“La Mongolia: un esempio di coesistenza religiosa e di armonia nell’umanità”

Incontro Ecumenico e Interreligioso presso l’Hun Theatre

Vatican Media

Questa mattina, lasciata la Prefettura Apostolica, il Santo Padre si è trasferito in auto all’Hun Theatre dove, alle ore 10.10 (04.10 ora di Roma), ha avuto luogo l’Incontro Ecumenico e Interreligioso.

Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso dal Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, Em.mo Card. Giorgio Marengo, I.M.C., e da un leader religioso. Quindi, dopo il discorso di benvenuto di Sua Eminenza Khamba Lama Gabju Demberel Choijamts, Abate del Monastero di Gandan Tegchenling, e la lettura dei messaggi di 11 leader delle diverse religioni, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine, dopo la foto di gruppo, il Santo Padre è rientrato in auto alla Prefettura Apostolica dove ha pranzato in privato.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’Incontro Ecumenico e Interreligioso:

Discorso del Santo Padre

Buongiorno a tutti voi, cari fratelli e sorelle!

Permettetemi di rivolgermi a voi così, come fratello nella fede con i credenti in Cristo e come fratello di tutti voi, in nome della comune ricerca religiosa e dell’appartenenza alla stessa umanità. L’umanità, nel suo anelito religioso, può essere paragonata a una comunità di viandanti che cammina in terra con lo sguardo rivolto al cielo. È significativo in proposito quanto un credente, venuto da lontano, affermò della Mongolia, scrivendo che vi viaggiò «non vedendo niente se non cielo e terra» (Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia, XIII/3, Milano 2014, 63). Il cielo, così limpido e, così azzurro, qui abbraccia infatti la terra vasta e imponente, evocando le due dimensioni fondamentali della vita umana: quella terrena, fatta di relazioni con gli altri, e quella celeste, fatta di ricerca dell’Altro, che ci trascende. La Mongolia ricorda insomma il bisogno, per tutti noi, pellegrini e viandanti, di volgere lo sguardo verso l’alto per trovare la rotta del cammino in terra.

Sono dunque felice di essere con voi in questo importante momento di incontro. Vivamente ringrazio ciascuno e ciascuna per la presenza e per ogni intervento che ha arricchito la riflessione comune. Il fatto di essere insieme nello stesso luogo è già un messaggio: le tradizioni religiose, nella loro originalità e diversità, rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della società. Se chi ha la responsabilità delle nazioni scegliesse la strada dell’incontro e del dialogo con gli altri, contribuirebbe certamente in maniera determinante alla fine dei conflitti che continuano ad arrecare sofferenza a tanti popoli.

A fornirci l’occasione di stare insieme per conoscerci e arricchirci reciprocamente è l’amato popolo mongolo, che può vantare una storia di convivenza tra esponenti di varie tradizioni religiose. È bello ricordare la virtuosa esperienza dell’antica capitale imperiale Kharakhorum, al cui interno si trovavano luoghi di culto appartenenti a diversi “credo”, a testimonianza di una encomiabile armonia. Armonia: vorrei sottolineare questa parola dal sapore tipicamente asiatico. Essa è quel particolare rapporto che si viene a creare tra realtà diverse, senza sovrapporle e omologarle, ma nel rispetto delle differenze e a beneficio del vivere comune. Mi chiedo: chi, più dei credenti, è chiamato a lavorare per l’armonia di tutti?


Fratelli, sorelle, da quanto riusciamo ad armonizzarci con gli altri pellegrini sulla terra e da come riusciamo a diffondere armonia, lì dove viviamo, si misura la valenza sociale della nostra religiosità. Ogni vita umana, infatti, e a maggior ragione ogni religione, è tenuta a “misurarsi” in base all’altruismo: non un altruismo astratto, ma concreto, che si traduca nella ricerca dell’altro e nella collaborazione generosa con l’altro, perché «l’uomo saggio si rallegra nel donare, e solo per questo diventa felice» (The Dhammapada: The Buddha’s Path of Wisdom, Sri Lanka 1985, n. 177; cfr le parole di Gesù riferite in At 20,35). Una preghiera, ispirata a Francesco d’Assisi, recita: «Dove è odio, ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’unione». L’altruismo costruisce armonia e dove c’è armonia c’è intesa, c’è prosperità, c’è bellezza. Anzi, armonia è forse il sinonimo più appropriato di bellezza. Al contrario, la chiusura, l’imposizione unilaterale, il fondamentalismo e la forzatura ideologica rovinano la fraternità, alimentano tensioni e compromettono la pace. La bellezza della vita è frutto dell’armonia: è comunitaria, cresce con la gentilezza, con l’ascolto e con l’umiltà. E a coglierla è il cuore puro, perché «la vera bellezza, dopo tutto, sta nella purezza del cuore» (M.K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Roma 2019, 94).

Le religioni sono chiamate a offrire al mondo questa armonia, che il progresso tecnico da solo non può dare, perché, mirando alla dimensione terrena, orizzontale dell’uomo, rischia di dimenticare il cielo per il quale siamo fatti. Sorelle e fratelli, oggi siamo qui insieme come umili eredi di antiche scuole di sapienza. Incontrandoci, ci impegniamo a condividere il tanto bene che abbiamo ricevuto, per arricchire un’umanità che nel suo cammino è spesso disorientata da miopi ricerche di profitto e benessere. Essa è spesso incapace di trovare il filo: rivolta ai soli interessi terreni, finisce per rovinare la terra stessa, confondendo il progresso con il regresso, come mostrano tante ingiustizie, tanti conflitti, tante devastazioni ambientali, tante persecuzioni, tanto scarto della vita umana.

L’Asia ha moltissimo da offrire in tal senso e la Mongolia, che di questo continente si trova al cuore, custodisce un grande patrimonio di sapienza, che le religioni qui diffuse hanno contribuito a creare e che vorrei invitare tutti a scoprire e valorizzare. Mi limito a citare, senza approfondirli, dieci aspetti di questo patrimonio sapienziale. Dieci aspetti: il buon rapporto con la tradizione, nonostante le tentazioni del consumismo; il rispetto per gli anziani e gli antenati – quanto bisogno abbiamo oggi di un’alleanza generazionale tra loro e i più giovani, di dialogo tra nonni e nipoti! E poi, la cura per l’ambiente, nostra casa comune, altra necessità tremendamente attuale: siamo in pericolo. E ancora: il valore del silenzio e della vita interiore, antidoto spirituale a tanti malanni del mondo odierno. Quindi, un sano senso di frugalità; il valore dell’accoglienza; la capacità di resistere all’attaccamento alle cose; la solidarietà, che nasce dalla cultura dei legami tra le persone; l’apprezzamento per la semplicità. E, infine, un certo pragmatismo esistenziale, che tende a ricercare con tenacia il bene del singolo e della comunità. Questi dieci sono alcuni elementi del patrimonio di sapienza che questo Paese può offrire al mondo.

A proposito delle vostre usanze, ho già parlato di come, preparandomi a questo viaggio, mi abbiano affascinato le dimore tradizionali attraverso cui il popolo mongolo rivela una sapienza sedimentata in millenni di storia. La ger costituisce infatti uno spazio umano: al suo interno si svolge la vita della famiglia, è luogo di convivialità amicale, di incontro e di dialogo dove, anche quando si è in tanti, si sa fare spazio a qualcun altro. E poi è un punto di riferimento concreto, facilmente identificabile nelle immense distese del territorio mongolo; è motivo di speranza per chi ha smarrito la strada: se c’è una ger c’è vita. La si trova sempre aperta, pronta ad accogliere l’amico, ma anche il viandante e persino lo straniero, per offrirgli un tè fumante che fa riprendere le forze nel freddo dell’inverno o un fresco latte fermentato che dona ristoro nelle calde giornate estive. Questa è anche l’esperienza dei missionari cattolici, provenienti da altri Paesi, che qui sono accolti come pellegrini e ospiti, ed entrano in punta di piedi in questo mondo culturale, per offrire l’umile testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo.

Ma, insieme allo spazio umano, la ger evoca l’essenziale apertura al divino. La dimensione spirituale di questa dimora è rappresentata dalla sua apertura verso l’alto, con un solo punto dal quale entra la luce, nella forma di un lucernario a spicchi. Così, l’interno diventa una grande meridiana, in cui luce e ombra si rincorrono, segnando le ore del giorno e della notte. C’è un bell’insegnamento in questo: il senso del tempo che scorre giunge dall’alto, non dal mero fluire delle attività terrene. In certi momenti dell’anno, poi, il raggio che penetra dall’alto illumina l’altare domestico, richiamando il primato della vita spirituale. L’umana convivenza che si attua nello spazio circolare è così costantemente rimandata alla sua vocazione verticale, alla sua vocazione trascendente e spirituale.

L’umanità riconciliata e prospera, che come esponenti di diverse religioni contribuiamo a promuovere, è simbolicamente rappresentata da questo stare insieme armonioso e aperto al trascendente, in cui l’impegno per la giustizia e la pace trovano ispirazione e fondamento nel rapporto col divino. Qui, cari sorelle e fratelli, la nostra responsabilità è grande, specialmente in quest’ora della storia, perché il nostro comportamento è chiamato a confermare nei fatti gli insegnamenti che professiamo; non può contraddirli, diventando motivo di scandalo. Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo. La memoria delle sofferenze patite nel passato – penso soprattutto alle comunità buddiste – dia la forza di trasformare le ferite oscure in fonti di luce, l’insipienza della violenza in saggezza di vita, il male che rovina in bene che costruisce. Così sia per noi, discepoli entusiasti dei rispettivi maestri spirituali e servitori coscienziosi dei loro insegnamenti, disposti ad offrirne la bellezza a quanti accompagniamo, come amichevoli compagni di strada. Questo sia vero, perché in società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti.

In tal senso io vorrei confermarvi che la Chiesa cattolica vuole camminare così, credendo fermamente nel dialogo ecumenico, nel dialogo interreligioso e nel dialogo culturale. La sua fede si fonda sull’eterno dialogo tra Dio e l’umanità, incarnatosi nella persona di Gesù Cristo. Con umiltà e nello spirito di servizio che ha animato la vita del Maestro, venuto nel mondo non «per farsi servire ma per servire» (Mc 10,45), la Chiesa oggi offre il tesoro che ha ricevuto ad ogni persona e cultura, rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto di quanto le altre tradizioni religiose hanno da offrire. Il dialogo, infatti, non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco. Così si può ritrovare nell’umanità benedetta dal Cielo la chiave per camminare sulla terra. Fratelli e sorelle, abbiamo un’origine comune, che conferisce a tutti la stessa dignità, e abbiamo un cammino condiviso, che non possiamo percorrere se non insieme, dimorando sotto il medesimo cielo che ci avvolge e ci illumina.

Fratelli e sorelle, il nostro trovarci qui oggi è segno che sperare è possibile. Sperare è possibile. In un mondo lacerato da lotte e discordie, ciò potrebbe sembrare utopico; eppure, le imprese più grandi iniziano nel nascondimento, con dimensioni quasi impercettibili. Il grande albero nasce dal piccolo seme, nascosto nella terra. E se “la fragranza dei fiori si diffonde solo nella direzione del vento, il profumo di chi vive secondo virtù si diffonde in tutte le direzioni” (cfr The Dhammapada, n. 54). Facciamo fiorire questa certezza, che i nostri sforzi comuni per dialogare e costruire un mondo migliore non sono vani. Coltiviamo la speranza. Come ebbe a dire un filosofo: «Ognuno fu grande secondo quello che sperò. Uno fu grande sperando il possibile; un altro sperando l’eterno; ma chi sperò l’impossibile fu il più grande di tutti» (S.A. Kierkegaard, Timore e tremore, Milano 2021, 16). Le preghiere che eleviamo al cielo e la fraternità che viviamo in terra nutrano la speranza; siano la testimonianza semplice e credibile della nostra religiosità, del camminare insieme con lo sguardo rivolto verso l’alto, dell’abitare il mondo in armonia – non dimentichiamo la parola “armonia” – come pellegrini chiamati a custodire l’atmosfera di casa, per tutti. Grazie.