratto o ideologico.

Domanda per il discernimento

Quali passi concreti può compiere la Chiesa per rinnovare e riformare le proprie procedure, dispositivi istituzionali e strutture in modo da permettere un maggiore riconoscimento e partecipazione delle donne, anche al governo e a tutte le fasi dei processi decisionali, inclusa la presa di decisioni, in uno spirito di comunione e in vista della missione?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Le donne svolgono un ruolo di primo piano nella trasmissione della fede, nelle famiglie, nelle parrocchie, nella vita consacrata, nelle associazioni e nei movimenti e nelle istituzioni laicali, e come insegnanti e catechiste. Come riconoscere, sostenere, accompagnare il loro già notevole contributo? Come valorizzarlo per imparare a essere una Chiesa sempre più sinodale?

2) I carismi delle donne sono già presenti e all’opera nella Chiesa di oggi. Che cosa possiamo fare per discernerli e sostenerli e per imparare quello che lo Spirito vuole insegnarci attraverso di loro?

3) Tutte le Assemblee continentali chiedono di affrontare la questione della partecipazione delle donne al governo, ai processi decisionali, alla missione e ai ministeri a tutti i livelli della Chiesa, con il sostegno di adeguate strutture in modo che questo non resti solo un’aspirazione generale.

a) In che modo le donne possono essere incluse in ognuna di queste aree in numero più consistente e in modi nuovi?

b) Come nella vita consacrata le donne possono essere meglio rappresentate nella governance e nei processi decisionali, meglio protette da forme di abuso e anche più equamente remunerate per il loro lavoro?

c) Come le donne possono contribuire al governo, aiutando a promuovere maggiore responsabilità e trasparenza, e a rinsaldare la fiducia nella Chiesa?

d) Come possiamo approfondire la riflessione sul contributo delle donne alla riflessione teologica e all’accompagnamento delle comunità? Come possiamo dare spazio e riconoscimento a tale contributo nei processi formali di discernimento a ogni livello della Chiesa?

e) Quali nuovi ministeri si potrebbero creare per fornire mezzi e opportunità per un’effettiva partecipazione delle donne al discernimento e agli organi decisionali? Come si può accrescere la corresponsabilità nei processi decisionali in luoghi remoti e in contesti sociali problematici, dove le donne sono spesso gli agenti principali della pastorale e dell’evangelizzazione? I contributi ricevuti durante la prima fase rilevano che le tensioni con i Ministri ordinati sorgono in assenza di dinamiche di corresponsabilità e di processi decisionali condivisi.

4) La maggior parte delle Assemblee continentali e le sintesi di numerose Conferenze Episcopali chiedono di considerare nuovamente la questione dell’accesso delle donne al Diaconato. È possibile prevederlo e in che modo?

5) In che modo uomini e donne possono collaborare meglio nello svolgimento del ministero pastorale e nell’esercizio delle responsabilità connesse?

B 2.4 Come valorizzare il Ministero ordinato, nella sua relazione con i Ministeri battesimali, in una prospettiva missionaria?

I Documenti finali delle Assemblee continentali esprimono un forte desiderio che si affronti la riflessione sulla relazione tra Ministeri ordinati e Ministeri battesimali, sottolineando la difficoltà a farlo nella vita ordinaria delle comunità. Il processo sinodale offre una preziosa opportunità di mettere a fuoco alla luce dell’insegnamento del Vaticano II la correlazione tra la ricchezza di vocazioni, carismi e ministeri radicati nel Battesimo da una parte, e il Ministero ordinato dall’altra, visto come un dono e un compito irrinunciabile a servizio del Popolo di Dio. In particolare:

a) nella prospettiva tracciata dal Concilio Vaticano II, viene riaffermata la necessaria relazione tra Sacerdozio comune e Sacerdozio ministeriale. Tra i due non c’è opposizione, né competizione, o spazio per rivendicazioni: ciò che si chiede è di riconoscerne la complementarità;

b) le Assemblee continentali esprimono un chiaro apprezzamento per il dono del Sacerdozio ministeriale e, al tempo stesso, il profondo desiderio di un suo rinnovamento in prospettiva sinodale. Segnalano la fatica di coinvolgere una parte dei Presbiteri nel processo sinodale e rilevano la diffusa preoccupazione per un esercizio del Ministero ordinato non adeguato alle sfide del nostro tempo, lontano dalla vita e dai bisogni delle persone, spesso circoscritto al solo ambito liturgico-sacramentale. Manifestano anche la preoccupazione per la solitudine in cui vivono numerosi Presbiteri e ne sottolineano il bisogno di cura, amicizia e sostegno;

c) il Concilio Vaticano II insegna che «il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi» (LG 28). Dalle Assemblee continentali emerge la richiesta che il Ministero ordinato, nella differenza dei compiti, sia per tutti una testimonianza viva di comunione e di servizio nella logica della gratuità evangelica. Esprimono anche il desiderio che Vescovi, Presbiteri e Diaconi esercitino il loro ministero in stile sinodale, per riconoscere e valorizzare i doni e carismi presenti nella comunità, per incoraggiare e accompagnare processi di assunzione comunitaria della missione, per garantire decisioni in linea con il Vangelo e in ascolto dello Spirito Santo. Si invoca anche un rinnovamento dei programmi dei seminari, in modo che siano più orientati in senso sinodale e più a contatto con tutto il Popolo di Dio;

d) in rapporto a questa concezione del Ministero ordinato a servizio della vita battesimale, si sottolinea come il clericalismo sia una forza che isola, separa e indebolisce una Chiesa sana e tutta ministeriale, e si indica la formazione come via privilegiata per il suo effettivo superamento. Si sottolinea peraltro come il clericalismo non sia appannaggio dei soli Ministri ordinati, ma in modi diversi agisca in tutte le componenti del Popolo di Dio;

e) in numerose regioni, la fiducia nei Ministri ordinati, in coloro che svolgono incarichi ecclesiali, nelle istituzioni ecclesiali e nella Chiesa tutta è minata dalle conseguenze dello «scandalo degli abusi compiuti da membri del clero o da persone che svolgevano un incarico ecclesiale: in primo luogo e soprattutto gli abusi su minori e persone vulnerabili, ma anche quelli di altro genere (spirituali, sessuali, economici, di autorità, di coscienza). Si tratta di una ferita aperta, che continua a infliggere dolore alle vittime e ai superstiti, alle loro famiglie e alle loro comunità» (DTC 20).

Domanda per il discernimento

Come promuovere nella Chiesa una mentalità e forme concrete di corresponsabilità in cui la relazione tra Ministeri battesimali e Ministero ordinato sia feconda? Se la Chiesa è tutta ministeriale, come possiamo comprendere i doni specifici dei Ministri ordinati all’interno dell’unico Popolo di Dio in una prospettiva missionaria?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Che rapporto ha il ministero dei Presbiteri, «consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino» (LG 28) con i Ministeri battesimali? Che rapporto ha questo triplice ufficio dei Ministri ordinati con la Chiesa come Popolo profetico, sacerdotale e regale?

2) Nella Chiesa locale i Presbiteri «costituiscono con il loro Vescovo un unico Presbiterio» (LG 28). Come far crescere questa unità tra il Vescovo e il suo Presbiterio per un servizio più efficace al Popolo di Dio affidato alle cure del Vescovo?

3) La Chiesa è arricchita del ministero di tanti Presbiteri che appartengono a istituti di vita consacrata e società di vita apostolica. Come può il loro ministero, caratterizzato dal carisma dell’istituto di appartenenza, promuovere una Chiesa più sinodale?

4) Come comprendere il ministero del Diacono permanente all’interno di una Chiesa sinodale missionaria?

5) Quali possono essere le direttrici per una riforma dei curricula di formazione nei seminari e nelle scuole di teologia all’altezza della figura sinodale della Chiesa? In che modo la formazione dei Presbiteri può metterli in più stretta relazione con i processi pastorali e la vita della porzione di Popolo di Dio che sono chiamati a servire?

6) Quali percorsi formativi devono essere avviati per far crescere nella Chiesa una comprensione della ministerialità che non si riduca al Ministero ordinato, ma che al tempo stesso lo valorizzi?

7) Come possiamo discernere insieme i modi in cui il clericalismo, dei Ministri ordinati e dei Laici, impedisce la piena espressione della vocazione dei Ministeri ordinati nella Chiesa, oltre che degli altri membri del Popolo di Dio? Come possiamo trovare insieme i modi per superarlo?

8) È possibile che, in particolare in luoghi in cui il numero di Ministri ordinati è molto scarso, i Laici possano assumere il ruolo di responsabili della comunità? Che implicazioni ha questo sulla comprensione del Ministero ordinato?

9) È possibile, come propongono alcuni continenti, aprire una riflessione sulla possibilità di rivedere, almeno in alcune aree, la disciplina sull’accesso al Presbiterato di uomini sposati?

10) In che modo una concezione del Ministero ordinato e una formazione dei candidati più radicate nella visione della Chiesa sinodale missionaria possono contribuire all’impegno per evitare il ripetersi di abusi sessuali e di ogni altro genere?

B 2.5 Come rinnovare e promuovere il ministero del Vescovo in una prospettiva sinodale missionaria?

Il ministero del Vescovo affonda le sue radici nella Scrittura e si sviluppa nella Tradizione in fedeltà alla volontà di Cristo. Fedele a questa Tradizione, il Concilio Vaticano II ha proposto una dottrina molto ricca sui Vescovi, «successori degli Apostoli, i quali con il successore di Pietro, vicario di Cristo e capo visibile di tutta la Chiesa, reggono la casa del Dio vivente» (LG 18). Il capitolo di Lumen gentium sulla costituzione gerarchica della Chiesa afferma la sacramentalità dell’episcopato e su questa base sviluppa il tema della collegialità (LG 22-23) e del ministero episcopale come esercizio dei tre uffici (tria munera, LG 24-27). Il Sinodo dei Vescovi fu poi istituito come organismo che permettesse ai Vescovi di partecipare con il Vescovo di Roma alla sollecitudine per tutta la Chiesa. L’invito a vivere con maggiore intensità la dimensione sinodale richiede un rinnovato approfondimento del ministero episcopale per collocarlo più solidamente in un quadro sinodale. In particolare:

a) il Collegio episcopale, soggetto, insieme al Romano Pontefice che ne è il capo e mai senza di lui, «di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa» (LG 22), partecipa al processo sinodale sia quando ogni Vescovo avvia, guida e conclude la consultazione del Popolo di Dio a lui affidato, sia quando i Vescovi riuniti esercitano insieme il carisma del discernimento, nelle Strutture Gerarchiche Orientali e nelle Conferenze Episcopali, nelle Assemblee continentali e, in forma peculiare, nell’Assemblea sinodale;

b) ai Vescovi, successori degli Apostoli, i quali hanno ricevuto «il ministero della comunità […] [e] presiedono a nome di Dio il gregge di cui sono pastori» (LG 20), il processo sinodale chiede di vivere una fiducia radicale nell’azione dello Spirito nelle loro comunità, senza considerare la partecipazione di tutti una minaccia al loro ministero di guida. Li sprona piuttosto a essere principio di unità nella loro Chiesa, chiamando tutti (Presbiteri e Diaconi, Consacrate e Consacrati, Fedeli laici e laiche) a camminare insieme come Popolo di Dio, e promuovendo uno stile sinodale di Chiesa;

c) la consultazione del Popolo di Dio ha evidenziato come diventare una Chiesa più sinodale implichi anche un più ampio coinvolgimento di tutti nel discernimento, e questo richiede un ripensamento dei processi decisionali. Emerge di conseguenza la richiesta di strutture di governo adeguate e ispirate a maggiore trasparenza e responsabilità, che incide anche sulle modalità di esercizio del ministero del Vescovo. Questo suscita anche resistenze, timori o un senso di spaesamento. In particolare, se alcuni chiedono un maggiore coinvolgimento di tutti i Fedeli e quindi un esercizio “meno esclusivo” del ruolo dei Vescovi, altri esprimono dubbi e paventano il rischio di una deriva ispirata ai meccanismi della democrazia politica;

d) altrettanto forte è la consapevolezza che ogni autorità nella Chiesa procede da Cristo ed è guidata dallo Spirito Santo. La diversità dei carismi senza l’autorità diventa anarchia, così come il rigore dell’autorità senza la ricchezza dei carismi, dei ministeri, delle vocazioni diventa dittatura. La Chiesa è al tempo stesso sinodale e gerarchica e per questo un esercizio sinodale dell’autorità episcopale si connota come accompagnamento e salvaguardia dell’unità. La via per realizzare la ricomprensione del ministero episcopale è la pratica della sinodalità, che compone nell’unità le differenze di doni, carismi, ministeri e vocazioni che lo Spirito suscita nella Chiesa;

e) per procedere al rinnovamento del ministero episcopale all’interno di una Chiesa più pienamente sinodale sono necessari cambiamenti culturali e strutturali, tanta fiducia reciproca e soprattutto fiducia nella guida del Signore. Per questo le Assemblee continentali auspicano che la dinamica della conversazione nello Spirito possa entrare nella vita quotidiana della Chiesa e animare riunioni, consulte, organismi decisionali, favorendo la costruzione di un senso di fiducia reciproca e la formazione di un effettivo consenso;

f) il ministero del Vescovo comprende anche l’appartenenza al Collegio dei Vescovi e di conseguenza l’esercizio della corresponsabilità per la Chiesa universale. Anche tale esercizio rientra nella prospettiva della Chiesa sinodale, «nello spirito di una “sana decentralizzazione”», allo scopo «di lasciare alla competenza dei Pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del “loro proprio compito di maestri” e di pastori le questioni che conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa, sempre agendo con quella corresponsabilità che è frutto ed espressione di quello specifico mysterium communionis che è la Chiesa» (PE II,2; cfr. EG 16; DV 7).

Domanda per il discernimento

Come intendiamo la vocazione e la missione del Vescovo in una prospettiva sinodale missionaria? Quale rinnovamento della visione e delle forme di esercizio concreto del ministero episcopale sono richieste in una Chiesa sinodale caratterizzata dalla corresponsabilità?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) «I Vescovi, in modo eminente e visibile, svolgono la parte di Cristo stesso, maestro, pastore e sacerdote» (LG 21). Che rapporto ha questo ministero con quello dei Presbiteri, «consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino» (LG 28)? Che rapporto ha questo triplice ufficio dei Ministri ordinati con la Chiesa come Popolo profetico, sacerdotale e regale?

2) In che modo l’esercizio del ministero episcopale sollecita la consultazione, la collaborazione e la partecipazione ai processi decisionali del Popolo di Dio?

3) In base a quali criteri un Vescovo può autovalutarsi ed essere valutato nello svolgimento del proprio servizio in uno stile sinodale?

4) In quali casi un Vescovo potrebbe sentire di dover prendere una decisione difforme dal consiglio ponderato offerto dagli organi di consultazione? Su quale base si fonderebbe tale obbligo?

5) Qual è la natura del rapporto tra il «senso soprannaturale della fede» (LG 12) e il servizio magisteriale del Vescovo? Come possiamo comprendere e articolare meglio le relazioni tra Chiesa sinodale e ministero del Vescovo? I Vescovi devono discernere insieme o separatamente dagli altri membri del Popolo di Dio? Entrambe le opzioni (insieme e separatamente) trovano spazio in una Chiesa sinodale?

6) Come assicurare la cura e il bilanciamento dei tre uffici (santificare, insegnare, governare) nella vita e nel ministero del Vescovo? In che misura gli attuali modelli di vita e di ministero episcopale consentono al Vescovo di essere una persona di preghiera, un maestro della fede e un amministratore saggio ed efficace, e di mantenere i tre ruoli in tensione creativa e missionaria? Come rivedere il profilo del Vescovo e il processo di discernimento per identificare i candidati all’episcopato in una prospettiva sinodale?

7) Come sono chiamati a evolvere, in una Chiesa sinodale, il ruolo del Vescovo di Roma e l’esercizio del primato?

B 3. Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità

Quali processi, strutture e istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria?

B 3.1 Come rinnovare il servizio dell’autorità e l’esercizio della responsabilità in una Chiesa sinodale missionaria?

Una Chiesa costitutivamente sinodale è chiamata ad articolare il diritto di partecipazione di tutti alla vita e alla missione della Chiesa in forza del Battesimo con il servizio dell’autorità e l’esercizio della responsabilità che, in varie forme, è affidato ad alcuni. Il percorso sinodale costituisce un’occasione per discernere quali sono le modalità appropriate al nostro tempo per realizzare tale articolazione. La prima fase ha permesso di raccogliere alcuni spunti a questo riguardo:

a) autorità, responsabilità e ruoli di governo – talvolta indicati sinteticamente con il termine inglese leadership – si declinano in una varietà di forme all’interno della Chiesa. L’autorità nella vita consacrata, nei movimenti e nelle associazioni, nelle istituzioni legate alla Chiesa (quali università, fondazioni, scuole, ecc.) è diversa da quella derivante dal Sacramento dell’Ordine; così come l’autorità spirituale legata a un carisma è diversa da quella legata a un servizio ministeriale. Tra queste forme vanno salvaguardate le differenze, senza dimenticare che tutte hanno in comune il fatto di essere un servizio nella Chiesa;

b) in particolare, tutte condividono la chiamata a conformarsi all’esempio del Maestro, il quale ha detto di sé: «io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). «Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio»[16]. Sono queste le coordinate fondamentali per crescere nell’esercizio dell’autorità e della responsabilità, in tutte le loro forme e a tutti i livelli della vita della Chiesa. È la prospettiva di quella conversione missionaria «destinata a rinnovare la Chiesa secondo l’immagine della missione d’amore propria di Cristo» (PE I,2);

c) in questa linea, i documenti della prima fase esprimono alcune caratteristiche dell’esercizio dell’autorità e della responsabilità in una Chiesa sinodale missionaria: atteggiamento di servizio e non di potere o controllo, trasparenza, incoraggiamento e promozione delle persone, competenza e capacità di visione, di discernimento, di inclusione, di collaborazione e di delega. Soprattutto si sottolineano l’attitudine e la disponibilità all’ascolto. Per questo si insiste sulla necessità di una formazione specifica a tali competenze per chi occupa posizioni di responsabilità e autorità, oltre che sull’attivazione di procedure di selezione più partecipative, in particolare per i Vescovi;

d) la prospettiva della trasparenza e della responsabilità è fondamentale per un esercizio autenticamente evangelico dell’autorità e della responsabilità. Tuttavia essa suscita anche timori e resistenze. Per questo è importante confrontarsi seriamente, con un atteggiamento di discernimento, con le acquisizioni più recenti delle scienze del management e della leadership. Inoltre, la conversazione dello Spirito è indicata come una modalità di gestione dei processi decisionali e di costruzione del consenso capace di generare fiducia e favorire un esercizio dell’autorità appropriato a una Chiesa sinodale;

e) le Assemblee continentali segnalano anche fenomeni di appropriazione del potere e dei processi di decisione da parte di alcuni che occupano posizioni di autorità e responsabilità. A questi fenomeni collegano la cultura del clericalismo e le diverse forme di abuso (sessuale, finanziario, spirituale e di potere), che erodono la credibilità della Chiesa compromettendo l’efficacia della sua missione, in modo particolare in quelle culture in cui il rispetto dell’autorità è un valore importante.

Domanda per il discernimento

Come comprendere ed esercitare l’autorità e la responsabilità a servizio della partecipazione di tutto il Popolo di Dio? Quale rinnovamento della comprensione e delle forme di esercizio concreto dell’autorità, della responsabilità e del governo è necessario per crescere come Chiesa sinodale missionaria?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) L’insegnamento del Concilio Vaticano II a proposito della partecipazione di tutti alla vita e alla missione della Chiesa è effettivamente recepito nella coscienza e nella prassi delle Chiese locali, in modo particolare dai Pastori e da coloro che esercitano funzioni di responsabilità? Che cosa può favorirne una più profonda consapevolezza e valorizzazione nell’adempimento della missione della Chiesa?

2) Nella Chiesa ci sono ruoli di autorità e di responsabilità non legati al Sacramento dell’Ordine, che vengono esercitati a servizio della comunione e della missione negli istituti di vita consacrata e nelle società di vita apostolica, nelle associazioni e nelle aggregazioni laicali, nei movimenti ecclesiali e nelle nuove comunità, ecc. Come promuovere un esercizio di queste forme di autorità appropriato a una Chiesa sinodale e come vivere, in esse, la relazione con l’autorità ministeriale dei Pastori?

3) Quali elementi devono far parte della formazione all’autorità di tutti i responsabili ecclesiali? Come incentivare la formazione al metodo della conversazione nello Spirito e una sua applicazione autentica e incisiva?

4) Quali possono essere le linee di riforma di seminari e case di formazione, in modo che possano stimolare i candidati al Ministero ordinato a crescere in uno stile di esercizio dell’autorità appropriato a una Chiesa sinodale? In che modo vanno ripensate la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis e i relativi documenti applicativi a livello nazionale? Come vanno riorientati i curricula nelle scuole di teologia?

5) Quali forme di clericalismo permangono nella comunità cristiana? Si registra ancora una percezione di distanza tra i Fedeli laici e i Pastori: che cosa può aiutare a superarla? Quali forme di esercizio dell’autorità e della responsabilità vanno superate in quanto non appropriate a una Chiesa costitutivamente sinodale?

6) In che misura la scarsità di Presbiteri in alcune regioni offre uno stimolo a interrogarsi sul rapporto tra Ministero ordinato, governo e assunzione di responsabilità nella comunità cristiana?

7) Che cosa possiamo imparare in materia di esercizio dell’autorità e della responsabilità dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali?

8) In ogni epoca l’esercizio dell’autorità e della responsabilità all’interno della Chiesa è influenzato dai modelli di gestione e dall’immaginario del potere prevalenti nella società. In che modo possiamo prenderne consapevolezza ed esercitare un discernimento evangelico sulle pratiche di esercizio dell’autorità vigenti, nella Chiesa e nella società?

B 3.2 In che modo possiamo far evolvere in maniera autenticamente sinodale le pratiche di discernimento e i processi decisionali, valorizzando il protagonismo dello Spirito?

Come Chiesa sinodale siamo chiamati a discernere insieme quali passi fare per compiere la missione di evangelizzazione, sottolineando il diritto di tutti a partecipare alla vita e alla missione della Chiesa e sollecitando il contributo insostituibile di ogni Battezzato. Alla base di ogni discernimento vi sono il desiderio di compiere la volontà del Signore e la crescita nella familiarità con Lui attraverso la preghiera, la meditazione della Parola e la vita sacramentale, che ci rende capaci di scegliere come Lui sceglierebbe. A riguardo del posto del discernimento in una Chiesa sinodale missionaria:

a) dalle Assemblee continentali emerge con forza il desiderio di processi decisionali più condivisi, capaci di integrare il contributo di tutto il Popolo di Dio, ma anche le competenze di cui alcuni dispongono, nonché di coinvolgere quanti per diverse ragioni restano ai margini della vita della comunità, come le donne, i giovani, le minoranze, i poveri e gli esclusi. Questo desiderio si salda con l’insoddisfazione per forme di esercizio dell’autorità in cui le decisioni sono prese senza consultazione;

b) le Assemblee continentali danno voce al timore di alcuni che vedono in competizione la dimensione sinodale e quella gerarchica, entrambe costitutive per la Chiesa. Emergono però anche segnali di segno opposto. Un primo esempio è l’esperienza che, quando l’autorità prende decisioni all’interno di processi di tipo sinodale, la comunità riesce più facilmente a riconoscerne la legittimità e ad accoglierle. Un secondo esempio è la crescente consapevolezza che la mancanza di scambio con la comunità indebolisce il ruolo dell’autorità, consegnandolo talvolta a un esercizio di affermazione del potere. Un terzo esempio è l’affidamento di responsabilità ecclesiali a Fedeli laici, che le esercitano in modo costruttivo e non oppositivo, in regioni in cui il numero di Ministri ordinati è molto scarso;

c) l’ampia adozione del metodo della conversazione nello Spirito durante la fase della consultazione ha permesso a molti di fare esperienza di alcuni degli elementi di un processo di discernimento comunitario e di modalità partecipate di costruzione del consenso, senza occultare i conflitti né creare polarizzazioni;

d) coloro che svolgono compiti di governo e di responsabilità sono chiamati a suscitare, facilitare e accompagnare processi di discernimento comunitario che comprendano l’ascolto del Popolo di Dio. In particolare, compete all’autorità del Vescovo un fondamentale servizio di animazione e di validazione del carattere sinodale di tali processi e di conferma della fedeltà delle conclusioni a quanto emerso durante lo svolgimento. In particolare, spetta ai Pastori la responsabilità di verificare la consonanza tra le aspirazioni delle loro comunità e il «sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa» (DV 10), consonanza che permette di considerare quelle aspirazioni una genuina espressione del senso della fede del Popolo di Dio;

e) la prospettiva del discernimento comunitario interpella la Chiesa a tutti i livelli e in tutte le sue articolazioni e forme organizzative. Oltre alle strutture parrocchiali e diocesane, riguarda anche i processi decisionali di associazioni, movimenti e aggregazioni laicali, dove incrocia meccanismi istituzionali che prevedono ordinariamente il ricorso a strumenti come il voto. Chiama in causa il modo in cui gli organi decisionali delle istituzioni legate alla Chiesa (scuole, università, fondazioni, ospedali, centri di accoglienza e azione sociale, ecc.) individuano e formulano indirizzi operativi. Infine, interpella gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica con modalità che intersecano le peculiarità dei loro carismi e del loro diritto proprio (cfr. DTC 81);

f) adottare processi decisionali che ricorrano stabilmente al discernimento comunitario esige una conversione che è personale, comunitaria, culturale e istituzionale, oltre che un investimento formativo.

Domanda per il discernimento

Come possiamo pensare processi decisionali più partecipativi, che diano spazio all’ascolto e al discernimento comunitario, sostenuti dall’autorità intesa come servizio di unità?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Quale spazio ha l’ascolto della Parola di Dio nei nostri processi decisionali? Come fare spazio al protagonismo dello Spirito Santo concretamente e non solo a parole?

2) In che modo la conversazione nello Spirito, che apre al dinamismo del discernimento comunitario, può contribuire al rinnovamento dei processi decisionali nella Chiesa? In che modo può essere “istituzionalizzata” e diventare una prassi ordinaria? Quali modifiche del diritto canonico sono necessarie?

3) Come si può promuovere il ministero del facilitatore di processi di discernimento comunitario, assicurando a chi lo svolge adeguata formazione e accompagnamento? Come possiamo formare i Ministri ordinati ad accompagnare processi di discernimento comunitario?

4) In che modo può essere favorita la partecipazione di donne, giovani, minoranze, voci marginali nei processi di discernimento e decisione?

5) In che modo una più chiara articolazione tra l’interezza del processo decisionale e il momento specifico di presa della decisione, può aiutarci a identificare meglio ciò che in ciascuna fase compete ai diversi attori? Come capiamo il rapporto tra processo decisionale e discernimento in comune?

6) In che modo le Consacrate e i Consacrati possono e devono partecipare ai processi decisionali delle Chiese locali? Che cosa si può imparare dalla loro esperienza e dalle loro diverse spiritualità in materia di discernimento e processi decisionali? Che cosa possiamo apprendere da associazioni, movimenti e aggregazioni laicali?

7) Come è possibile affrontare in modo costruttivo i casi in cui l’autorità ritenga di non poter confermare le conclusioni raggiunte da un processo di discernimento comunitario e prenda una decisione in una diversa direzione? Che tipo di restituzione tale autorità deve offrire a chi ha partecipato al processo?

8) Che cosa possiamo apprendere dalla società e della cultura in termini di gestione di processi partecipativi? Quali modelli possono invece rivelarsi un ostacolo per la costruzione di una Chiesa più sinodale?

9) Quali apporti possiamo accogliere dall’esperienza delle altre Chiese e Comunità ecclesiali? E da quella delle altre religioni? Quali stimoli delle culture indigene, minoritarie e degli oppressi possono aiutarci a ripensare i nostri processi decisionali? Quali intuizioni ci vengono dalle esperienze che hanno luogo nell’ambiente digitale?

B 3.3. Quali strutture possono essere sviluppate per consolidare una Chiesa sinodale missionaria?

Le Assemblee continentali esprimono con forza il desiderio che il modo di procedere sinodale, sperimentato nel cammino in corso, penetri nella vita quotidiana della Chiesa a tutti i livelli, rinnovando le strutture esistenti – a partire dai Consigli pastorali diocesani e parrocchiali, dai Consigli degli affari economici, dai Sinodi diocesani o eparchiali – oppure istituendone di nuove. Senza sminuire l’importanza del rinnovamento delle relazioni all’interno del Popolo di Dio, l’intervento sulle strutture è indispensabile per consolidare i cambiamenti nel tempo. In particolare:

a) per non restare sulla carta o essere affidata solo alla buona volontà dei singoli, la corresponsabilità nella missione derivante dal Battesimo ha bisogno di concretizzarsi in forme strutturate. Servono perciò ambiti istituzionali adeguati, così come spazi in cui il discernimento comunitario possa essere praticato in modo regolare. Non si tratta di una richiesta di ridistribuzione del potere, ma dell’esigenza che sia possibile l’esercizio fattivo della corresponsabilità derivante dal Battesimo. Quest’ultimo conferisce a ciascuno diritti e doveri, che devono poter essere esercitati secondo i carismi e i ministeri di ciascuno;

b) per questo è necessario che strutture e istituzioni funzionino con procedure adeguate: trasparenti, focalizzate sulla missione, aperte alla partecipazione, capaci di fare spazio alle donne, ai giovani, alle minoranze e ai poveri ed emarginati. Questo vale per gli organismi di partecipazione già menzionati, il cui ruolo va riaffermato e consolidato, ma anche: per gli organi decisionali di associazioni, movimenti e nuove comunità; per gli organi di governo di istituti di vita consacrata e società di vita apostolica (in modo appropriato al peculiare carisma di ciascuno di essi); per le molte e diverse istituzioni, spesso sottoposte anche alla normativa civile, attraverso cui si realizza l’azione missionaria e il servizio della comunità cristiana: scuole, ospedali, università, mass media, centri di accoglienza e di azione sociale, centri culturali, fondazioni, ecc.;

c) la richiesta di una riforma di strutture e istituzioni e meccanismi di funzionamento nel senso della trasparenza è particolarmente forte nei contesti più segnati dalla crisi degli abusi (sessuali, economici, spirituali, psicologici, istituzionali, di coscienza, di potere, di giurisdizione). Parte del problema è spesso l’inadeguatezza della gestione dei casi di abuso e questo chiama in causa meccanismi e procedure di funzionamento di strutture e istituzioni, oltre alla mentalità delle persone che operano al loro interno. La prospettiva della trasparenza e della corresponsabilità suscita anche timori e resistenze; per questo è necessario approfondire il dialogo, creando opportunità di condivisione e confronto a tutti i livelli;

d) il metodo della conversazione dello Spirito si rivela particolarmente prezioso per ricostruire la fiducia in quei contesti dove, per diverse ragioni, si sia instaurato un clima di sfiducia tra le diverse componenti del Popolo di Dio. Un cammino di conversione e di riforma, in ascolto della voce dello Spirito, domanda strutture e istituzioni in grado di accompagnarlo e sostenerlo. Le Assemblee continentali esprimono con forza il convincimento che da sole le strutture non bastano, ma serve anche un cambiamento di mentalità, per cui è necessario un investimento sulla formazione;

e) inoltre, sembra opportuno intervenire anche sul diritto canonico, riequilibrando il rapporto tra il principio di autorità, fortemente affermato nella normativa vigente, e il principio di partecipazione; rafforzando l’orientamento sinodale degli istituti già esistenti; creando nuovi istituti, ove ciò appaia necessario per le esigenze della vita della comunità; vigilando sull’effettiva applicazione della normativa.

Domanda per il discernimento

Una Chiesa sinodale ha bisogno di vivere la corresponsabilità e la trasparenza: in che modo questa consapevolezza può costituire la base per la riforma di istituzioni, strutture e procedure, in modo da consolidare il cambiamento nel tempo?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Come devono cambiare le strutture canoniche e le procedure pastorali per favorire corresponsabilità e trasparenza? Le strutture di cui disponiamo sono adeguate a garantire la partecipazione o ne servono di nuove?

2) In che modo il diritto canonico può contribuire al rinnovamento di strutture e istituzioni? Quali cambiamenti paiono necessari o opportuni?

3) Quali ostacoli (mentali, teologici, pratici, organizzativi, finanziari, culturali) si frappongono alla trasformazione degli organismi di partecipazione attualmente previsti dal diritto canonico in organi di effettivo discernimento comunitario? Quali riforme sono necessarie perché possano sostenere in maniera effettiva, creativa e vivace la missione? Come è possibile renderli più aperti alla presenza e al contributo delle donne, dei giovani, dei poveri, dei migranti, dei membri delle minoranze e di coloro che per varie ragioni si trovano ai margini della vita della comunità?

4) In che modo la prospettiva della Chiesa sinodale interpella le strutture e le procedure della vita consacrata e delle diverse forme di aggregazioni laicali? E il funzionamento delle istituzioni legate alla Chiesa?

5) In quali aspetti della vita delle istituzioni è necessario uno sforzo di maggiore trasparenza (rendicontazione economica e finanziaria, selezione dei candidati ai posti di responsabilità, nomine, ecc.)? Con quali strumenti possiamo realizzarlo?

6) La prospettiva della trasparenza e dell’apertura a processi di consultazione e di discernimento in comune suscita anche timori. Come si manifestano? Di che cosa hanno paura coloro che esprimono questi timori? Como possono essere affrontate e superate queste paure?

7) In che misura è possibile distinguere tra i membri di un’istituzione e l’istituzione stessa? Le responsabilità in merito alla gestione dei casi di abuso sono individuali o sistemiche? In che modo la prospettiva sinodale può contribuire a creare una cultura di prevenzione degli abusi di ogni tipo?

8) Che cosa possiamo imparare dal modo in cui le istituzioni pubbliche e il diritto pubblico e civile cercano di rispondere all’esigenza di trasparenza e accountability che viene dalla società (separazione dei poteri, organi di controllo indipendenti, obblighi di pubblicità di alcune procedure, limiti alla durata degli incarichi, ecc.)?

9) Che cosa possiamo imparare dall’esperienza delle altre Chiese e Comunità ecclesiali in materia di funzionamento di strutture e istituzioni in uno stile sinodale?

B 3.4 Come configurare le istanze di sinodalità e collegialità che coinvolgono raggruppamenti di Chiese locali?

La prima fase del processo sinodale ha messo in evidenza il ruolo delle istanze di sinodalità e collegialità che raggruppano varie Chiese locali: le Strutture Gerarchiche Orientali e, nella Chiesa latina, le Conferenze Episcopali (cfr. PE I,7), che, con lo svolgimento della tappa continentale, hanno praticato una istanza ulteriore di sinodalità e collegialità. I Documenti elaborati nelle diverse tappe sottolineano come la consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese locali e le successive tappe di discernimento siano state una vera esperienza di ascolto dello Spirito attraverso l’ascolto gli uni degli altri. Dalla ricchezza di questa esperienza è possibile trarre spunti per la costruzione di una Chiesa sempre più sinodale:

a) il processo sinodale può diventare «un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali»[17], perché coinvolge realmente tutti i soggetti – il Popolo di Dio, il Collegio episcopale, il Vescovo di Roma –, ciascuno secondo la propria funzione. Lo svolgersi ordinato delle tappe ha fugato la paura che la consultazione del Popolo di Dio comportasse un indebolimento del ministero dei Pastori. Anzi, la consultazione è stata possibile perché è stata avviata da ogni Vescovo, quale «visibile principio e fondamento di unità» (LG 23) nella sua Chiesa. Successivamente, nelle Strutture Gerarchiche Orientali e nelle Conferenze Episcopali, i Pastori hanno compiuto un atto di discernimento collegiale sui contributi provenienti dalle Chiese locali. Dunque il processo sinodale ha propiziato un reale esercizio della collegialità episcopale in una Chiesa tutta sinodale;

b) la questione dell’esercizio della sinodalità e della collegialità in istanze che coinvolgono gruppi di Chiese locali accomunate da tradizioni spirituali, liturgiche e disciplinari, da contiguità geografica e da prossimità culturale, a partire dalle Conferenze Episcopali, ha bisogno di una rinnovata riflessione teologica e canonica: in esse «la communio Episcoporum si è espressa al servizio della communio Ecclesiarum basata sulla communio Fidelium» (PE I,7).

c) una ragione per affrontare questo compito emerge in Evangelii gaudium: «Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”» (n. 16). In occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, il Santo Padre ha precisato che la sinodalità non è esercitata solo al livello delle Chiese locali e a quello della Chiesa universale, ma anche al livello dei raggruppamenti di Chiese, come le Province e le Regioni ecclesiastiche, i Concili particolari e soprattutto le Conferenze Episcopali: «dobbiamo riflettere per realizzare ancora di più, attraverso questi organismi, le istanze intermedie della collegialitàmagari integrando e aggiornando alcuni aspetti dell’antico ordinamento ecclesiastico»

[18].

Domanda per il discernimento

Alla luce dell’esperienza sinodale fin qui vissuta, come può la sinodalità trovare migliore espressione in e attraverso istituzioni che coinvolgono gruppi di Chiese locali, come i Sinodi dei Vescovi e i Consigli dei Gerarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, le Conferenze Episcopali e le Assemblee continentali, affinché le si «concepisca come soggetti di attribuzione concreta, includendo anche qualche autorità dottrinale» (EG 32) in una prospettiva missionaria?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) La dinamica sinodale di ascolto dello Spirito attraverso l’ascolto gli uni degli altri si offre come la strada più praticabile per tradurre in atto la collegialità episcopale in una Chiesa tutta sinodale. A partire dall’esperienza del processo sinodale:

a) come rendere l’ascolto del Popolo di Dio la forma abituale per realizzare i processi decisionali nella Chiesa a tutti i livelli della sua vita?

b) Come realizzare nelle Chiese locali l’ascolto del Popolo di Dio? In particolare, come valorizzare gli organismi di partecipazione, perché siano “luoghi” effettivi di ascolto e discernimento ecclesiale?

c) Come ripensare i processi decisionali a livello degli organismi episcopali delle Chiese Orientali Cattoliche e delle Conferenze Episcopali a partire dall’ascolto del Popolo di Dio nelle Chiese locali?

d) Come integrare nella normativa canonica l’istanza continentale?

2) Poiché la consultazione nelle Chiese locali è ascolto effettivo del Popolo di Dio, il discernimento dei Pastori assume il carattere di atto collegiale che conferma autorevolmente ciò che lo Spirito ha detto alla Chiesa mediante il senso della fede del Popolo di Dio:

a) che grado di autorità dottrinale può essere attribuito al discernimento delle Conferenze Episcopali? Come si regolano le Chiese Orientali Cattoliche a riguardo dei loro organismi episcopali?

b) Che grado di autorità dottrinale può essere attribuito al discernimento di un’Assemblea continentale? O degli organismi che riuniscono le Conferenze Episcopali su scala continentale o comunque internazionale?

c) Quale ruolo ricopre il Vescovo di Roma rispetto a questi processi che interessano raggruppamenti di Chiese? Con quali modalità lo può esercitare?

3) Quali elementi dell’antico ordinamento ecclesiastico è opportuno integrare e aggiornare per rendere effettivamente le Strutture Gerarchiche Orientali, le Conferenze Episcopali e le Assemblee continentali istanze intermedie di sinodalità e collegialità?

4) Il Concilio Vaticano II afferma che dalla reciproca comunicazione dei rispettivi doni tutta la Chiesa e tutte le sue parti traggono vantaggio (cfr. LG 13):

a) che valore possono avere per le altre Chiese le deliberazioni di un Concilio plenario, di un Concilio particolare, di un Sinodo diocesano?

b) Quali spunti possiamo trarre dalla ricca esperienza sinodale delle Chiese Orientali Cattoliche?

c) In che misura la convergenza di più raggruppamenti di Chiese locali (Concili particolari, Conferenze Episcopali, ecc.) sulla medesima questione impegna il Vescovo di Roma ad assumerla per la Chiesa universale?

d) In che modo va esercitato il servizio dell’unità affidato al Vescovo di Roma quando istanze locali dovessero assumere orientamenti tra loro difformi? Quali spazi vi sono per una varietà di orientamenti tra regioni diverse?

5) Che cosa possiamo apprendere dall’esperienza di altre Chiese e Comunità ecclesiali in materia di raggruppamenti di Chiese locali per esercitare la collegialità e la sinodalità?

B 3.5 Come potenziare l’istituzione del Sinodo perché sia espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale?

Con il Motu Proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965) San Paolo VI istituì il Sinodo come «un consiglio permanente di Vescovi per la Chiesa universale». Egli accoglieva così la richiesta dell’aula conciliare di garantire la partecipazione dei Vescovi alla sollecitudine per tutta la Chiesa, avendo cura di precisare che «questo Sinodo, come ogni istituzione umana, con il passare del tempo potrà essere perfezionato». Con la Costituzione Apostolica Episcopalis communio (15 settembre 2018) papa Francesco ha dato un’attuazione a quest’auspicato “perfezionamento”, trasformando il Sinodo da evento circoscritto a un’assemblea di Vescovi a processo di ascolto articolato per fasi (cfr. art. 4), nel quale tutta la Chiesa e tutti nella Chiesa – Popolo di Dio, Collegio episcopale, Vescovo di Roma – sono realmente partecipi.

a) Il Sinodo 2021-2024 sta manifestando con evidenza che il processo sinodale costituisce il contesto più adatto per l’esercizio integrato del primato, della collegialità e della sinodalità come elementi irrinunciabili di una Chiesa in cui ogni soggetto svolge la propria peculiare funzione al meglio e in sinergia con gli altri;

b) spetta al Vescovo di Roma convocare la Chiesa in Sinodo, indicendo un’Assemblea per la Chiesa universale, come pure avviare, accompagnare e concludere il relativo processo sinodale. Tale prerogativa gli compete in quanto «visibile principio e fondamento di unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei Fedeli» (LG 23);

c) dal momento che «i singoli Vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari […] ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa Cattolica una e unica» (LG 23), spetta a ciascun Vescovo diocesano avviare, accompagnare e concludere la consultazione del Popolo di Dio nella sua Chiesa. Alla luce della sollecitudine che i Vescovi hanno per la Chiesa universale (cfr. LG 23), è altresì loro responsabilità cooperare in quegli organismi sovradiocesani in cui si attua l’esercizio della sinodalità e della collegialità, svolgendovi la funzione di discernimento ecclesiale propria del ministero episcopale;

d) benché tali organismi non riuniscano l’intero Collegio episcopale, il discernimento svolto dai Pastori attraverso di essi assume un carattere collegiale, per la finalità stessa dell’atto. Infatti, le Assemblee di Vescovi all’interno del processo sinodale hanno il compito di vagliare i risultati delle consultazioni nelle Chiese locali, nelle quali si manifesta il senso della fede del Popolo di Dio. Come potrebbe un atto non collegiale discernere ciò che lo Spirito dice alla Chiesa attraverso la consultazione del Popolo di Dio che «non può sbagliarsi nel credere» (LG 12) ?;

e) l’esperienza sinodale fin qui vissuta ha mostrato anche come sia possibile sviluppare un esercizio effettivo della collegialità in una Chiesa sinodale: sebbene il discernimento sia un atto che spetta soprattutto «a chi nella Chiesa ha il compito di presiedere» (LG 12), esso ha guadagnato in profondità e aderenza alle questioni da vagliare grazie al contributo degli altri membri del Popolo di Dio che hanno preso parte alle Assemblee continentali.

Domanda per il discernimento

Alla luce della relazione dinamica e circolare tra sinodalità della Chiesa, collegialità episcopale e primato petrino, come si dovrebbe perfezionare l’istituzione del Sinodo perché diventi spazio certo e garantito di esercizio della sinodalità, assicurando a tutti – Popolo di Dio, Collegio dei Vescovi e Vescovo di Roma – la piena partecipazione, nel rispetto delle specifiche funzioni? Come valutare l’esperimento dell’estensione partecipativa a un gruppo di “non vescovi” nella prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023)?

Spunti per la preghiera e la riflessione preparatoria

1) Il processo sinodale introduce nella Chiesa «un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali»[19]:

a) Come tale dinamismo può diventare la modalità abituale di procedere a tutti i livelli di vita della Chiesa?

b) Come il principio di autorità si inserisce al suo interno?

c) Come esso modifica la comprensione dell’autorità nella Chiesa ai diversi livelli, compresa quella del Vescovo di Roma?

2) La prima fase del percorso sinodale attua il movimento dal particolare all’universale, con la consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese locali e i successivi atti di discernimento nelle Strutture Gerarchiche Orientali e nelle Conferenze Episcopali, prima, e nelle Assemblee continentali, poi:

a) Come assicurarsi che la consultazione raccolga veramente la manifestazione del senso della fede del Popolo di Dio che vive in una determinata Chiesa?

b) Come si può rafforzare nelle Strutture Gerarchiche Orientali, nelle Conferenze Episcopali e nelle Assemblee continentali il «legame fecondo tra il sensus fidei del Popolo di Dio e la funzione di Magistero dei Pastori» (DP 14)?

c) Quanto è auspicabile una presenza di membri qualificati del Popolo di Dio anche nelle Assemblee delle Conferenze Episcopali, oltre che nelle Assemblee continentali?

d) Quale funzione possono ricoprire organismi ecclesiali stabilmente formati non da soli Vescovi, come la Conferenza Ecclesiale recentemente istituita per la Regione Amazzonica?

3) La seconda fase del percorso sinodale esprime nell’Assemblea di Vescovi convocati a Roma l’universalità della Chiesa che si pone in ascolto di quanto lo Spirito ha detto al Popolo di Dio:

a) Come si inserisce quest’Assemblea episcopale all’interno del processo sinodale?

b) Come realizza la continuità con la prima fase del processo sinodale? È sufficiente la presenza di testimoni qualificati a garantirla?

c) Se le Assemblee delle Conferenze Episcopali e le Assemblee continentali sono atti di discernimento, come si caratterizza e che valore ha questo ulteriore atto di discernimento?

4) La terza fase prevede il movimento di restituzione dei risultati dell’Assemblea sinodale alle Chiese locali e la loro attuazione: che cosa può essere d’aiuto perché si realizzi pienamente la “mutua interiorità” tra dimensione universale e dimensione locale dell’unica Chiesa?

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[1] D’ora in poi, per brevità e salvo diversa specificazione, le espressioni “Assemblea” e “Assemblea sinodale” indicano la sessione di ottobre 2023, al servizio del cui svolgimento si pone il presente IL.

[2] Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015 (cfr. DP 15).

[3] L’espressione «Chiesa locale» indica qui ciò che il Codice di diritto canonico chiama «Chiesa particolare».

[4] Nella sezione B si offriranno le ragioni per l’inversione dell’ordine rispetto al sottotitolo del Sinodo: cfr. infra n. 44.

[5] Francesco, Momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale, 9 ottobre 2021.

[6] Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.

[7] Ad esempio, al n. 128 il Documento Finale afferma: «Non basta dunque avere delle strutture, se in esse non si sviluppano relazioni autentiche; è la qualità di tali relazioni, infatti, che evangelizza».

[8] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Iuvenescit Ecclesia, 15 maggio 2016, 13-18.

[9] Francesco, Momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale, 9 ottobre 2021.

[10] XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento Finale, 27 ottobre 2018, 25.

[11] Francesco, Discorso a Sua Santità Mar Awa III Catholicos-Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente, 19 novembre 2022.

[12] Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Il Vescovo e l’unità dei Cristiani: Vademecum ecumenico, 5 giugno 2020, 4.

[13] San Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, 25 maggio 1995, 95; testo citato in EG 32 ed EC 10.

[14] Francesco, Discorso alla preghiera ecumenica, Centro Ecumenico WCC (Ginevra), 21 giugno 2018.

[15] Cfr. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates legitimae, 25 gennaio 1994.

[16] Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.

[17] Ibid.

[18] Ibid.

[19] Ibid.