Omella: “La barca della Chiesa arriverà in porto”

Intervista al cardinale arcivescovo di Barcellona: “Chiederò al Papa di andare a Santiago e Manresa”

Omella
Il cardinale Omella (C) Acali / Exaudi

In occasione della presentazione del libro “Francesco pastore e teologo”, mercoledì sera, il cardinale Joan Josep Omella, arcivescovo di Barcellona, si è fermato a rispondere ad alcune domande di un ristretto gruppo di giornalisti. A cominciare da quella sul suo incontro, al mattino, con il S. Padre al termine dell’udienza generale: cosa le ha detto il Papa?

È così umano che quando mi ha visto la prima cosa che mi ha detto è stata “Salutami tua madre”. Che è una cosa sempre emozionante. Mia madre ha 96 anni e il Papa ha avuto la delicatezza nel giorno del suo compleanno di sorprenderla chiamandola al mattino per farle gli auguri, capirete come era emozionata! E poi gli abbiamo regalato il libro e nulla più, perché dietro c’erano altri vescovi e molte persone. L’unica cosa che ci siamo detti è che ci vedremo nel giro di qualche giorno. Non dico altro non perché sia segreto pontificio ma perché non abbiamo potuto dire di più”.

Il Papa è tornato a parlare della presenza di Dio “annacquata” in Europa, tema toccato anche nel recente viaggio in Slovacchia. È in corso il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee. Come si affronta questo tema?

Il Papa ha insistito moltissimo sulle radici che abbiamo come società da cui sale la linfa che dà frutto all’albero. Se un albero non ha radici forti, non produce alcun frutto. E la seconda cosa che ho captato nel suo messaggio che mi è sembrato molto bello, dopo l’esperienza di Budapest e della Slovacchia, è stata la speranza. Credo che viviamo in un’Europa un po’, come dire, stanca. Una società molto invecchiata, dove non c’è gioventù, dove non ci sono nascite, dove quasi non ci sono più bambini e che va perdendo un po’ la speranza. Che sarà di tutti noi? La pandemia, la mancanza di lavoro, il problema dell’immigrazione: ci facciamo tante domande e abbiamo perso un po’ la speranza.

Il Papa ha parlato molto della speranza perché il Signore cammina con noi. In questi giorni ripeto spesso che la Chiesa, lo riprendo da Benedetto XVI quando rinunciò, è scossa, sono momenti turbolenti, ma questa barca arriverà in porto, Lui ce l’ha promesso. E io aggiungo, un po’ scherzando, nello stile di Papa Francesco, che ci arriveremo con un po’ di mal di mare.

Un mare mosso dentro o fuori la Chiesa?

Entrambi, perché le gioie e le sofferenze del mondo sono anche nostre, siamo inseriti nel mondo e nella società. Tutto ci fa male: ci fa male la morte dei malati di coronavirus; ci fa male la gente senza lavoro; adesso ci fa male la situazione a La Palma per l’eruzione del vulcano; ci fanno male gli immigrati morti nel Mediterraneo; ci fanno male i rifugiati politici e quelli dell’Afghanistan. E ci fa male quello che accade nella Chiesa.

Una persona semplice mi diceva “Guardi, questo sembra la fine del mondo”. No, non è così, il mondo sta cominciando, Dio non ha creato il mondo per quattro giorni, l’ha creato per un tempo molto lungo. Noi però dobbiamo costruire un mondo di libertà, di fraternità, con quella cultura dell’incontro di cui parla tanto il Papa. Abbiamo una sfida davanti e dobbiamo affrontarla con speranza, perché il Signore cammina con noi. Io starò con voi tutti i giorni, in tutte le difficoltà, fino alla fine del mondo. Penso che questa è la speranza e il Papa ce l’ha ricordato.

A proposito della sofferenza nella Chiesa, come si sta vivendo la situazione del vescovo Novell?

Ho detto e ripeto che dobbiamo imparare a essere rispettosi con le persone. Ci piace sempre in queste circostanze metterci nella vita degli altri. Lasciamo che le persone facciano il loro percorso. Quando dei genitori hanno un figlio in difficoltà, per esempio senza lavoro, o ha problemi con la droga, altro tema che fa soffrire tanto, la cosa migliore è ascoltare, accompagnare, tacere e aiutare. E noi invece ci mettiamo subito a interrogare: che succederà, che ha fatto tizio, e a fare romanzi…


Io credo che dobbiamo saper aspettare, perché il dolore di una Chiesa, di una famiglia, dei genitori, della stessa persona che vive una situazione di ricerca e di ricollocazione di se stesso, esige un grande rispetto e a noi come cristiani richiede di pregare, pregare molto: per questa Chiesa, per la Chiesa in Spagna, per questo vescovo, per tutti i vescovi, per i sacerdoti, per tutte le persone. Penso che questo sia il nostro ruolo. Non andare avanti con questo pettegolezzo morboso che a volte ci domina.

Ne parlerà con il Papa?

Non so, dipenderà da ciò di cui il Papa vorrà parlare. Parlerò come un fratello a un altro fratello, da cuore a cuore.

E il silenzio del vescovo dipende dal Vaticano o no?

Non lo so, non gliel’ho chiesto. Ha detto non parlo, è una decisione personale. Volete saperlo per fare pettegolezzi? No, davvero non lo so.

Parlerà con il Papa del tavolo di dialogo tra il presidente catalano Aragones e il presidente del governo spagnolo Sanchez?

Io gli racconterò quello che porto nel cuore come preoccupazione e quello che riguarda la Chiesa in Spagna e uscirà quello che viviamo ogni giorno. Usciranno anche altre cose, come il tema della povertà. Penso che uscirà fuori, dipenderà molto dal tempo che avrà il Papa.

Si parla molto del possibile viaggio del Pontefice a Santiago.

Glielo chiederò, perché gliel’ho già detto un mucchio di volte al Papa. Sempre mi sorride e mi risponde “sai che la Spagna mi incanta, che la conosco bene, che mi piacerebbe venirci”. Lo farà? Non lo so.

E Manresa?

Io gli ripeto: se andrà a Santiago quanto mi piacerebbe che andasse anche a Manresa, visto che è l’Anno Ignaziano. Però mi spaventa anche un po’ insistere molto su una cosa che vorrebbero anche altri posti, come Granada, Madrid, Avila… È una decisione del Papa, non mia. Se fosse mia, l’avrei ben chiara!